Il primo meeting online è dedicato alla gestione del peso ed è ospitato dalla piattaforma del magazine Al passo coi tempi. A questo link troverete tutte le informazioni.
(Le immagini sono di Al passo coi tempi)
Perché è difficile gestire il proprio peso corporeo? Quali sono le cause che concorrono all’aumento ponderale? È sufficiente mettersi a dieta per dimagrire? Perché le diete funzionano fino a un certo punto?
Il ciclo degli incontri dal titolo “La gestione del peso” si propone di fornire informazioni e strumenti per comprendere i meccanismi fisiologici e patologici alla base del sovrappeso e dell’obesità.
Modulazione fisiologica del peso, comportamento alimentare, microbiota intestinale e asse intestino/cervello, stress e infiammazione sistemica, perdere peso in salute, ruolo dell’alimentazione, ruolo dell’attività fisica.
N.B. Gli incontri saranno articolati in 1 h e1/2 di lezione della docente e una mezzora a disposizione per le domande.
Il costo del percorso è di 75 € a persona
I seminari non hanno valore professionalizzante, si pongono come obiettivo quello di fornire strumenti di comprensione e gestione dei problemi legati al tema affrontato. Non vengono rilasciati piani alimentari, né consigli specifici su stati fisiologici o patologici né sull’assunzione di specifici integratori. Non vengono rilasciati crediti formativi, attestati, materiali didattici. Gli incontri non vengono registrati.
Minimo 6 – massimo
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Il mio interesse per le difficoltà alimentari nell’età evolutiva è nato molti anni fa, quando, all’inizio della mia attività di nutrizionista, la pediatra che mi ospitava nel suo studio cominciò a inviarmi bambini sovrappeso. Era già in quegli anni un problema grave e urgente per il quale mi aveva voluto come collaboratrice. La malnutrizione per eccesso fu dunque la prima questione con cui dovetti misurarmi. Con il tempo però si delineò un’altra situazione non sempre opposta all’eccesso ponderale, anzi spesso parallela ad essa: la selettività alimentare. Non parlo dell’istintiva neofobia tipica dell’età del divezzamento che si risolve in genere entro i primi anni di vita, ma di un evitamento pervicace e assoluto che spesso metteva a rischio la crescita del bambino.
Cominciai a vedere bambini e adolescenti selettivi, presentati dai genitori come capricciosi e ostinatamente diffidenti. Gli stessi genitori spesso mi raccontavano rassegnati di non riuscire a inserire nessun nuovo alimento al di là di quei pochi accettati e che la maggior parte dei rifiuti era legata alle caratteristiche sensoriali del cibo: aspetto, consistenza, colore, odore, presentazione nel piatto. Mi si presentò un quadro variegato fatto di fughe tattili e altri comportamenti evitanti, reazioni di rifiuto anche violente accompagnate da pianto inconsolabile e agitazione, associati a sottopeso o a sovrappeso, rallentamento della crescita e dello sviluppo e carenze nutrizionali, soprattutto relative a vitamine, sali minerali e proteine.
Non fu facile capire come aiutare queste famiglie. La letteratura al riguardo era scarsa, la mia esperienza pure e le famiglie avevano la certezza che trattandosi di capricci bastasse insegnare ai figli qualche regola per restituire loro l’interesse nei confronti del cibo.
Sono passati molti anni e per fortuna il quadro oggi è più comprensibile, sebbene non tutta la letteratura disponibile sia concorde sui profili caratteristici e sui trattamenti efficaci. La selettività alimentare di cui racconto oggi è oggetto di molti studi, viene definita Disturbo evitante/descrittivo dell’assunzione di cibo (ARFID, Avoidant Restrictive Food Intake Disorder) ed è compresa anche nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5, 2013) fra i disturbi alimentari in età evolutiva.
L’ARFID può presentarsi in modi e con sfumature molto diverse, anche se presenta nella maggior parte dei casi caratteristiche di suscettibilità sensoriale. E’ un disturbo presente sia nella popolazione infantile neurotipica sia in quella con neurosviluppo atipico.
Ho già scritto di ARFID, se volete potete farvi un’idea qui, ma credo che continuare a parlarne aiuti a capire e ad acquisire strumenti sempre più efficaci.
Gli studi disponibili al momento sono molti. La studiosa di riferimento è Rachel Bryant-Waugh, della quale la casa editrice Positive Press ha recentemente tradotto un piccolo manuale dedicato a genitori e operatori.
Tutti i gruppi di studio mi sembrano concordi su tre punti essenziali: 1. una sempre maggiore attenzione al problema; 2. la realizzazione di linee guida e strumenti standardizzati accessibili a chi si occupa di questo disturbo; 3. il trattamento multidisciplinare.
Una questione che mi sta particolarmente a cuore e sulla quale sto lavorando da qualche anno è l’ARFID nei disturbi del neurosviluppo. Avrò presto il piacere di parlarne al Convegno nazionale AIDEE con un intervento dal titolo, appunto, La selettività alimentare nei disturbi del neurosviluppo.
Fra i quadri patologici che presentano l’ARFID la Disprassia e il Disturbo dello spettro autistico sono i più comuni. Sulla Disprassia, disordine di integrazione sensoriale che interferisce con la capacità di programmare, eseguire e coordinare compiti motori, il materiale bibliografico relativo alla selettività alimentare è più scarso e dispersivo rispetto a quello prodotto sul disturbo dello spettro autistico. Per farsi un’idea di questo disturbo, consiglio la lettura del testo Il bambino e l’integrazione sensoriale di Anna Jean Ayres che, sebbene datato, fornisce un quadro piuttosto completo sull’argomento. Un sito accessibile e ricco di informazioni al riguardo è quello di Rossana Giorgi, terapista della neuro-psicomotricità dell’età evolutiva. L’articolo al link è di Erica Certosino, rappresentante nazionale genitori AIDEE.
Riguardo al Disturbo dello spettro autistico, o meglio Disturbi dello spettro autistico*, e la presenza di ARFID nel 2017 è stato pubblicato da Ericson un Manuale completo e molto ben scritto, destinato a genitori (sebbene molto tecnico) e operatori, dal titolo La selettività alimentare nel disturbo dello spettro autistico, curato da Luigi Mazzone. Il testo offre una buona visione di insieme, oltre che una prima guida operativa ai professionisti della nutrizione che vogliono occuparsi o già si occupano di queste problematiche.
Il lavoro di riabilitazione nutrizionale con questi bambini è tanto interessante quanto complesso. Nel contesto della riabilitazione nutrizionale la difficoltà più frequente è contare su un team per la presa in carico multidisciplinare, creare cioè una rete di professionisti aggiornati che supportino e forniscano strumenti efficaci al bambino e alla sua famiglia e che siano disponibili al confronto costante e reciproco sui percorsi e sugli eventuali ostacoli. Negli ultimi anni però il mio lavoro è stato accompagnato e arricchito da professionisti e realtà locali che hanno reso più agevole l’intervento nutrizionale nei casi più difficili di ARFID in presenza di disturbi del neurosviluppo. In particolare, con il Centro Il Colibrì e l’associazione AIDEE Toscana si sono creati momenti di confronto proficui che hanno condotto anche a occasioni formative importanti. Da questo confronto è emersa ogni volta la conferma di quanto sia necessario l’impegno costante nella formazione di nutrizionisti competenti e nell’adozione di modalità operative condivisibili.
La strada è ancora lunga ma confido di percorrerla in buona compagnia.
*condizioni nelle quali le persone hanno difficoltà a stabilire relazioni sociali normali, usano il linguaggio in modo anomalo o non parlano affatto e presentano comportamenti limitati e ripetitivi (fonte Manuale MSD online)
Testo e immagine © giusi d’urso
Il corso fornisce conoscenze e strumenti significativi per la valutazione e il trattamento della fase che, dalla suzione, conduce il bambino a una alimentazione autonoma, con specifica attenzione alle abilità e alle competenze alimentari. Il corso si pone l’obiettivo di affrontare le tappe fisiologiche di sviluppo delle funzioni orali nel bambino, ma anche le patologie e le situazioni transitorie, fornendo alle professioni sanitarie coinvolte nella valutazione e nel trattamento (psicologo, NPI, logopedista, pediatri, dietisti e biologi nutrizionisti) gli strumenti necessari per lavorare in questo ambito così importante e delicato.
Il corso avrà un taglio teorico-pratico, con la presentazione di casi specifici al fine di consentire ai partecipanti un’esperienza di intervisione e confronto, utile all’interno della loro pratica clinica.
Troverete tutte le informazioni sul sito del Centro il Colibrì
Il cibo comunica cose e lo fa attraverso la nostra interfaccia sensoriale. Ci avevate mai pensato? Nel mio breve video ,che fa parte del progetto L’unione fa la forza cultura, si parla di questo e del romanzo La fabbrica di cioccolato di Roald Dahl.
La permanenza forzata a casa ci porta inevitabilmente ad affrontare il problema del ricorso eccessivo al cibo. Quali sono le strategie per poterlo affrontare con equilibrio e autocontrollo? Innanzitutto è fondamentale saziarsi ai pasti principali. La sazietà dipende da molti fattori: oltre che dal contenuto calorico del pasto, anche dalle percezioni sensoriali e dalla masticazione. Non distraiamoci, quindi, dalla gratificazione che sapori, odori, colori e consistenze possono darci. È un tipo di consapevolezza cui non siamo più abituati ma che ci aiuta a raggiungere prima la sensazione di piacere e di pienezza. La masticazione inoltre è davvero fondamentale, non solo per un più rapido raggiungimento della sazietà, ma anche per una migliore digestione.
Fondamentali sono anche gli spuntini fra i pasti principali: uno a metà mattinata e uno a metà pomeriggio. Essi hanno la funzione di spezzare il lungo digiuno e permetterci di non avere cali di energia e attenzione, oltre che di arrivare ai pasti principali con un appetito più gestibile. È consigliabile farli con frutta fresca di stagione, verdura cruda e croccante, frutta a guscio e semi oleosi. Ricordiamoci sempre che restando a casa il nostro dispendio energetico quotidiano si riduce e che quindi è bene ridurre contestualmente anche l’introito calorico.
Importante anche la funzionalità intestinale a cui sono legate le nostre risposte immunitarie. Ancora una volta sono gli alimenti vegetali a venirci in aiuto: frutta, verdura, cereali integrali e legumi con il loro contenuto in nutrienti, fibra e nutraceutici nutrono, curano e supportano i microrganismi che popolano l’ambiente intestinale, assicurandoci corretti assorbimenti, regolare funzionalità e soprattutto sollecita risposta immunitaria.
Educazione Alimentare e Distretto Rurale Val di Cecina
In un’epoca come la nostra, in cui è necessario e urgente fare i conti con il consumo di risorse limitate, l’idea di diffondere le buone pratiche alimentari è alla base di un percorso formativo più ampio e complesso che ponga l’attenzione sulla convivenza civile, la valorizzazione e il rispetto delle risorse ambientali e l’educazione agli stili di vita sani. I tre concetti (convivenza civile, rispetto ambientale e salute) non sono distanti tra loro, ma, al contrario, fanno parte di una stessa, ineludibile, urgente responsabilità cui tutti noi siamo chiamati: la sostenibilità. Pertanto, se con-vivere significa vivere insieme ad altri esseri viventi e “vivere in modo sano” significa rispettare i propri ritmi, il proprio corpo e i propri bisogni primari, il concetto di “sostenibilità” si incastona perfettamente fra i primi due, segnando, in modo inequivocabile, il passo del nostro tempo.
Nel contesto del Distretto Rurale della Val di Cecina, a fronte del suo innegabile valore di messa a sistema di valori, risorse e competenze, l’Educazione Alimentare assume un ruolo fondamentale, come prezioso strumento preventivo – individuale e di comunità – e ambientale. A condizione, però, che essa sia rigorosamente esperienziale, cioè che apporti all’esperienza del cittadino nuovi strumenti e nuove competenze da inserire in dinamiche circolari virtuose, cioè con ricadute positive su tutto il territorio. Il cibo, del resto, è l’importante luogo simbolico che perdura per tutta la vita e in cui convergono oltre che vissuti, esperienze ed emozioni anche la rappresentazione della terra da cui proviene, della storia che l’ha connotata, delle pratiche agricole che la rappresentano e la caratterizzano.
Cosa si intende per Educazione Alimentare Esperienziale?
L’esperienza alimentare di ognuno di noi passa attraverso la sensorialità e conduce alla conoscenza. Mangiamo volentieri cibi che conosciamo, di cui abbiamo sperimentato l’odore, il colore e la forma, la consistenza e la struttura. Di cui sappiamo la storia, l’utilizzo in cucina, l’effetto sul nostro corpo. Siamo più diffidenti, invece, nei confronti di ciò che non abbiamo mai sperimentato. È noto da tempo che l’esposizione a una grande varietà di sapori, colori e forme e il racconto (storico e scientifico) di ciò che li ha prodotti rappresenta la strada maestra per promuovere nell’individuo una maggiore varietà alimentare e, in definitiva, un’alimentazione più sana e più vicina ai suoi bisogni organici. In questo contesto si fa strada un’altra considerazione importante: se da una parte l’esperienza sensoriale alimentare può migliorare il rapporto degli individui con il cibo, dall’altra emerge in modo sempre più convincente l’utilità di un percorso di ri-costruzione del legame fra chi produce e chi acquista gli alimenti. L’agricoltura è, per definizione, “locale” e rappresenta storicamente l’ambito in cui gruppi di persone diventano comunità. Una comunità in cui colture e allevamenti comuni a un territorio si tramandano per consuetudine familiare o comunitaria, si caratterizzano per il passaggio da una generazione all’altra. Proprio da questa consegna nasce la parola “tradizione” (da tradere: trans – dare). I prodotti di questa agricoltura legata ai territori, caratterizzati da biodiversità e varietà, da un nome, una storia di relazioni, equilibri e caratteristiche noti e condivisi nel contesto locale, rappresentano eredità e patrimonio collettivo per le comunità che ne preservano la memoria e ne tramandano la preparazione.
In questa prospettiva, l’Educazione Alimentare rappresenta un efficace collante fra le varie attività del Distretto Rurale Val di Cecina e il motore propulsore di una nuova coscienza individuale e collettiva.
Articolo pubblicato su Dimensione Agricoltura di marzo 2020
Da diversi anni mi occupo di ristorazione scolastica, cioè strutturo piani alimentari, detti inadeguatamente menù, per le varie fasce d’età scolare. Si tratta di piani settimanali di cinque giorni che prevedono la composizione equilibrata e variata del pranzo, a volte anche degli spuntini, con una rotazione su quattro settimane per due stagioni, quella primaverile – estiva e quella autunnale-invernale. È un lavoro complesso che richiede competenze e concentrazione, ma soprattutto tanta pazienza. Oltre allo studio di grammature, calorie e copertura dei fabbisogni, chi si occupa di ristorazione scolastica deve fare i conti con alcuni fattori il cui effetto spesso rallenta le procedure e mette a dura prova il professionista. Se da un lato, infatti, c’è l’attenzione alla qualità delle materie prime, alla copertura dei fabbisogni, all’effetto salutare e preventivo del pasto, dall’altro non si può prescindere dal “gradimento” da parte dei piccoli utenti. Accade molto spesso che un piano fatto a regola d’arte, seguendo pedissequamente le linee guida ministeriali e regionali, con la dovuta attenzione all’impatto sulla glicemia, ai prodotti di filiera corta e al biologico non risulti in linea con il gusto dei bambini. Negli anni ho registrato un peggioramento di questo fenomeno e frequenti richieste di modificare il piano originariamente approvato dalla ASL per andare incontro alle richieste delle famiglie legittimamente preoccupate del digiuno, più o meno totale, dei loro bambini.
Mi sono chiesta spesso quale sia la strada maestra per risolvere il problema e ogni volta ho concluso che non ne può esistere una sola. Ma siccome per risolvere una questione da qualche parte bisogna pur cominciare, se dipendesse da me, comincerei da un canale diretto con le famiglie per valutare le problematiche che frustrano il buon esito di un pasto fuori casa. Partirei dal chiarire la natura dell’inciampo che spesso risiede nell’omologazione dei gusti e nelle cattive abitudini quotidiane dettate dalla fretta e dalla mancanza di consapevolezza. Partirei dalla lista della spesa e dalla ristrutturazione di piccole regole senza le quali adattarsi al pasto a scuola diventa difficile; dall’informazione e dalla pianificazione dei pasti in famiglia, dalla ri-valorizzazione di certe buone pratiche che un tempo erano assodate e che oggi facciamo molta fatica a seguire; dalla necessità di adattare la vita odierna, più veloce e frenetica di prima, a nuove strategie che consentano di mangiare con gusto, ma in modo sano. Per un’operazione del genere è necessario poter fare affidamento su professionalità adeguate che unite in rete garantiscano un lavoro capillare ed efficace sul territorio.
È in atto da poco un’interessante sperimentazione in Val di Cecina, dove l’educazione alimentare è stata posta al centro dei progetti del Distretto Rurale, riconosciuto come Distretto del Cibo dal Ministero dell’Agricoltura. Una realtà di questo tipo ha tutte le carte in regola per guidare il processo di miglioramento della ristorazione scolastica.
Per Dimensione Agricoltura di marzo 2020
L’attenzione al peso corporeo e alla salute è una buona pratica che permette di star bene con noi stessi e di prevenire gran parte delle patologie. Ma come si fa a perdere il peso in eccesso? Qual è la dieta perfetta? E, soprattutto, esiste una dieta perfetta? Ebbene, se con l’aggettivo perfetta intendiamo adatta a tutti ed efficace sempre e su ognuno di noi, la risposta è no, non esiste. Esiste invece la dieta (dal greco diaita, cioè stile di vita) che possiamo affrontare, sostenere e mantenere nel tempo. Cioè lo stile di vita, compreso quello alimentare, che viene incontro ai nostri bisogni fisici e psicologici; quello che, pur facendoci perdere il peso in eccesso, ci fa stare bene e in equilibrio con le nostre emozioni e con il nostro corpo.
Tuttavia, non è facile come sembra. Le buone pratiche alimentari si acquisiscono modificando comportamenti spesso radicati in profondità. Sostituire le vecchie abitudini con quelle nuove richiede molta motivazione. Le nuove pratiche devono risultare quindi sostenibili e, se possibile, gratificanti per l’individuo che si appresta a fare un percorso di recupero del peso salutare. Per questo motivo non è necessario e nemmeno consigliabile sottoporsi a estenuanti percorsi restrittivi, pieni di rinunce e frustrazioni, né delegare il proprio dimagrimento a fantasiosi e improbabili sistemi promossi in rete o a miracolose pozioni che sostituiscono i pasti. In assenza di patologie, infatti, il percorso migliore è quello che rende pro-attivi e consapevoli e che offre all’individuo la possibilità di acquisire nuovi e migliori strumenti di scelta e gestione del proprio cibo. Imparare a mangiare bene, a muoversi e a prendersi cura di sé è importante e si può imparare: ognuno con i propri tempi, con le proprie abilità e propensioni. A condizione, ovviamente, di volersi bene.
Articolo pubblicato su Dimensione Agricoltura – febbraio 2020
Dal punto di vista alimentare, l’autunno è una stagione ricchissima. Basti pensare alla grande varietà di ortaggi e frutti. Ma l’autunno è atteso soprattutto per la produzione del vino dell’olio. Su questi due preziosi prodotti della nostra agricoltura mediterranea si è detto molto, anche in questa rubrica. Questa volta quindi vorrei parlarvi del loro valore storico, simbolico e culturale. Percorrere la storia del vino e dell’olio significa conoscere la storia dell’umanità e delle varie civiltà che si sono succedute. I Greci esportavano la vite diffondendola nelle terre colonizzate. I Romani, invece, esportavano il vino, relazionandosi in un modo diverso con le popolazioni sottomesse. Con la caduta dell’impero romano e l’avvento delle invasioni barbariche, l’uomo smise di coltivare la vite, a causa delle devastazioni da parte delle popolazioni del nord. Niente viti, dunque, niente vino!
Ma il vino italiano sopravvisse ugualmente e in modo clandestino, grazie al suo significato religioso di cui nei primi secoli del medioevo l’uomo non volle fare a meno. I contadini, infatti, continuarono a mettere a dimora le viti in luoghi appartati e sicuri.
Ma i barbari non portarono solo devastazione: i Romani impararono dai Galli che conservarlo in panciuti recipienti di legno ne migliorava il sapore.
Poi c’è l’olio, che trova anch’esso nel bacino del Mediterraneo la sua culla. La pianta selvatica di ulivo era poco più che un arbusto. Con l’intervento dell’uomo divenne un albero e produsse stabilmente le olive. L’olio divenne sacro sin da subito. I Re di Israele venivano consacrati con l’olio. Di seguito, fu caricato di simboli importanti legati al cristianesimo e ai sacramenti. L’ulivo fu utilizzato dai Greci come simbolo di vittoria alle olimpiadi e i Romani ne diffusero la coltivazione nelle terre dell’impero. Come la vite, anche l’ulivo rischiò l’estinzione durante le invasioni barbariche. Fu salvato dai monaci che continuarono a coltivarlo negli orti dei monasteri. Portare a tavola vino e olio fa dunque parte delle nostre radici e delle nostre tradizioni. Per questo, oltre che per il loro valore nutrizionale e gastronomico, sono prodotti da tutelare, migliorare e diffondere.