“Questo, proprio, non lo digerisco!”. Quante volte abbiamo pronunciato questa frase riferendoci a qualcosa (o a qualcuno!) che ci resta sullo stomaco e non riusciamo a mandare giù? Un modo di dire comune, simbolico, tuttavia realistico per indicare il disagio che alcuni alimenti (o persone!) possono causarci.
Ebbene, in fatto di cibo, non tutto ciò che è indigeribile rappresenta fonte di disagio e problemi gastrointestinali. Esistono alcuni carboidrati che non sono digeriti né assorbiti ma che, fermentando all’interno dell’intestino, producono un effetto proliferativo nei confronti di batteri intestinali benefici a discapito di ceppi potenzialmente patologici. È il caso dell’inulina, un oligosaccaride capace anche di mitigare il picco glicemico dopo un pasto e di rallentare il tempo di svuotamento gastrico, prolungando così il senso di sazietà. La trasformazione di inulina nei suoi prodotti di fermentazione, inoltre, porta all’acidificazione dell’ambiente del colon, che rende il ferro contenuto negli alimenti più facilmente assimilabile. Cipolle, agli, asparagi, carciofi, porri, segale, topinambur e cicorie sono fonti di inulina, oligosaccaride di indubbia utilità a dispetto della sua indigeribilità dovuta alla mancanza di un enzima particolare, atto a scindere un tipo di legame chimico presente nella sua struttura. Un esempio, quello dell’inulina, di come in natura un limite possa rappresentare un vantaggio. Perlomeno, in fatto di cibo. Per tutto il resto, basta il buon senso!
Testo e immagine di Giusi D’Urso
Articolo pubblicato su Dimensione Agricoltura, novembre 2014