Ovvero, cosa resta del tempo che fu?
Dai primi ominidi in poi, il corpo umano ha subito modificazioni profonde. Quella che ha avuto maggiori ripercussioni sulla nostra evoluzione in uomini moderni è probabilmente l’aumento delle dimensioni del cervello. Questa trasformazione è iniziata dall’era glaciale e si è protratta fino allo sviluppo del cervello di Homo Sapiens che ha dimensioni medie pari a 1350 centimetri cubi. Lo sviluppo di un grande cervello, realizzatosi con l’acquisizione una vastissima rete neuronale (l’uomo possiede circa 11,5 miliardi di neuroni, lo scimpanzé circa 6,5) ha avuto non pochi risvolti positivi: ha reso l’essere umano abile al ragionamento, ha sviluppato la memoria, le competenze e la capacità di apprendimento. Ma soprattutto lo ha reso un ottimo naturalista e un essere altamente adeguato alla socialità: i cacciatori-raccoglitori, nutrendosi di animali e di molte specie vegetali, necessitavano di notevoli competenze in fatto di cicli vitali animali e di stagionalità delle piante. Inoltre, vivendo in condizioni climatiche spesso estreme, avevano bisogno di strategie efficaci per trovare cibo e riparo, costruire armi e utensili e, soprattutto, collaborare con i loro simili: i comportamenti cooperativi, difatti, richiedono abilità molto complesse (comunicare, limitare comportamenti aggressivi, comprendere i bisogni altrui, memorizzare ruoli sociali). Un cervello così grande e potente, però, aveva delle richieste energetiche enormi, questo è il motivo per cui si è evoluto nelle epoche in cui è risultato possibile accedere a nicchie alimentari varie che offrissero alimenti energeticamente più ricchi di bacche, foglie e radici. La svolta che ha reso possibile lo sviluppo del grande cervello è stata rappresentata da molteplici “occasioni vantaggiose”: l’accesso ai grassi animali (carne e pesce) che hanno fornito quote energetiche superiori e materia prima per la costruzione del tessuto nervoso; la tendenza a fare depositi grassi che ha permesso la sopravvivenza in epoche di cambiamenti climatici estremi che portavano a carestie e siccità prolungate nel tempo; e le condizioni climatiche poco favorevoli, che hanno prodotto necessari e impegnativi esercizi d’ingegno.
Oggi – ne converrete – le condizioni in cui viviamo sono estremamente lontane da quelle che ci hanno forgiati e resi esseri intelligenti, resistenti al caldo e al freddo, atti a camminare e a correre, adattati a instaurare numerose e complesse reti sociali. Ciò che resta di epoche così lontane – e non mi pare affatto poco – sono le abilità. Ci piaccia o no, siamo fatti per muoverci, ingegnarci, collaborare con i nostri simili e nutrirci dell’essenziale. Forse prenderne atto ci aiuta ad attivare cambiamenti virtuosi del nostro stile di vita: non serve tornare a condizioni primitive, né rinunciare a ciò che con fatica e impegno l’essere umano ha conquistato e realizzato. Sapere e riflettere su ciò che oggi la scienza è in grado di spiegare è utile per tornare a fare i conti con le nostre effettive necessità.
Testo e immagine di Giusi D’Urso
Per approfondire
La storia del corpo umano. D. Lieberman. Le Scienze
In carne e ossa. Biondi et al. Editori Laterza
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