Mangiare è un’azione molto frequente che ci accomuna tutti. Durante la giornata ci nutriamo più volte e in genere lo facciamo senza chiederci nulla o quasi riguardo a ciò che ingurgitiamo. Siamo abituati a mangiare tutto quello di cui abbiamo voglia in qualsiasi periodo dell’anno ed una delle poche cose che ci interessano quando acquistiamo il cibo è il prezzo. Nutriamo i nostri bambini con alimenti che non somigliano a nulla di ciò che mangiavano le nostre nonne, ma tutto questo ci sembra talmente normale che continuiamo ad acquistarli e a farne scorta nelle nostre case, condizionati dalla paura di rimanere senza e di ritrovarci a dover improvvisare una merenda, magari affettando del pane e spalmando della marmellata.
Non credo di esagerare affermando che mangiare è diventata un’attività poco partecipata, molto automatica e decisamente scollegata dal resto della nostra esistenza.
Eppure, fino a qualche decennio fa, sedersi attorno a un tavolo e condividere ciò che con passione e fatica qualcuno aveva prodotto nel campo poco distante era la normalità. Così come lo era relazionarsi agli altri condividendo le pietanze di un pranzo o di una cena. Oggi, sembra che il frastuono del marketing e la fretta che incombono costantemente sulla quotidianità, abbiano offuscato, se non addirittura cancellato, i significati molteplici, vari e profondi, che il cibo ricopre per ognuno di noi.
Offrire il cibo significa prendersi cura dell’altro mescolando i propri stati d’animo e le proprie attenzioni ad ogni pietanza. La buona tavola rinsalda i rapporti e stimola il raccontarsi, facilitando l’atteggiamento di apertura e di curiosità verso chi ci sta accanto. La cucina è, dunque, importante luogo d’espressione; essa svela, non nasconde, enfatizza le qualità di ogni relazione. E se in cucina arrivano materie prime locali con cui preparare il buon cibo da condividere, essa diviene anche il luogo elettivo di identificazione con il proprio territorio, la sua storia e le sue tradizioni. Il cuore della casa, l’ambiente fisico intorno al quale ruota la vita della famiglia, è come un grembo accogliente in cui il cibo della terra accresce ed amplifica il suo valore quale strumento d’identificazione e socialità.
Per questo, e molto altro ancora, mangiare dovrebbe implicare una scelta, anzi molte. Acquistando un cibo dovremmo conoscerne la provenienza e la qualità; chiederci se è sano o meno, qual è il suo effetto sulla nostra salute, quale l’impatto ambientale del suo percorso produttivo; sapere se è stato o meno trattato e adulterato, decidere in che modo cucinarlo e con chi condividerlo. Insomma, comprando il nostro cibo dovremmo essere animati da spirito critico, istinto e consapevolezza; fare lo sforzo, quindi, di porci domande, di trovare risposte, di pretendere che esso sia il migliore per noi e per le persone che amiamo.
Così, mettendo al centro la relazione profonda e reciproca fra gli uomini e quella fra gli uomini e il lavoro della terra, il cibo non sarebbe oggetto di acquisti automatici e superficiali, ma diverrebbe una ragione più che valida per difendere e valorizzare il contesto in cui esso viene prodotto, poiché da questo dipende la salubrità e la bontà dei prodotti alimentari; da questo dipende la nostra vita.
Dimensione Agricoltura ottobre 2012