Quando il piccolo è inappetente, spesso accade che il pasto si trasformi in un momento difficile da gestire. Chi ha preparato la pappa, con cura e amore, si sente frustrato e inadeguato di fronte al rifiuto pervicace del bambino.
Mi capita spesso di ascoltare mamme avvilite e preoccupate: la frustrazione è tale che a volte piangono o esprimono la loro delusione e la loro ansia attraverso la rabbia. Capita e non mi meraviglio, pensando a quanto importante sia per una nutrice alimentare e vedere crescere il proprio figlio.
Ma, poiché, soprattutto per i bimbi piccoli, “la mamma è cibo e il cibo è mamma“, di fronte al rifiuto del bambino possono innescarsi dinamiche poco utili e, a volte, addirittura dannose, sostenute dalla convinzione di avere davanti un piccolo tiranno, testardo ed egocentrico.
Suvvìa, un boccone per la mamma, uno per il papà e uno per la nonna!
In realtà, quello che spesso accade è che, semplicemente, siamo davanti a un bambino che ha poco appetito, o che ha bisogno di mangiare poco, oppure che non è ancora pronto per quel dato alimento, per quel dato momento conviviale, per il distacco dai rituali che lo legano alla mamma attraverso l’allattamento. Semplicemente, il bambino può non avere l’appetito che la mamma si aspetta. L’inappetenza di un figlio è un concetto la cui relatività sta fra i suoi reali bisogni e le aspettative di chi lo nutre.
Se il bambino è sano, cresce normalmente e continua a mostrarsi vivace e allegro, non vi è alcun motivo di condizionarlo con aspettative che non può comprendere, né soddisfare, poiché nel suo istinto e nella sua spinta evolutiva egli ha strumenti insospettabili di autoregolazione dell’appetito e della sazietà. Insistere significa forzare un sistema evolutosi per migliaia di anni; mostrarsi dispiaciuti significa generare nel bambino il dubbio che egli non sia accettato ed amato a causa del suo pervicace rifiuto; lasciarsi prendere dall’ansia significa rischiare di compromettere la serenità della corrispondenza armoniosa fra la nutrice e il suo nutrito.
Rispettiamo, quindi, ciò che ha imparato dalla natura e che noi, invece, abbiamo dimenticato.
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(Immagine tratta dal sito: www.civettandonews.it)
Da piccola sono stata inappetente, ai limiti dell’anoressia, malattia ancora ignota ai più. Ho cominciato a mangiare all’età dello sviluppo. Per me il momento di mangiare era una sofferenza immensa, cercavo di rimandarlo. Mia madre per farmi mangiare mi raccontava la storia di bambini che morivano di fame. Io non mangiavo, piangevo e mia madre piangeva per/con me. Sono stata un anno in collegio, avevo bisogno di aria di mare per farmi venire l’appetito, dicevano i medici!!!! La mia sofferenza e quella di mia madre per la lontananza me la ricordo ancora con un magone allo stomaco. Erano altri tempi, altre concezioni mediche. Forse gli psicologi infantili non esistevano, dato che parlo di 60 anni fa! Mi auguro che oggi non succeda più. Sono esperienze che ti segnano per tuttavia vita. Raccontare questa mia esperienza è ogni volta come esorcizzarla un po’. Un caro saluto a tutte/i
Cara lettrice,
Grazie per questo suo racconto così carico di significato. È l’ennesima dimostrazione, se ancora ne avessimo bisogno, che attraverso il cibo passa gran parte della relazione con chi ci nutre. Un vero peccato che l’abbiano privata della presenza di sua madre proprio in un periodo in cui la nutrice farebbe stata invece fondamentale. Ma mi rendo conto che all’epoca, probabilmente, la sensibilità medica su questo argomento fosse priva di strumenti oggi chiari e recepiti. Spero che la lettura del mio articolo non le abbia suscitato solo ricordi negativi e la ringrazio molto per l’attenzione a quanto ho scritto.
Buongiorno Giusi! Che esista un legame profondo tra il rapporto col cibo e quello con la mamma nel bimbo molto piccolo, ma poi con tutti i familiari, mi appare più evidente ogni giorno, nella mia esperienza personale e in quelle delle famiglie che frequento. Il tuo articolo mi ha fatto venir voglia di raccontare una situazione che ho in parte sotto gli occhi in una famiglia, con una bambina che ha ora 18 mesi. I genitori sono entrambi molto presenti e premurosi, ma per varie ragioni poveri di strumenti sia educativi che di conoscenza. L’allattamento dopo qualche difficoltà iniziale è andato a meraviglia, poi con le prime pappe sono emerse difficoltà. Per me le ragioni erano evidenti, il pasto era un momento di coercizione in cui bisognava stare fermi, lasciarsi imboccare e non sporcarsi/sporcare. Provai a suggerire di mettere il cibo a disposizione della bimba e lasciare che anche lei lo manipolasse, provasse a usare il cucchiaio, sporcasse in giro e si sporcasse, pur continuando ad aiutarla imboccandola; insomma, farlo diventare un momento piacevole. Ora che la bimba ha 18 mesi siamo forse all’eccesso opposto: rifiuta qualunque aiuto, fa da sola e solo con le mani, ma almeno mangia e cresce. E’ curiosa e assaggia i cibi nuovi. Se qualcuno, ma in particolare la mamma, tenta di aiutarla, protesta vivacemente e l’allontana; i genitori quindi la lasciano fare, ogni pasto richiede tempi lunghi, la mamma sbuffa un po’ ma la volontà della bimba prevale. Al di fuori dei pasti gli interventi della mamma nei confronti della bimba continuano a limitarsi perlopiù ad impedirle di farsi del male o di fare cose magari non pericolose ma che alla mamma non piacciono, con metodi un po’ coercitivi e alzando spesso la voce, non vedo gioco, né fantasia, una storia, una canzone, fare qualcosa insieme. La bimba cerca la mamma quando ha sonno, ma nelle ore “attive” fa da sé o segue il babbo che è un po’ più disponibile al gioco. Dura da eradicare l’idea del “dovere” e la paura del piacere!
Grazie, Paola, per questo commento. Casi come quello che descrivi sono sempre più numerosi. Il rapporto sereno con il proprio cibo è diventato quasi un’utopia. Troppi condizionamenti esterni, troppe incertezze, troppe correnti, troppe informazioni poco controllate: l’onnivoro ch’è in noi si sente in pericolo e si “auto-contiene”, spesso creando irrigidimenti comportamentali poco fisiologici e poco utili. Spero e auguro a tutti un maggiore equilibrio e, ogni giorno, lavoro, con umiltà e passione, per fornire qualche strumento in più nelle persone che mi chiedono aiuto.