La produzione e il consumo dei cereali risalgono ad epoche remote: quasi certamente, infatti, costituiscono le prime piante utilizzate dall’uomo in campo alimentare. Il nome “cereali” deriva da Cerere, la dea latina protettrice delle messi, nume tutelare dei raccolti, divinità materna della terra e della fertilità.
Il valore nutrizionale dei cereali è legato al loro contenuto in amido e proteine e al basso contenuto di grassi. I nutrizionisti ne consigliano l’uso quotidiano e ne sottolineano le qualità nutrizionali. Soprattutto se integrali, i cereali contribuiscono in modo importante ai fabbisogni del nostro organismo. La fibra, in particolare, è da considerare un valore aggiunto, in quanto, in un pasto completo, limita l’assorbimento di zuccheri e grassi, oltre a fornire alla flora batterica intestinale sostanze preziose per il suo equilibrio.
Queste caratteristiche rendono i cereali ottimi alimenti energetici, facilmente integrabili ed abbinabili ad altri, così come avviene nei piatti della cucina mediterranea, soprattutto toscana. Basti pensare alla panzanella, alla zuppa, alle insalate di pasta e di riso, alle minestre di pasta e legumi.
Oggi, i cereali sono spesso al centro di disquisizioni scientifiche relative all’intolleranza permanente al glutine (celiachia) e alla sensibilità al glutine (gluten sensitivity), patologie legate alla presenza di particolari proteine (le gliadine, che a contatto con l’acqua producono il glutine) presenti in alcuni, ma non tutti, i cereali. Ne sono sprovvisti riso, mais, amaranto, manioca, miglio, sorgo.
Il glutine è una sostanza collosa ed elastica che conferisce alle farine una migliore propensione all’impasto. L’intolleranza al glutine è geneticamente determinata e, probabilmente, rappresenta l’incapacità del genoma umano di adattarsi, nel corso dei millenni, ai cambiamenti in composizione del grano ed altri cereali di uso comune.
Diecimila anni fa, infatti, l’uomo non conosceva il glutine. I nostri progenitori si nutrivano di caccia, pesca e raccolta di frutti e radici. Solo più recentemente (nel Neolitico) le tribù nomadi divennero stanziali, iniziando la coltivazione dei cereali primitivi, poveri di glutine. Nei millenni l’uomo ha selezionato i cereali che ridotti a farina si impastavano meglio. La spiga moderna dà un’ottima resa, quindi, perché è ricca di glutine. Non tutti gli uomini, però, hanno saputo adattare il loro patrimonio genetico a questa trasformazione dell’alimentazione di base e, pertanto, non “riconoscono” il glutine come sostanza assimilabile, ma come sostanza estranea da combattere producendo anticorpi.
Recentemente c’è un grande interesse nei confronti del grano antico e, in generale, del ritorno a scelte alimentari più vicine alle esigenze del nostro organismo: maggiore consumo di vegetali, legumi e cereali poveri di glutine, minore introito di proteine animali. Un ritorno, dunque, alle buone pratiche alimentari che un tempo hanno reso possibile la nostra evoluzione.