Adulti di riferimento capaci di accettare e gestire le reazioni dei bambini, siano esse positive o negative, sono anche in grado di effettuare scelte appropriate nel momento in cui il bambino esprimerà fame o sazietà. Questi adulti, per intendersi, non useranno il cibo per confortare e calmare il proprio bambino, ma accoglieranno la sua reazione cercando soluzioni alternative e fornendo altri strumenti per gestire frustrazione, rabbia e sconforto. Non forzeranno al consumo di cibo un bambino o un adolescente che lo rifiuterà con pervicacia, ma si porranno domande sul motivo o l’origine di un atteggiamento così deciso e, spesso, pericoloso.
Quando il cibo viene utilizzato per lenire ansie ed angosce, per ricompensare o calmare, le successive risposte emotive del bambino saranno destabilizzate ed egli legherà al consumo di cibo la gratificazione ed altre sensazioni positive. Quando di fronte a un rifiuto rigido e reiterato si reagisce con pratiche di forzatura altrettanto inflessibili si nega un problema che non fa che amplificarsi e strutturarsi profondamente.
Attenzione, quindi, alle frasi “se fai il bravo ti compro il gelato!” oppure “se non finisci i compiti stasera ti becchi il cavolfiore!”. Attenzione a frasi con “se non mangi tutto non esci di casa”.
Attenzione, insomma, a non rendere il momento del pasto terreno di ricatto e guerriglia e a non trasformare il cibo in un’arma che separa e crea distanze fra chi nutre e chi è nutrito.
Educare un bambino a scelte alimentari equilibrate è un’attività che deve passare attraverso la corretta gestione delle emozioni, il buon esempio e la consapevolezza dei grandi. Ogni risposta del genitore alle richieste del proprio figlio deve proporre strumenti, non chiudere dialoghi, imporre soluzioni predefinite o, al contrario, dare la sensazione che egli debba cavarsela da solo. Nel mestiere più difficile del mondo, infatti, l’equilibro sta a metà strada fra la fatica dei no e la gioia dei sì.
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Due delle immagini sono tratte dalla reete