Archivio della categoria: Nutrizione

Incavolati neri!

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Il cavolo nero è un ortaggio particolarmente caro ai toscani, poiché è l’ingrediente prezioso della zuppa, piatto tradizionale di questa regione. Appartiene alla famiglia delle Crucifere-Brassicacee, pertanto, come i suoi con-simili, è un ortaggio ricco dal punto di vista nutrizionale, in quanto, oltre a varie vitamine (A, C e K) e sali minerali, contiene flavonoidi, terpeni e indoli, sostanze preziose nella prevenzione di alcuni tipi di tumore (stomaco, intestino, polmone, seno e utero) ma anche di patologie gastrointestinali come l’ulcera gastrica e la colite ulcerosa.
Fra gli indoli, uno in particolare, detto indolo-3-carbinolo, interferisce con il metabolismo degli estrogeni, limitando la proliferazione cellulare indotta da questi ormoni in alcuni tessuti.
Fra i pigmenti di cui questo ortaggio è ricchissimo ricordiamo la clorofilla, la luteina e il beta-carotene, anch’essi protettivi rispetto a diverse patologie. Gli esperti consigliano di consumare almeno tre porzioni a settimana di Brassicacee, cioè cavoli e broccoli, per assumere quantità sufficientemente protettive di queste preziose sostanze.
La ricchezza nutraceutica del cavolo nero si associa,peraltro, a un apporto calorico molto basso, che rende questo ortaggio adeguato anche a chi è in sovrappeso e a chi soffre di diabete. Attenzione, però, alla zuppa! Essa è un piatto tradizionale molto gustoso, ma calorico, sia per la presenza cospicua di pane che per il metodo di cottura utilizzato durante la preparazione. Il modo più sano per consumare il cavolo nero è, in realtà, appena lessato e condito con olio extra vergine d’oliva, ricordando che le cotture molto prolungate ne impoveriscono le proprietà nutrizionali. Ottimo anche al vapore e mescolato a pangrattato e formaggio per farne uno sformato.
E la mitica zuppa, allora? Niente paura! Godiamocela ogni tanto, senza sensi di colpa, associata a un buon olio toscano!

Scritto per Dimensione Agricoltura

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Immagine tratta dal sito gustoblog.it
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Il ruolo dell’alimentazione in oncologia

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Il ruolo preventivo dell’alimentazione rispetto allo sviluppo del cancro è riconosciuto da molto tempo. Il lavoro di studiosi come Franco Berrino ci insegna che mangiare correttamente, preferendo alimenti di origine vegetale freschi, di stagione e a basso indice glicemico contribuisce a mantenerci in buona salute. La FAO e l’OMS hanno dichiarato che alimenti e nutrizione sono i principali fattori ambientali in grado di influenzare l’induzione di malattie croniche non trasmissibili, in particolare cancro e malattie cardiovascolari.

Ma, oltre all’importanza indiscussa che il cibo svolge come strumento preventivo, qual è il ruolo della corretta e adeguata alimentazione nelle patologie oncologiche?

IMG_3169Dopo la diagnosi e i relativi trattamenti farmacologici, le abitudini alimentari possono fare la differenza e rappresentare un valido supporto alle terapie e alla loro efficacia. Il supporto nutrizionale è caratterizzato, dunque, da tre momenti fondamentali: 1) preparazione pre-terapia; 2) supporto alle terapie; 3) ricostituzione dei substrati e ripristino delle funzionalità.
1). E’ importantissimo, per cominciare, curare la salute dell’intestino prima di intraprendere le terapie oncologiche. E’ noto, infatti, quanto queste possano danneggiare le mucose dell’apparato gastroenterico, l’ecosistema batterico intestinale e il meccanismo fame/sazietà: sistemi in stretta correlazione con la buona salute del miocrobiota intestinale. Mettersi in condizione di affrontare le terapie con tessuti, organi e apparati in buone condizioni è utile ad alleviarne gli eventuali effetti collaterali.
2) . Nel corso dei trattamenti terapeutici (chemioterapici, ormonali, immunologici, chirurgici) l’alimentazione risulta fondamentale per affrontare stati di malnutrizione, stipsi o diarrea, mucositi e nausea, conseguenze di variazioni ormonali e immunologiche. Inoltre, è bene sapere che alcuni alimenti interferiscono con l’efficacia di alcune terapie e che quindi la scelta di come e cosa mangiare può fare la differenza.
3). Una volta terminati i trattamenti farmacologici, il malato oncologico si trova spesso a fare i conti con una stato di malnutrizione, dimagrimento o, al contrario, di sovrappeso. A questo punto, la riabilitazione nutrizionale e, quando necessaria una buona e specifica integrazione, rappresenteranno strategie adeguate per ritornare in salute e fare prevenzione secondaria.

 

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Autoimmunità e nutrizione

Sempre più spessomalattie_autoimmuni_intestino mi capita di incontrare pazienti affetti di malattie autoimmuni o con profili genetici che li prodispongono fortemente ad esse. Fino a pochi anni fa si credeva che lo stile di vita non avesse alcun effetto sul loro andamento. La scienza ha dimostrato recentemente la loro dipendenza dallo stile di vita, in particolare dallo stile alimentare e dai contaminanti ambientali.
Le malattie autoimmuni sono caratterizzate dalll’aggressione dell’organismo da parte del proprio sistema immunitario. Esso, quindi, invece di tollerare i tessuti e gli organi del corpo, li attacca come se fossero estranei e tende a limitarne la funzionalità, fino a renderli completamente inattivi. Alla categoria appartengono patologie croniche, su base infiammatoria, più e meno gravi, spesso con andamento altalenante e recidivante. Ne ricordiamo alcune: artrite reumatoide, morbo di Chron, colite ulcerosa, sclerosi multipla, diabete tipo 1, sclerodermia.

L’alimentazione di chi ha avuto una diagnosi di malattia autoimmune, o di chi sa di essere geneticamente predisposto, deve orientarsi verso il consumo di cibi semplici e un regime alimentare regolare che tenda a prevenire e mitigare l’infiammazione. Rispetto alla pasta e ai comuni prodotti da forno, è importante privilegiare i cereali in chicchi. E’ consigliabile evitare pietanze industriali, anche se biologiche, ed è preferibile acquistare prodotti freschi direttamente da chi li produce, possibilmente dopo aver instaurato un rapporto di fiducia e rispetto reciproco.
I cereali devono essere integrali, le verdure di stagione, fresce e colorate. Bisogna ridurre l’introito di proteine animali, di cibi ricchi di acido arachidonico e acido linoleico (molecole pro-infiammatorie); limitare il più possibile il consumo di grassi trans e integrare la propria alimentazione con vitamina E, vitamina C, selenio e zinco.
Tutto lo stile di vita sarà teso a limitare il più possibile gli stati infiammatori, lo stress e l’ansia. Si raccomanda di curare le ore di riposo e il movimento quotidiano, possibilmente all’aria a perta. Importante anche l’idratazione (2 litri di acqua al giorno).

Immagine tratta dal sito www.mednat.org

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Ritorno alla normalità

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Dopo le scorpacciate delle lunghe feste natalizie è bene ritornare alla normalità, ricominciando a regolare il nostro ritmo sonno/veglia e riprendendo a fare un’abbondante colazione al mattino. Riconsolidando il primo pasto della giornata, sarà più facile regolarizzare anche gli altri.
Torniamo a fare spuntini vari e leggeri a metà mattinata e metà pomeriggio e a considerare il pranzo come pasto centrale, più ricco e nutriente.
La cena, invece, ritornerà ad essere frugale e non troppo tardiva, permettendoci così una digestione più veloce e un sonno più riposante. In generale, diamo più spazio a frutta e verdura, anche sotto forma di frullati e centrifugati, prediligendo prodotti di stagione e coltivati sul nostro territorio.
Se durante le feste la pigrizia ha avuto la meglio sulla voglia di fare movimento, è il momento di tornare dinamici e concederci ogni giorno delle camminate all’aperto e a passo sostenuto.
Non dimentichiamoci l’idratazione: riposti gli alcolici e le bevande dolci, torniamo a bere l’acqua (vanno bene anche le tisane), abbondantemente anche lontano dai pasti, in modo da liberarci velocemente da tossine e sali in eccesso. Concediamoci, quando gradito, mezzo bicchiere di vino rosso a pasto, purché sia di buona qualità.
Niente sensi di colpa, dunque, e un po’ di buona volontà. In fondo, Natale, viene solo una volta l’anno!

 

(Scritto per Dimensione Agricoltura)

Di terre e di radici

cropped-DSCN5770.jpgNon sono toscana. Vengo da altri profumi, altri colori. Non sono di qua, né per sangue, né per caso. Sono isolana e della mia isola porto dentro l’odore acuto della zagara d’estate e l’ansia degli inverni appena freschi, come degli autunni stremati e lunghissimi.
Sono toscana, invece. Divenuta tale per volere di mio padre e di mia madre. Per scelta mia, dopo, per amore, tenacia e passione. Sono toscana, e sento questa terra come una madre generosa che ha consolato i pianti di nostalgia e condiviso la gioia di sentirmi a casa. Per emozione. Per convinzione.
Cos’è del resto, l’appartenenza a un luogo? Non è forse sentirsene parte? Non è sentire dentro di non potersene separare?
Sembro senza radici, ma non è affatto così. Affondo quelle d’origine sulla mia isola, piena di contraddizioni e bellezze che tolgono il fiato. Sono inquieta come quella terra fatta di lava e mare. Ma ho radici profonde anche qui, e non posso negarlo a me stessa se quando parto non vedo l’ora di tornare e di riempirmi nuovamente gli occhi della mia città e delle mie colline. Dei luoghi che vedono i miei passi, meditabondi, creativi e solitari.
Lungo i sentieri che scelgo per meditare, scorgo campi di un verde intenso che non so descrivere, tanto è particolare. I filari di vite che si rincorrono sulle colline lievi e rigonfie, come grembi fertili di madri in attesa, mi sembrano opera divina, ma poi ci ripenso. Perché divina? Perché, se questa sapienza è tutta umana? Se è dalle mani dell’uomo che sgorga la cura e l’attenzione per questa terra?

Non ho mai lavorato la terra. Faccio altro. E mi rammarico, spesso, di non avere i calli alle mani a testimoniare la mia passione per zolle e per spighe. Mi sento grata a chi mette in fila le viti e trebbia il grano, a chi suda e impreca di fatica e passione. Sono devota alla terra così come a chi la scolpisce con sapienza, rendendo la mia mente appagata da tutta la bellezza che dagli gli occhi arriva all’anima e se ne prende cura.
Cammino, dunque, e penso all’alba dei contadini. La terra è bassa, dicono, per figurarti la loro fatica. La terra è bassa. E camminare tra la fatica di anni di lavoro chino fa un certo effetto.
Scorgere le brutture di altri uomini, levatisi all’alba anch’essi, per cementificare, rubando zolle e sogni e bellezza a tutti noi, fa sgranare gli occhi. Fa tremare i polsi.
La bellezza è di tutti. La terra è di tutti.
E se domani la pioggia non la troverà salda e accudita mi sentirò persa. E se fra un mese al posto di questo sentiero troverò un muro e un cancello mi sentirò orfana e disperata.

 

Nutrimenti

DSCN5831La madre è la prima nutrice, il primo “non sè” con cui il bambino entra in contatto. La madre dispensa nutrimento e affetto e regola l’accesso al cibo, come accesso al piacere e all’oggetto dei desideri del proprio neonato. Il cibo, dunque, non è solo nutrimento per il corpo; esso è anche amore, paradigma di ogni desiderio, atto di piacere.
Siamo figli tutte le volte che mangiamo e madri tutte le volte che prepariamo da mangiare per gli altri. L’accudimento dell’altro, e quindi la relazione con l’altro, trovano l’esempio più significativo nel nutrimento. Mai, quindi, è bene rinunciarvi!
Il tempo speso in cucina, con e per gli altri, non è mai sprecato.

Per informazioni su percorsi, consulenze (anche a distanza) e seminari relativi all’argomento, contattatemi al 347 0912780

Per chi risiede a Pisa e dintorni: attualmente intervengo presso AIED Pisa, all’interno del Percorso di accompagnamento alla nascita.

DEMETRA: programma multidisciplinare per la prevenzione e la cura dell’obesità

Una nuova avventura, una sfida, un lavoro entusiasmante: a Lucca, presso il centro medico D33, si parte con la prevenzione e il trattamento del sovrappeso e dell’obesità. Un team multidisciplinare che prende in carico la/il paziente , guidandola/o, con incontri di gruppo e sedute individuali, nel pecorso difficile e spesso frustrante della riabilitazione nutrizionale e del dimagrimento. Abbiamo scelto di NON utilizzare la restizione alimentare, e di dedicarci con impegno, competenza e passione all’ascolto e all’educazione alimentare. Il team è costituito da psichiatra, psicoterapeuta, nutrizionista, internista/cardiologo ed esperto in attività motorie.
Venite a trovarci!

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L’insospettabile utilità di un limite

DSCN7305Questo, proprio, non lo digerisco!”. Quante volte abbiamo pronunciato questa frase riferendoci a qualcosa (o a qualcuno!) che ci resta sullo stomaco e non riusciamo a mandare giù? Un modo di dire comune, simbolico, tuttavia realistico per indicare il disagio che alcuni alimenti (o persone!) possono causarci.
Ebbene, in fatto di cibo, non tutto ciò che è indigeribile rappresenta fonte di disagio e problemi gastrointestinali. Esistono alcuni carboidrati che non sono digeriti né assorbiti ma che, fermentando all’interno dell’intestino, producono un effetto proliferativo nei confronti di batteri intestinali benefici a discapito di ceppi potenzialmente patologici. È il caso dell’inulina, un oligosaccaride capace anche di mitigare il picco glicemico dopo un pasto e di rallentare il tempo di svuotamento gastrico, prolungando così il senso di sazietà. La trasformazione di inulina nei suoi prodotti di fermentazione, inoltre, porta all’acidificazione dell’ambiente del colon, che rende il ferro contenuto negli alimenti più facilmente assimilabile. Cipolle, agli, asparagi, carciofi, porri, segale, topinambur e cicorie sono fonti di inulina, oligosaccaride di indubbia utilità a dispetto della sua indigeribilità dovuta alla mancanza di un enzima particolare, atto a scindere un tipo di legame chimico presente nella sua struttura. Un esempio, quello dell’inulina, di come in natura un limite possa rappresentare un vantaggio. Perlomeno, in fatto di cibo. Per tutto il resto, basta il buon senso!

Testo e immagine di Giusi D’Urso
Articolo pubblicato su Dimensione Agricoltura, novembre 2014

La scelta impopolare di non prescrivere diete

erebe aromaticheAll’inizio e fino a qualche anno fa, è stata una scelta impopolare. Molti dei pazienti che desideravano dimagrire rimanevano delusi davanti alla mia scelta di non prescrivere alcuna dieta grammata, di non fare pronostici sul numero dei chili da perdere, né conteggi calorici. Si sentivano disorientati. Avevano ragione! La dieta era legge. Peccato che, nonostante la sua diffusione, l’obesità era già, e lo è ancora, una pericolosa epidemia.
Di fatto, la mia proposta di aderire a percorsi alternativi, invece di imporre quantità caloriche e comportamenti rigidi, invece di eliminare categorie di alimenti e dare prescrizioni ferree sul quando, quanto, cosa e come mangiare, sembrava non soddisfare le loro aspettative.
Qualcuno mi confessava che “sentirsi” a dieta ferrea era l’unico modo per dimagrire!

Autofustigazione? Perché?

Di fronte a tanta rigidità ingiustificata mi ponevo molte domande. Possibile che il nostro rapporto col cibo e con l’atto di mangiare debba essere sottoposto a pratiche così rigide? A quale scopo? Con quale autorità una nutrizionista può sostituirsi a “regole” e processi chimici che la natura ha selezionato in migliaia di anni, associando la nutrizione umana alla gratificazione, all’istinto e all’apprendimento incentivante?

Il nutrizionista la sa più lunga della natura? Ma quando mai!limone1

Ho inziato, dunque, contro l’andamento generale, a non prescrivere più diete (se non in casi molto particolari) e a proporre percorsi di educazione alimentare che fornissero strumenti quotidiani, pratici, concreti. Strumenti che aiutassero l’individuo ad autogestirsi, in piena autonomia, nel rispetto assoluto dei propri gusti, delle proprie esigenze e del proprio stato di salute. E, nei casi in cui ci fosse stato bisogno di una prescrizione dettagliata di quantità caloriche e di comportamenti specifici, allora questo doveva verificarsi con la maggiore aderenza possibile a quella situazione, a quella persona! Partendo dal concetto che le esigenze quotidiane individuali sono importanti quanto i fabisogni nutrizionali e che l’anamnesi è, oltre che all’accurata raccolta di dati, anche un momento essenziale e insostituibile di ascolto, ogni percorso doveva inevitabilmente essere “unico”!
Ne è nata così una modalità di lavoro appagante, piena di spunti e di occasioni per approfondire, migliorarsi e aggiornarsi continuamente. Un’idea di fare nutrizione sull’individuo e per l’individuo, senza lasciarsi asservire alla bilancia e ai modelli estetici ricorrenti; partendo dalla letteratura e dalla conoscenza, trasferendo saperi in modo fruibile, in scienza, coscienza e rispetto per ogni bisogno, per ogni risposta, per ogni richiesta.

Faticoso! Ma estremamente appagante!

Oltre alla relazione empatica, diretta e arricchente con il paziente, uno dei passaggi più gratificanti della mia professione è la creazione di reti e team di lavoro, attraverso il coinvolgimento di altre professionalità. Perché? Qual è la necessità di avere relazioni con aziende agricole, GAS, esperti in educazione motoria, medici specialisti, educatori, pedagogisti clinici, psicologi, operatori culturali, artisti? Dove sta il vantaggio?
La risposta sta in una frase tanto banale quanto significativa: il cibo è molto più che nutrimento per il corpo! E chi fa il mio lavoro dovrebbe, a mio avviso, tenerne conto come e quanto tiene conto della biochimica e della fisiologia. Ogni individuo lega il suo cibo alla memoria, agli affetti, alle proprie esperienze, al proprio territorio, al proprio senso di gratificazione sensoriale (diverso, da un individuo all’altro) oltre che al proprio metabolismo. Come si può non tenerne conto?

Il nutrizionismo fra scienza, relazione umana e cultura. Perché no?

Attualmente, mi pare, il “bisogno” manifesto è quello di “imparare a mangiare bene”. In questa richiesta assoluta e spesso urgente sono racchiusi molti altri bisogni; in primo luogo quello di acquisire strumenti certi, fruibili, pratici che non servano solo a risolvere il momentaneo problema del sovrappeso, dell’ipercolesterolemia o della disbiosi intestinale, ma che accompagnino per la vita, rendendo i comportamenti alimentari una buona pratica quotidiana. Il resto è concatenato al modo di essere di ognuno: il cibo, come già detto, trova spazio nelle vita e costruisce relazioni, connessioni, organiche, emotive e sociali.
L’impopolarità iniziale della mia scelta professionale sì è trasformata, dunque, in spinta motivazionale e ha fatto del mio lavoro la strada che ogni giorno percorro con convinzione, certa che la prevenzione (sia primaria che secondaria), il supporto nutrizionale (sia in patologia che in fisiologia) e l’educazione alle buone pratiche debbano passare dallo studio continuo, dalla relazione e dall’ascolto, e non dalla mera e distaccata prescrizione di scelte e quantità “preconfezionate”.

 

 

Leggi anche Quanto ci piace mangiare

 

Immagini di G. D’Urso e de La MezzaLuna

La convivialità: momento da tutelare

IMG_3038A tavola non accendete la tv. Confrontatevi. Raccontatevi storie, che siano quelle di un tempo o la giornata appena trascorsa. Guardatevi negli occhi, indovinate l’uno i sentimenti degli altri. Non perdetevi l’occasione di ascoltarvi e riconoscervi, ogni giorno, fra i profumi del pasto condiviso e l’allegro tintinnio di posate.

 

Immagine di Giusi D’Urso