Archivio della categoria: Nutrizione

In punta di forchetta!

Un interessante studio americano sull’alimentazione preventiva (The China Study), recentemente tradotto in italiano, dimostra che la maggior parte delle patologie cardiovascolari, metaboliche e tumorali possono essere prevenute con uno stile alimentare sano.
Uno dei suoi autori, T. Colin Campbell, sostiene difatti che la causa delle malattie più comuni cui andiamo incontro sta “in punta di forchetta” e che, pertanto, è possibile gestirla e controllarla.
A pensarci bene, è una gran bella notizia! Significa, infatti, che con le nostre scelte alimentari siamo in grado di scegliere se stare bene o stare peggio.
In realtà, non è una novità. Il filosofo Feuerbach (1804-1872) asseriva :”Noi siamo quello che mangiamo”, indicando che il cibo che assumiamo influenza il nostro stato di salute fisica e mentale.
Ma molto tempo prima, Ippocrate scriveva “Fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo.”, indicando una via naturale alla prevenzione e alla cura delle malattie.
Se siete appassionati di internet e provate a fare una ricerca con le parole chiave “alimentazione e patologie” rimarrete esterrefatti di fronte alla mole enorme di produzione scientifica disponibile. Se leggete quotidiani e periodici non vi sarà sfuggita l’attenzione, ormai diffusissima, alla relazione fra cibo e salute.
Direi, quindi, che non ci manca di certo l’informazione. Potremmo vivere in un mondo di persone in salute, lucide, dinamiche e fiduciose nel futuro.
Invece, paradossalmente, leggiamo numeri allarmanti sull’obesità, soprattutto quella infantile (un bambino italiano su tre ha un peso eccessivo), sul diabete di tipo due (in continuo aumento e ad insorgenza sempre più precoce), sull’osteoporosi (presente già negli adolescenti e nei giovani adulti). Qualcosa non funziona come dovrebbe, allora.
Il cammino dell’informazione che, una volta acquisita, deve trasformarsi in consapevolezza e guidare le nostre scelte alimentari è, in qualche modo, disturbato, deviato, contaminato da altre informazioni, altri condizionamenti, altra “cultura”. La punta della nostra forchetta, dunque, è disconnessa dall’informazione che abbiamo acquisito ed è pesantemente condizionata dalle informazioni fuorvianti degli spot pubblicitari, che, spesso travestiti da messaggi salutistici, fanno presa sui nostri sensi di colpa e sulla mancanza di tempo, per spingerci ad un consumo poco critico e poco consapevole.
Ma il cibo non è un oggetto tecnologico, né un elettrodomestico e neppure un capo di abbigliamento: il cibo è ciò che diverrà parte di noi. Una volta ingerito ed assorbito, esso si trasformerà in ossa, carne, sangue, ecc. Come si può, quindi, rinunciare al proprio istinto, al proprio senso critico e alla propria consapevolezza dovendo scegliere “cosa essere” e come vivere?
Pensiamoci, ogni volta che decidiamo cosa infilzare alla nostra forchetta!

(Pubblicato su Dimensione Agricoltura di maggio 2013)

Voce del verbo seminare

Ci sono gesti che restano in mente e mettono radici. Uno di questi è l’apertura del braccio che semina a spaglio il grano. L’immagine del contadino con la pioggia di sementi intorno mi accompagna da sempre, rassicurante, sebbene oggi un po’ surreale.
La semina è un gesto antico che serba dentro l’agire un significato e una simbologia assolutamente immortali. Il grembo della terra accoglie il seme che darà i suoi frutti, dopo una crescita che vuole aria, terra, acqua, calore. Ricorda il ventre generoso delle madri.
La fertilità di un campo mi fa pensare al dono, all’offerta, al bisogno e alla sua soddisfazione. Ma l’essenziale generosità di una spiga di grano stride, nella mia mente, con l’attuale distorsione di questi concetti. Scambiamo continuamente i “desideri” per “bisogni“. Il bisogno, però, è limitato per definizione, dalla necessità precisa che lo esprime. Il desiderio, invece, no!

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Per pulirsi la bocca …

Non sono pisana. Sono approdata in questa bella città nel 1983, dal profondo sud, terra di cannoli, pomodori secchi e pasta di mandorle.

Al primo pranzo da amici, dopo arrosti e patate al forno, arrivò un tagliere con pecorini locali a pasta molle o consistente, freschi, stagionati, piccantini. Nonostante fossi decisamente sazia, mi ci tuffai a capo fitto e, dopo aver soddisfatto il mio palato da sorcio ghiotto, chiesi se si trattasse di una tradizione toscana o se fosse stata un’eccezione. I miei ospiti si guardarono interdetti e il più anziano, fra un boccone di pecorino e un altro di pane sciocco, rispose: “è pe’ pulissi la bocca, no?”. Allora, giuro, mi sembrò quasi una goliardata.

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Vuoi perdere peso?

1- Regola numero uno: smetti di contare le calorie. Il cibo non è un nemico, ma nutrimento e condivisione.
2- Nascondi le bilance: sia quella per alimenti, che quella pesa-persone.
3- Compra cibo fresco e vegetale. Che sia locale e stagionale.
4- Nascondi le chiavi dell’auto e impara a spostarti sulle tue gambe!
5- Evita cibi confezionati ed inutili (dolciumi e cibo spazzatura) .
6- Impara, conosci, scegli!

 

Studio Nutrizionale Giusi D’Urso 

Percorsi di Educazione e riabilitazione Alimentare. Per informazioni e appuntamenti:
347 0912780 

Piccoli gruppi al lavoro!



Percorsi di gruppo presso lo studio nutrizionale dott.ssa Giusi D’Urso
A Pisa, in Largo Arieti, 25, presso il centro serivizi Il Parlascio. 

Si tratta di gruppi di lavoro di almeno 5 persone (massimo 8). Gli incontri di gruppo, che partiranno dal 15 maggio, comprendono

  • conversazioni sulle strategie volte al mantenimento del peso adeguato, ad uno stile di vita sano e a scelte alimentari corrette;
  • laboratori pratici, per sperimentare gli strumenti appresi.

 

Percorso 1: “Ciccione a chi?”

  • A) per adulti: da 5 a 8 persone in sovrappeso o obese
  • B) per bambini: 5 bambini età 6-10 anni in sovrappeso o obesi
Percorso 1: “In pace con l’intestino”

Per adulti
: da 5 a 8 persone

 

Il lavoro di gruppo su temi quali il sovrappeso e il buon funzionamento dell’apparato digerente danno l’opportunità di confrontarsi e condividere problemi e soluzioni; offrono un luogo e un tempo per apprendere e sperimentare nuove strategie per rimanere in buona salute. Al centro di ogni percorso, oltre all’attenzione al proprio benessere, è posta la relazione umana, risorsa essenziale nel cammino verso stili di vita più sani!

Per informazioni sui costi e sulle date degli incontri, scrivere a
giusi.durso@libero.it, o chiamare al 347 0912780

Un bel contributo del collega Marcelli

DIETE? NO, GRAZIE

Come mai, nonostante tante diete e sistemi miracolistici proposti tutti i giorni da giornali, riviste, televisioni e negozi specializzati, l’obesità è in costante aumento piuttosto che diminuire?
Impariamo a conoscere cosa succede quando ci mettiamo a dieta.

STRATEGIE PER DIMAGRIRE

Sono in molti a credere che il sovrappeso e l’obesità siano condizioni derivanti solo da un’eccessiva assunzione di cibo. La strada da seguire per risolvere il problema è già tracciata.
Due sono, infatti, le strategie adottate:

  • ridurre la quantità di cibo (rilevante riduzione o dieta severa);
  • incrementare i tempi da dedicare all’attività fisica (palestra).

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Di sprechi e di risparmi

È tempo di crisi. Sai la novità!

Ma al di là del comprensibile scoramento, è un tempo, questo, da trasformare in opportunità. L’occasione di imparare a risparmiare, riducendo gli sprechi e tornando ad uno stile di vita più equilibrato, sostenibile e parsimonioso.

Secondo quanto dichiarato dalla FAO nell’ottobre dello scorso anno in Italia nel 2011 lo spreco di cibo a livello domestico è costato ad ogni famiglia circa 1600 euro l’anno, cioè il 27% della spesa annuale alimentare. Continua a riecheggiarmi in testa una frase letta in una relazione di Emanuela Amendola (dott.ssa in Economia, Associazione di promozione sociale La MezzaLuna): “Sebbene sia noto che l’incidenza dello spreco vari in base al clima, allo status socio-economico, alla cultura (per esempio, l’abitudine a preparare generosamente più cibo di quello che può essere mangiato), tuttavia resta evidente che, in ogni caso, lo spreco alimentare domestico non solo esiste, ma ha anche notevoli dimensioni economiche.”
Tutto sommato, è una buona notizia, perché su questo dato si può decisamente intervenire, non certo risparmiando sul costo del buon cibo, ma eliminando, appunto, inutili sprechi.

Come?

Iniziando, ad esempio, dalla lista della spesa, non dimenticando mai di farla prima di entrare in un supermercato, annotando solo ciò di cui abbiamo veramente bisogno ed evitando di fare scorte di dubbia utilità che, peraltro, ci costringono al continuo controllo della scadenza. Chi fa la spesa nei mercati contadini o direttamente dai produttori locali è avvantaggiato dal fatto che le materie prime sono stagionali e freschissime, quindi meno soggette a repentino deperimento. Inoltre, un prodotto ortofrutticolo fresco avrà meno scarti di uno confezionato, magari proveniente da luoghi lontani. In cucina, poi, avvengono straordinarie magie: come quella di trasformare molti scarti vegetali in materia prima per creme vegetali, zuppe e minestroni.
Anche la pasticceria si presta alla pratica del riciclo e, quindi, del risparmio. Un esempio: le bucce di molti frutti (non trattati), dopo essere state lavate e ben asciugate, possono essere ridotte in piccoli pezzi e congelate, per essere utilizzate in seguito come fonti aromatiche nei dolci. Oppure, in alternativa, si possono conservare in frigo, in un barattolo di vetro, ricoperti di un strato d’olio, per aromatizzare insalate, arrosti e frittate. La cucina del giorno dopo, inoltre, un tempo scontata perché necessaria, oggi torna di moda, con la trasformazione dei resti in polpette e polpettoni, frittate e sformati.

C’è un altro fenomeno che rende quest’era così difficile una buona occasione: la necessità di ricominciare ad insegnare ai nostri figli l’adattamento a tavola. Avvezzi ad avere sempre tanto e troppo, ad accedere a pochi gusti accattivanti e fidelizzanti, i nostri bambini spesso rappresentano, in qualche modo, un ostacolo ai comportamenti anti-spreco: cibi pronti dei quali paghiamo anche la confezione, alimenti ad altissima impronta ecologica, abitudine a sciupare e gettare via parte dei pasti, a rifiutare le novità, i piatti più semplici e le pietanze del giorno precedente.

E allora, dato che la crisi attuale non riguarda solo il nostro portafoglio, non solo il nostro Paese, ma coinvolge l’intero pianeta, l’intero sistema economico, c’è da chiedersi: i nostri bambini, figli di epoche indifferenti alle conseguenze dello spreco, riuscirebbero a sopravvivere in un mondo più povero di risorse?

Pubblicato su “Alimentazione” – Dimensione Agricoltura di Aprile 2013

 

 

 

 

 

Calorie? No, grazie, vado a molecole!

Le diete, si sa, sono strettamente imparentate alle calorie. O meglio, alla restrizione calorica. La parola dieta, in genere, non ci fa venire in mente l’antica Diaita che significa stile di vita; ma suscita una sorta di fastidioso senso di rinuncia, richiama inevitabilmente il sacrificio e la privazione.

Chi si mette a dieta, dunque, riduce le calorie. Le conta e le riconta, le taglia, le identifica immediatamente sulle etichette alimentari e passa parte del proprio tempo ad imparare come distribuirle durante la giornata e come compensare ogni volta che il suo istinto, la sua gola o la sua fame lo renderanno vulnerabile di fronte alla vetrina di un pasticcere, allo scaffale di un supermercato o alla dispensa di casa. L’industria alimentare, dal canto suo, offre prodotti “calibrati” ed equilibrati dal punto vista calorico, che vantano sulle confezioni il miracoloso obiettivo del dimagrimento in salute e bellezza.

Le diete ipocaloriche, diciamolo, sono comunque un vero incubo, che peraltro ha scarse ricadute sul mantenimento del peso forma a medio e lungo termine.

A fronte di una così diffusa pratica che pone un’attenzione quasi maniacale alla quantità di cibo assunto, c’è ancora una scarsa considerazione per la qualità di ciò di cui ci nutriamo.

In realtà, ripensando alle calorie, non siamo macchine termiche ma macchine chimiche: ogni volta che mangiamo, il sangue e l’intero organismo si modificano profondamente sia dal punto di vista ormonale che metabolico. Dopo ogni atto alimentare, dunque, siamo diversi rispetto a prima di mangiare. E questo non tanto a causa delle calorie introdotte, ma delle molecole di cui è costituito il nostro cibo. Così, gli zuccheri alzeranno la glicemia del sangue e indurranno produzione di insulina, i grassi verranno portati al fegato e distribuiti nei tessuti di riserva, alle cellule per il ricambio delle loro membrane, serviranno al trasporto delle vitamine liposolubili, costituiranno nuove guaine mieliniche per i nervi; così, le proteine andranno a costituire ossa e muscoli, formeranno anticorpi, enzimi e molecole ormonali. E a seguire, tutti gli altri nutrienti, in un grande fermento metabolico variegato, interattivo e complesso che sta alla base della nostra vita e della nostra salute.

È comunemente noto che un grammo di proteine o di carboidrati forniscono entrambi circa 4 grandi calorie; ma è altrettanto nota la funzione diversa che i due principi alimentari esercitano nel nostro organismo. In sostanza, due cibi possono fornire la stessa quantità di calorie ma essere qualitativamente e funzionalmente molto diversi.

Oltre ai nutrienti, il cibo, soprattutto quello industriale, può contenere additivi che si accumulo nel corso della catena produttiva. Quello proveniente da agricoltura intensiva conterrà tracce di pesticidi, fertilizzanti, ecc. Quello proveniente da paesi lontani sarà nutrizionalmente un p’ più povero.

Quindi, tornando alla dieta e alle rinunce che essa reca con sé, forse è il caso di riflettere sul non senso di certi calcoli e certi sacrifici e di informarsi meglio sulla qualità, e quindi sulla provenienza, del nostro cibo. È il caso, allora, di porci domande quali: meglio uno snack dietetico che contiene grassi tropicali e conservanti o una fettina di pane integrale con un buon olio extra vergine d’oliva? Meglio imparare a cucinare con pochi grassi o affidarsi a piatti dietetici pronti? Meglio un centrifugato di ortaggi di stagione o il beverone dietetico di turno?

Chi non si pone queste domande continua ad illudersi che il suo peso dipenda esclusivamente dalle calorie assunte e continua a delegare ad “altri” il suo benessere personale, dimenticando che ognuno è il personal trainer di se stesso. Una caloria non vale l’altra e il nostro metabolismo, depositario di una sapienza genetica millenaria, lo sa benissimo.

 

 

Pensieri di una nutrizionista distratta

Distratta. E’ vero, sono spesso distratta. Di quella distrazione che giova all’equilibrio emotivo; di quel divagare proficuo che regala leggerezza ai momenti pesanti. Distratta rispetto al rumore superfluo del mondo e al clamore che sfuggo e detesto.
La mia attenzione, dunque, è volubile e, passando dall’ascolto alla meditazione, dalla riflessione alla lettura, dall’approfondimento alle soluzioni, mi rende irrequieta dentro e curiosa fuori.
Sono una nutrizionista distratta. Mi distraggo spesso dal peso corporeo dei miei pazienti e mi concentro d’istinto sul loro racconto, sulle emozioni espresse, sulla mimica e sugli accenti che accompagnano i fonemi, che siano essi sussurrati con timidezza o urlati con ostentazione.
Osservo i segni esterni dei loro dolori e delle loro ansie e mi distraggo, così, dal numero espresso dalla bilancia, giustificandomi con l’idea che quel numero probabilmente è un approdo e che il viaggio, in fondo, è la cosa su cui vale davvero la pena di concentrarsi davvero.

Pane e parole

Far. Una parola piccola piccola eppure tanto grande, nel suo significato intrinseco ed  evoluzionistico, nelle tracce lasciate attraverso i secoli e nelle influenze sulla cultura e la civiltà dell’uomo. Far, in latino arcaico significava “cereale” e rappresentava ogni specie di cereale. Da far, dunque, farina. Farinoso. Sfarinare. Infarinare…

Le parole hanno sempre significati profondi, al di là di quelli più evidenti e nel loro tramandarsi, modificarsi e significare c’è qualcosa di segreto, quasi magico, che le rende preziose ed insostituibili.

È suggestivo leggere, ad esempio, dalle note di C. Darwin che molte lingue indicano il cibo e la bocca con fonemi simili ed assonanti a quelli che rappresentano la mamma; interessante, scoprire che l’evoluzione fonetica e fonologica intorno ai temi del cibo e dell’accudimento ha spesso radici comuni, dalle quali si possono cogliere spunti per riflessioni modernissime.

Ci penso ogni volta che mi trovo a lavorare con i bambini, concludendo, inevitabilmente, che è la capacità di stare con gli altri a modellare il nostro cervello e quindi il nostro linguaggio e il nostro comportamento. Compresi quelli alimentari. Che questa capacità ha radici profonde e segue tracce antiche, dalla nascita all’età del tramonto.

Il linguaggio, le parole e i comportamenti riferiti al cibo e in principio legati al bisogno, oggi trovano collocazioni differenti, si caratterizzano con intensità e tipologie variegate e si legano a spinte diverse da quelle puramente evolutive.

Ma, a fronte della maggiore capacità cognitiva, della massima espansione cerebrale e dell’apice indiscusso al quale è giunta la nostra intelligenza,  paradossalmente ci sfugge, spesso non cogliendone l’attimo, una meravigliosa ovvietà: l’essere umano che, rispetto a tutte le altre specie, ha il cervello più complesso e la socialità più elevata necessita di un periodo di dipendenza postnatale più prolungato che prevede, ineluttabilmente, l’accudimento da parte della madre. È in questa finestra spazio-temporale che i suoni e i gesti acquistano significato e diventano “linguaggio” e comunicazione. Come per gli antichi alle prese con i primi doni di Madre Terra, con i primi semi, con i primi far.