Chiunque si sia trovato alle prese con un (o una) adolescente conosce bene quella sensazione particolare, mista a disagio, rabbia e perplessità, che insorge guardandolo, ascoltandolo e cercando di aprire un varco comunicativo fra il suo tirar su “spallucce” e il suo broncio apparentemente immotivato. Eppure, l’adolescente, nonostante il suo fare spesso spavaldo e strafottente, è un essere fragilissimo e vulnerabile, in balia di vere e proprie trasformazioni, volte a costruire un’identità, attraverso la risoluzione di problemi che lo sviluppo gli pone continuamente davanti. Ciò che noi adulti leggiamo come disordine, distrazione e apatia riflette, in realtà, una metamorfosi interna che esige concentrazione, investimento di attenzione ed energia per metabolizzare i nuovi stimoli, la scoperta di nuove strade possibili da percorrere e imparare a gestire tutte le sollecitazioni che irrompono con violenza e all’improvviso nel suo mondo di bambino. I suoi riferimenti diventano assolutamente esterni al nucleo familiare: se prima la vicinanza dei genitori lo rassicurava, adesso lo mette a disagio e chiede a gran voce un riscatto totale, determinato, senza ripensamenti.
In questa fase così particolare e complessa, a volte, il cibo assume connotazioni eccezionali e può trasformarsi in strumento di ricatto o di “riscatto”, oggetto di scontri o “incontri”, simbolo di un modello da rifiutare o, al contrario, di nuove strade da percorrere. Può accadere, infatti, che l’adolescente utilizzi il cibo come un vero e proprio linguaggio, rifiutandolo o imitando le scelte alimentari degli altri o ancora, semplicemente, operando scelte completamente diverse dai modelli familiari, utilizzando spesso il corpo come strumento da frapporre fra se stesso e il resto del mondo.
Si tratta di un efficace modo di attirare l’attenzione degli altri sul proprio stato di “neonato sociale”, sulla propria momentanea fragilità e sui propri bisogni che, mai come in questa fase, necessitano di ascolto, accoglienza e comprensione.
Per spiegare la fragilità e la vulnerabilità di un adolescente, Françoise Dolto, psicanalista infantile francese vissuta nel secolo scorso, paragona l’adolescente al gambero, il quale, prima di fabbricare il guscio nuovo, perde quello vecchio, restando esposto a gravi pericoli. In questa fase, il gambero resta nascosto sotto le rocce e negli anfratti, fino a quando non avrà un nuovo guscio a difenderlo. Se durante il periodo di estrema fragilità subirà delle ferite, esse rimarranno per sempre sotto forma di cicatrici, nonostante il guscio nuovo le ricoprirà.
Il cibo, nel tempo della fragilità del gambero, è la moneta di scambio che l’adolescente baratta con l’attenzione al suo trasformarsi e al suo bisogno di sentirsi autonomo ma comunque guidato e accudito, nonostante gli atteggiamenti ribelli e spavaldi ci inducano a pensare diversamente. Si tratta di un accudimento diverso, ovviamente, di una partita che si gioca su un terreno nuovo, più maturo in cui il genitore dovrà essere in grado di accedere con nuove regole e nuovi linguaggi, senza abdicare al suo ruolo ma concedendo al/alla proprio/a adolescente lo spazio e il tempo di una nuova, fondamentale e formativa autonomia, anche in campo alimentare. Senza rigidità, senza traumi, senza giudizi lapidari.
Il modello familiare rappresenterà, sempre e comunque, uno stampo originale su cui costruire le scelte del nuovo individuo. Una volta costruita la nuova “corazza”, il gambero non temerà il ritorno a questo modello che integrerà con le sue nuove scelte, con coraggio, consapevolezza e indipendenza.
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