Archivio della categoria: Alimentazione su “Dimensione Agricoltura”

Una rubrica sulla corretta alimentazione ospitata da Dimensione Agricoltura, il mensile della Confederazione Italiana Agricoltori (sezione provinciale di Pisa), per ribadire e non dimenticare che il cibo di cui ci nutriamo viene dalla terra e da chi la coltiva.

Esperti o creduloni?

wikiL’era digitale è senza dubbio un tempo ricco di possibilità e occasioni. Nell’esiguo tempo di un clic riusciamo a raggiungere posti lontanissimi e ad accedere a informazioni di ogni tipo. La rete pullula di siti che permettono di farsi un’idea di ogni cosa in pochissimo tempo. Alimentazione e salute sono fra gli argomenti che più di tutti catturano l’attenzione e innescano ansie e preoccupazioni creando una sorta di corsa collettiva all’informazione. In questo mare magnum è facile però imbattersi in notizie sommarie, gonfiate, o addirittura false e fuorvianti, che non sempre si ha la competenza e il tempo di verificare. Ne consegue spesso un’informazione superficiale, a volte illusoria, che, proprio per la velocità con cui si acquisisce e si diffonde, rischia di confondere e condizionare intere categorie di persone che non hanno gli strumenti per leggere in modo critico e, dunque, filtrare con la giusta dose di consapevolezza.
Chi fa il mio lavoro s’imbatte ogni giorno in persone che hanno
autonomamente escluso dalle loro abitudini alimentari uno o più cibi, convinte di avere questa o quell’altra intolleranza, questa o quell’altra patologia; individui condizionati da letturgooe allarmistiche sugli effetti di intere categorie di alimenti o sul valore salvifico di quella bacca o di quel seme, di questa o quella dieta . La conseguenza comune è un fai da te rischioso, una sfiducia serpeggiante, sommaria e pericolosa nei confronti della scienza e di chi ha investito una vita intera a studiare e formarsi in questo campo, acquisendo strumenti fondamentali per valutazioni critiche e corrette. La verità è che l’essere umano è complesso, così come il suo metabolismo: sarebbe davvero bellissimo se per stare bene, non ammalarsi e vivere più a lungo possibile fosse sufficiente eliminare un alimento o inserirne un altro. Purtroppo non è così semplice e, il più delle volte, scelte alimentari arbitrarie e ingiustificate non fanno che aggiungere nuovi problemi a quello iniziale. Per cui, seppure nel massimo rispetto di ogni scelta personale, in tema di cibo e salute è consigliabile verificare sempre, attraverso fonti adeguate e accreditate, ogni tipo di informazione reperita in rete, affidarsi a chi lavora su questi tempi, con professionalità e competenza, e accettare di buon grado che il nostro corpo non è uguale ad altri mille; non è una provetta in cui ad ogni azione corrisponde una reazione standard e prevedibile a priori, ma, al contrario, un sistema di una preziosa complessità che merita l’attenzione e il rispetto dovuti alle meraviglie.

 

Scritto per Dimensione Agricoltura di aprile 2017.

 

Il sale della vita

L’organismo di un uomo adulto contiene oltre due etti di sale, che ogni giorno in parte perde attraverso sudore e urina. Il bisogno di integrarlo è sempre stato prioritario, soprattutto in epoche antiche, in cui le temperature terrestri erano molto elevate e il cacciatore-raccoglitore era costretto a lunghi spostamenti per la ricerca di cibo e riparo.
Da moneta di scambio a conservante, il sale (cloruro di sodio, NaCl) ha rappresentato in passato un bene prezioso e pertanto molto ricercato. Documenti risalenti all’Ottocento a. C. testimoniano il primo metodo di raccolta messo a punto in Cina e ripreso successivamente da altre civiltà. In Asia, in Europa e nelle Americhe il trasporto del sale avveniva attraverso mezzi d’imbarcazione lungo mari e fiumi, mentre nel Sahara, ancora oggi, avviene per via terrestre. Sia le civiltà orientali che quelle occidentali hanno trovato nel commercio del sale uno stimolo allo sviluppo: basti pensare alle innumerevoli attività commerciali che ha caratterizzato non solo per la sua produzione ma anche per il suo utilizzo quale conservante. Attorno a questo composto sono avvenute invasioni, guerre e lotte sociali (nel 1930 fu proprio il rifiuto della tassa sul sale a innescare, con Gandhi, la lotta per l’indipendenza dell’India).
Dall’Ottocento in poi, nuove tecnologie di conservazione (pastorizzazione, surgelamento, uso di conservanti di sintesi) hanno reso il sale meno necessario. Tuttavia, il gusto che esso conferisce agli alimenti lo rende ancora oggi una materia prima importante: fra le nostre percezioni il salato è da sempre un gusto molto attraente. Oltre ad essere essenziale per la sopravvivenza, migliora gli odori e le altre percezioni gustative. È noto, infatti, l’impegno dell’industria alimentare nella ricerca della miscela perfetta fra sale e zucchero al fine di rendere i suoi prodotti estremamente palatabili e, quindi, fidelizzanti.
Il sale è presente in natura in quasi tutti gli alimenti. Ma la quantità maggiore che oggi ingeriamo deriva dai prodotti trasformati e da quello aggiunto in cucina. Oggi, ne consumiamo una quantità eccessiva che espone a patologie cardiovascolari e tumorali importanti. L’allarme lanciato anni fa da SINU (Società Italiana di Nutrizione Umana) riguarda soprattutto l’eccesso di sale nella dieta dei bambini, che inizia spesso dallo svezzamento. Questa pratica è particolarmente dannosa, non solo perché dà adito precocemente ad alterazioni a carico della parete dei vasi sanguigni, ma anche perché l’abitudine a consumare cibi troppo sapidi sin dall’infanzia renderà più difficile contenere il consumo di sale da adulti. Per ridurne il consumo, in realtà, bastano poche regole: ricorrere solo ogni tanto ai prodotti lavorati (ad es., carni e pesce conservati), sostituirlo con spezie, erbe aromatiche e succo di agrumi nei condimenti e, in generale, abituarsi gradatamente a non aggiungerlo alle pietanze.
Per quanto riguarda l’infanzia, è consigliabile inserirlo più tardi possibile nella cottura e nei condimenti, così come ritardare l’accesso a cibi e snack industriali ad alta palatabilità.

Pubblicato su Dimensione Agricoltura di febbraio 2017.DA 2:17

Bambini, terra e cibo

I bambini di oggi, si sa, a parte qualche eccezione, non amano la verdura. Ma se sulla tavola apparecchiata i vegetali non mancano mai e i genitori li consumano quotidianamente, il bambino impara che può fidarsi, ne avrà presto curiosità e finirà col mangiarli normalmente.
I bambini di oggi amano i videogiochi e la tv, ma se li portiamo in campagna e li facciamo “giocare” a fare i contadini, seminando e accudendo la terra, si compirà una magia bellissima e quanto mai inattesa: si sentiranno perfettamente a loro agio e saranno ansiosi di veder nascere le loro piantine e raccogliere i frutti del loro lavoro.
orto in terrazzoNell’orto i bambini cercano e trovano soluzioni ai problemi, sperimentano e valorizzano il legame con il sapere antico; imparano che c’è un tempo e un ciclo per ogni specie coltivata e che i frutti maturati sulle piante sono più sani e più nutrienti di quelli raccolti anzitempo e trasportati per lunghe distanze. Imparano che coltivare la terra significa lavorare con continuità e tenacia, recuperando il valore di un’attività troppo spesso lasciata ai margini e considerata di seconda categoria. Se poi il prodotto del loro gioco-lavoro trova un senso a tavola, allora il cerchio si chiude intorno alla consapevolezza di aver fatto una cosa grande: produrre cibo per sé e per gli altri (tratto da Ti racconto la terra, Edizioni ETS).

E’ compito degli adulti – genitori, nonni, educatori – guidare i bambini a giocare in modo sano; a distogliere l’attenzione da monitor e display e ad essere più dinamici e curiosi. Anche in questo caso, come per le scelte alimentari, le abitudini familiari giocano un ruolo veramente importante. Tutti noi, dunque, dovremmo impegnarci in questo senso, seppure il compito risulti faticoso e complesso, poiché, volenti o nolenti, siamo e saremo il modello cui i nostri figli guardano. Quale occasione migliore per modificare i nostri comportamenti meno virtuosi?

 

Informazioni su sedi, orari e modalità operative dello studio nutrizionale.

 

Elogio (moderato) del digiuno

cropped-spuntino1.jpgAl mondo esistono popolazioni molto longeve e sanissime, in grado di procreare fino a tarda età e invecchiare in buona salute. Come ad esempio, gli Hunza, che vivono al confine nord del Pakistan, all’interno di una valle sulla catena Himalayana, mangiano poco e vegetariano, digiunano nei mesi invernali in cui la natura offre loro ben poco cibo, e si muovono molto.
La scienza, d’altra parte, sostiene che la riduzione calorica e, addirittura, brevi periodi di digiuno insieme all’esercizio fisico hanno la capacità di stimolare le funzioni di riparazione di danni tessutali dovuti all’ossidazione, all’invecchiamento e ai prodotti metabolici. Molti studiosi sostengono che sopportare il senso della fame per qualche ora, più di una volta a settimana, aiuta a liberarsi delle tossine accumulate dopo i pasti.
Da nutrizionista non posso che approvare, diffondere e condividere ciò che la scienza ha dimostrato. Ritengo però che tra la tendenza – ahinoi!- così comune a riempirsi fino a scoppiare e il digiuno elogiato dagli studiosi ci sia un ottimo margine di miglioramento del proprio stile alimentare che permette di affrontare il tema della prevenzione a tavola con maggiore moderazione e concretezza. Insomma, diamoci obiettivi raggiungibili!
Se siete dinamici e i vostri pasti sono frugali ed equilibrati, non avrete motivo di preoccuparvi. Se non è così, allora imparate a muovervi ogni giorno e ad alzarvi da tavola non appena il senso di sazietà farà capolino fra la bocca e il piatto!

 

Pubblicato su Dimensione Agricoltura.

Alimentarsi da grandi!

ortaggiLa cosiddetta terza età è, per il nostro Paese, una vera e propria risorsa. In un momento sociale così difficile, la presenza degli anziani che aiutano e supportano i figli e, spesso, le loro famiglie, rappresenta un bene preziosissimo. Ma quanti sono e come stanno?
Secondo le stime dell’Istat, nel 2001 in Italia gli ultrasessantacinquenni ammontavano a circa il 18% della popolazione italiana. Oggi, si stima che entro il 2030 potrebbero essere il 26,5% della popolazione. Inoltre, negli ultimi 20 anni il tasso di over 80 è aumentato del 150%.
Secondo il rapporto “Stato di salute e prestazioni sanitarie nella popolazione anziana” del Ministero della Salute, la popolazione anziana italiana determina il 37% dei ricoveri ospedalieri ordinari e il 49% delle giornate di degenza.
L’allungamento della vita ci pone di fronte a una maggiore incidenza di patologie, soprattutto croniche e ci chiama a riflettere sul ruolo fondamentale della prevenzione in giovane età. I problemi di salute, infatti, non sono una conseguenza inevitabile dell’invecchiamento, in quanto per molti di essi si conoscono strumenti preventivi efficaci, quali, ad esempio, la sana alimentazione, di cui spesso abbiamo parlato in questa rubrica.
Per imparare a mangiare bene, però, non è mai troppo tardi in quanto i benefici di uno stile alimentare corretto sono visibili a breve termine, anche su individui anziani già malati.
Si raccomanda il consumo giornaliero di fonti proteiche, alternando e variando spesso, prediligendo il pesce fra le fonti animali e cereali integrali e legumi fra quelle vegetali. Fondamentale l’idratazione e il consumo abbondante di ortaggi e frutta, freschi e di stagione, che assicurano un adeguato introito di fibre, vitamine, antiossidanti e minerali. Meglio ridurre l’apporto di grassi, privilegiando semmai quelli del pesce azzurro e quelli provenienti da fonti vegetali: olio d’oliva, frutta secca, semi oleosi (girasole, lino, sesamo, zucca). La salute dell’intestino merita un’attenzione particolare: è consigliabile prendersene cura consumando pasti regolari, variando la propria alimentazione e integrando periodicamente la flora batterica. Questo migliorerà gli assorbimenti e le risposte immunitarie.
Importante, mantenere un peso adeguato per non gravare troppo sullo scheletro e tenersi sempre in esercizio, sia fisico che mentale, per facilitare la circolazione, favorire la memoria e curare l’umore.

Artiolo pubblicato su Dimensione Agricoltura di luglio 2014.

La mela del Ministero

Il noto progetto Frutta nelle scuole, attivato da qualche anno dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, vanta nel suo programma la finalità di aumentare il “consumo di frutta e verdura da parte dei bambini e ad attuare iniziative che supportino più corrette abitudini alimentari e una nutrizione maggiormente equilibrata, nella fase in cui si formano le loro abitudini alimentari”.fruttanellescuole
Senza nulla togliere alla bontà delle intenzioni, vorrei riflettere sul metodo, partendo dalla mela (frutto comune, in genere amato dai bambini) che il Ministero ha ritenuto frutto adeguato per i nostri figli. Da qui, forse, ognuno di noi potrà fare le proprie considerazioni anche sugli altri prodotti e sul modo in cui vengono distribuiti a scuola.
Penso proprio alla mela biologica, tagliata a tocchetti, cosparsa di antiossidante, chiusa in vaschette di plastica riciclabile. Sa di “medicina”! Ma risponde a precise norme di sicurezza, della cui importanza però è difficile spiegare ai bambini. È biologica! Ma, se è vero che il cibo biologico è nato dalla necessità e la volontà di avere un pianeta più pulito, perché lo facciamo viaggiare in lungo e largo per il Paese, producendo CO2? È tagliata a tocchetti! Il consumo è veloce e pratico, ma non stimola le sensazioni che dovrebbe.

Un paio di domande per il Ministero, allora: cosa racconteremo ai nostri bambini quando si troveranno per le mani una mela intera, da toccare, addentare, assaporare e riconoscere, al sapore di mela, proveniente da un frutteto del nostro territorio? Qual è, secondo gli esperti ministeriali, la mela giusta?

 

 

Su Dimensione Agricoltura di ottobre 2013

 

Gusti, disgusti, fame e sazietà

Quando mangiamo, in genere, non ci chiediamo quali meccanismi ci portano a scegliere un alimento e a cibarcene. Eppure, dietro un atto così frequente si cela una serie di stimoli sensoriali e di risposte neurologiche molto complessi, che caratterizzano ognuno di noi e il nostro comportamento alimentare.

Il gusto per un dato alimento è un fattore estremamente individuale, legato, oltre che al profilo genetico, ad una serie di stimoli sensoriali piacevoli (ricordi, impressioni, sensazioni, sentimenti ed emozioni) con i quali il cervello si confronta prima di scegliere un cibo. In modo speculare, il disgusto per un dato alimento deriva da esperienze e sensazioni negative legate al suo consumo che costituiscono una memoria sensoriale indissolubile. I comportamenti che ne derivano hanno avuto grande importanza nelle varie tappe delle nostra evoluzione, rappresentando, spesso, una delle poche possibilità di sopravvivere ad alimenti potenzialmente tossici.

Gustare o meno un cibo dipende, dunque, dalle sensazioni attuali e pregresse. Oggi sappiamo anche che le sensazioni più gradevoli derivano da particolari miscele di zuccheri, grassi e sale che compongono certi alimenti. Le reazioni a tali miscele, tutt’ora oggetto di studio, sono all’attenzione dell’industria alimentare ogni volta che un nuovo prodotto deve essere immesso sul mercato. Moltissimi cibi industriali, infatti, sono costruiti “a tavolino”, senza che alcun dettaglio venga lasciato al caso. Di recente, un interessante articolo pubblicato sul settimanale tedesco Der Spiegel spiega, citando l’ultimo di libro del premio Pulitzer Michael Moss, come le industrie che sfornano prodotti alimentari di largo consumo studino e progettino il cibo “emozionalmente perfetto” al fine di fidelizzare il consumatore, piuttosto che nutrirlo.

Quali sono le conseguenze di questi cibi sulla nostra salute?

La risposta è insita nel meccanismo che regola il ciclo fame-sazietà. In generale, quando le scorte energetiche sono insufficienti avvertiamo il senso della fame; mentre, quando il cibo ci ha fornito sufficiente energia ci sentiamo sazi e smettiamo di mangiare. Così descritto, il meccanismo sembra essere di una ovvietà sconcertante. In realtà, nella regolazione del ciclo fame-sazietà intervengono molti e complessi sistemi inconsci, selezionati in migliaia di anni dai processi evolutivi. Una raffinata serie di segnali metabolici, endocrini e neurologici regola il fabbisogno energetico del nostro organismo, registrando ed integrando al contempo gli stimoli provenienti dall’ambiente.

Tuttavia, oggi, l’accesso ad ogni genere di alimento, lo stress, gli stili di vita frenetici e poco sani, mettono a durissima prova il nostro istinto, l’equilibrio energetico e la chimica che li regola. Accade, così, di rifugiarsi nel cosiddetto confort food, cioè in alimenti estremamente calorici che, facendo presa sulle nostre sensazioni, le nostre nevrosi e i nostri bisogni inconsci, forniscono una soddisfazione immediata del palato, creando dipendenza e le basi per l’accumulo di peso e tutto ciò che ad esso consegue.

Ecco che i meccanismi del gusto e del disgusto, così come della fame e della sazietà, vengono destabilizzati, condizionati e spesso destrutturati dalla presenza sul mercato di prodotti estremamente appetibili, poco nutrienti e a buon mercato che agiscono come droghe sul nostro cervello, rendendoci sordi ai reali bisogni dell’organismo.

Saperlo, forse, è già cominciare a cambiare!

 

Pubblicato su Dimensione Agricoltura, luglio 2013

 

 

In punta di forchetta!

Un interessante studio americano sull’alimentazione preventiva (The China Study), recentemente tradotto in italiano, dimostra che la maggior parte delle patologie cardiovascolari, metaboliche e tumorali possono essere prevenute con uno stile alimentare sano.
Uno dei suoi autori, T. Colin Campbell, sostiene difatti che la causa delle malattie più comuni cui andiamo incontro sta “in punta di forchetta” e che, pertanto, è possibile gestirla e controllarla.
A pensarci bene, è una gran bella notizia! Significa, infatti, che con le nostre scelte alimentari siamo in grado di scegliere se stare bene o stare peggio.
In realtà, non è una novità. Il filosofo Feuerbach (1804-1872) asseriva :”Noi siamo quello che mangiamo”, indicando che il cibo che assumiamo influenza il nostro stato di salute fisica e mentale.
Ma molto tempo prima, Ippocrate scriveva “Fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo.”, indicando una via naturale alla prevenzione e alla cura delle malattie.
Se siete appassionati di internet e provate a fare una ricerca con le parole chiave “alimentazione e patologie” rimarrete esterrefatti di fronte alla mole enorme di produzione scientifica disponibile. Se leggete quotidiani e periodici non vi sarà sfuggita l’attenzione, ormai diffusissima, alla relazione fra cibo e salute.
Direi, quindi, che non ci manca di certo l’informazione. Potremmo vivere in un mondo di persone in salute, lucide, dinamiche e fiduciose nel futuro.
Invece, paradossalmente, leggiamo numeri allarmanti sull’obesità, soprattutto quella infantile (un bambino italiano su tre ha un peso eccessivo), sul diabete di tipo due (in continuo aumento e ad insorgenza sempre più precoce), sull’osteoporosi (presente già negli adolescenti e nei giovani adulti). Qualcosa non funziona come dovrebbe, allora.
Il cammino dell’informazione che, una volta acquisita, deve trasformarsi in consapevolezza e guidare le nostre scelte alimentari è, in qualche modo, disturbato, deviato, contaminato da altre informazioni, altri condizionamenti, altra “cultura”. La punta della nostra forchetta, dunque, è disconnessa dall’informazione che abbiamo acquisito ed è pesantemente condizionata dalle informazioni fuorvianti degli spot pubblicitari, che, spesso travestiti da messaggi salutistici, fanno presa sui nostri sensi di colpa e sulla mancanza di tempo, per spingerci ad un consumo poco critico e poco consapevole.
Ma il cibo non è un oggetto tecnologico, né un elettrodomestico e neppure un capo di abbigliamento: il cibo è ciò che diverrà parte di noi. Una volta ingerito ed assorbito, esso si trasformerà in ossa, carne, sangue, ecc. Come si può, quindi, rinunciare al proprio istinto, al proprio senso critico e alla propria consapevolezza dovendo scegliere “cosa essere” e come vivere?
Pensiamoci, ogni volta che decidiamo cosa infilzare alla nostra forchetta!

(Pubblicato su Dimensione Agricoltura di maggio 2013)

Di sprechi e di risparmi

È tempo di crisi. Sai la novità!

Ma al di là del comprensibile scoramento, è un tempo, questo, da trasformare in opportunità. L’occasione di imparare a risparmiare, riducendo gli sprechi e tornando ad uno stile di vita più equilibrato, sostenibile e parsimonioso.

Secondo quanto dichiarato dalla FAO nell’ottobre dello scorso anno in Italia nel 2011 lo spreco di cibo a livello domestico è costato ad ogni famiglia circa 1600 euro l’anno, cioè il 27% della spesa annuale alimentare. Continua a riecheggiarmi in testa una frase letta in una relazione di Emanuela Amendola (dott.ssa in Economia, Associazione di promozione sociale La MezzaLuna): “Sebbene sia noto che l’incidenza dello spreco vari in base al clima, allo status socio-economico, alla cultura (per esempio, l’abitudine a preparare generosamente più cibo di quello che può essere mangiato), tuttavia resta evidente che, in ogni caso, lo spreco alimentare domestico non solo esiste, ma ha anche notevoli dimensioni economiche.”
Tutto sommato, è una buona notizia, perché su questo dato si può decisamente intervenire, non certo risparmiando sul costo del buon cibo, ma eliminando, appunto, inutili sprechi.

Come?

Iniziando, ad esempio, dalla lista della spesa, non dimenticando mai di farla prima di entrare in un supermercato, annotando solo ciò di cui abbiamo veramente bisogno ed evitando di fare scorte di dubbia utilità che, peraltro, ci costringono al continuo controllo della scadenza. Chi fa la spesa nei mercati contadini o direttamente dai produttori locali è avvantaggiato dal fatto che le materie prime sono stagionali e freschissime, quindi meno soggette a repentino deperimento. Inoltre, un prodotto ortofrutticolo fresco avrà meno scarti di uno confezionato, magari proveniente da luoghi lontani. In cucina, poi, avvengono straordinarie magie: come quella di trasformare molti scarti vegetali in materia prima per creme vegetali, zuppe e minestroni.
Anche la pasticceria si presta alla pratica del riciclo e, quindi, del risparmio. Un esempio: le bucce di molti frutti (non trattati), dopo essere state lavate e ben asciugate, possono essere ridotte in piccoli pezzi e congelate, per essere utilizzate in seguito come fonti aromatiche nei dolci. Oppure, in alternativa, si possono conservare in frigo, in un barattolo di vetro, ricoperti di un strato d’olio, per aromatizzare insalate, arrosti e frittate. La cucina del giorno dopo, inoltre, un tempo scontata perché necessaria, oggi torna di moda, con la trasformazione dei resti in polpette e polpettoni, frittate e sformati.

C’è un altro fenomeno che rende quest’era così difficile una buona occasione: la necessità di ricominciare ad insegnare ai nostri figli l’adattamento a tavola. Avvezzi ad avere sempre tanto e troppo, ad accedere a pochi gusti accattivanti e fidelizzanti, i nostri bambini spesso rappresentano, in qualche modo, un ostacolo ai comportamenti anti-spreco: cibi pronti dei quali paghiamo anche la confezione, alimenti ad altissima impronta ecologica, abitudine a sciupare e gettare via parte dei pasti, a rifiutare le novità, i piatti più semplici e le pietanze del giorno precedente.

E allora, dato che la crisi attuale non riguarda solo il nostro portafoglio, non solo il nostro Paese, ma coinvolge l’intero pianeta, l’intero sistema economico, c’è da chiedersi: i nostri bambini, figli di epoche indifferenti alle conseguenze dello spreco, riuscirebbero a sopravvivere in un mondo più povero di risorse?

Pubblicato su “Alimentazione” – Dimensione Agricoltura di Aprile 2013