Perbacco! Un po’ di rispetto per chi va a piedi! – borbottò.
Subito dopo, riprese il cammino, continuando a sbriciolare il suo tozzo di pane, fino a quando, al bordo del bosco, lungo una vigna ben curata incontrò una volpe che vociava e spettegolava contro un grappolo d’uva nera e poco più in là una vecchia bitorzoluta che carezzava una mela rossa, cantilenando fra sé e sé una formula magica.
Ce n’è sono di stranezze in questo bosco – pensò – ma non si dette pena più di tanto e continuò il suo cammino, ignaro che poco più avanti si sarebbe trasformato nell’ambito pranzo di un orco così cattivo che ancora, ogni tanto, me lo sogno anch’io!
Cari lettori, basta fare un piccolissimo sforzo di memoria per ricordare le favole di cui abbiamo fatto scorpacciate da bambini e per individuare in ognuna di esse almeno un cibo, carico di simbologie e significati profondi. In realtà (anche se nelle favole di codesta ce n’è davvero poca!), si tratta spesso di “presenze” funzionali alla storia e quindi di “veicoli” attraverso i quali far passare messaggi con maggiore facilità.
Perché proprio il cibo? – vi chiederete. La risposta è a portata di mano, sapete?
Pensate alla strega cattiva che offre a Biancaneve un fiore o un pettine avvelenato. Pensate a Pollicino che, per individuare la strada del ritorno, lega brandelli di stoffa ai cespugli e ai rami degli alberi; o a Cenerentola, che si fa portare al ballo in una carrozza vera, o in biciletta! Pensate, infine, alla povera Cappuccetto Rosso con un cestino vuoto oppure pieno di panni da far stirare alla nonna!
Niente da fare, il cibo è più affascinante, coinvolgente, stuzzicante, magico, miracoloso. È qualcosa di familiare, direi irrinunciabile, che diventa noi e di cui abbiamo, o dovremmo avere, rispetto. In alcune favole addirittura si identifica con noi stessi, che diveniamo cibo per orchi ed altre creature fantastiche, mentre si risveglia quell’atavico terrore di essere mangiati, anziché ed ancor prima di mangiare!
Cibus in fabula est, come nei racconti d’infanzia dei genitori, in cui c’è sempre qualcuno che non vuole mangiare e qualcun altro che invece mangia troppo; come nei racconti di guerra dei nonni, in cui i cibi più poveri diventano una benedizione. E tutti a bocca aperta ad ascoltare; tutti attenti e curiosi a far domande, per imparare dagli altri la vita, sgranocchiando magari un buon biscotto di pasta frolla.
Detta così, sembra una storiella di tempi lontanissimi; mentre, posso assicurarvi, che non sono passati poi così tanti anni. Cos’è accaduto? I bambini hanno ancora bisogno delle favole, i nonni hanno ancora bisogno di raccontarle, anche se il mondo è cambiato in fretta e Cappuccetto rosso vagabonda nel bosco con le cuffie nelle orecchie e il paniere pieno di tè alla pesca e merendine confezionate che non profumano per niente; Pollicino non ha paura di perdersi perché verrebbe localizzato tramite il suo cellulare; Biancaneve non rischia la vita perché non mangia né frutta né verdura, la volpe non disprezza l’uva perché deve darsi troppa pena per trovare un bel campo coltivato e Cenerentola prende comodamente un treno ad alta velocità che la porta dritta al castello!
Eppure, in questi giorni di festa, ho sbirciato (e non me ne vogliate!) attraverso qualche finestra e ho visto mani che impastavano e teste curiose di bimbi gironzolare per la cucina piena di colori e di teglie da infornare. Nulla è perso se ancora qualcuno fa i biscotti, e se qualcuno ancora li mangia, ridendo e giocando con le dita sporche di farina.
Anche questa sembra una favola; invece, credetemi, è realtà!
Pubblicato su manidistrega.it