Archivio della categoria: Nutrizione

A tavola per l’ambiente

È appena trascorso il Friday For Future, lo sciopero dei giovani che sfilano nelle città d’Italia e di altri Paesi del mondo per tenere alta l’attenzione sul rapido aumento delle temperature globali. Chiedono che la politica se ne occupi con scelte più attente e azioni più decise. Sulla giovane attivista svedese che ha il merito di aver promosso il movimento, Greta Thunberg, si è detto troppo e a sproposito, spostando l’attenzione dal vero focus della manifestazione e cioè la questione climatica. Al netto di tutte le controversie e le opinioni che ognuno si è fatto, attuare comportamenti a basso impatto ambientale è indubbiamente affare di tutti. Ognuno di noi può fare tanto e da subito, cominciando ad esempio dal proprio stile alimentare. La riduzione del consumo di carne e sicuramente una delle raccomandazioni principali, a causa dell’alto impatto ambientale degli allevamenti intensivi: chi la ama non deve necessariamente escluderla dalla propria dieta, ma sceglierla con attenzione e mangiarla con una frequenza minore (due volte a settimana per un adulto sano è più che sufficiente). Sceglietela da allevamenti non intensivi, che non fanno utilizzo massivo di antibiotici e altri farmaci, che alimentano gli animali in modo congruo e rispettoso della loro salute e dell’ambiente. Quando andiamo a fare la spesa, evitiamo incarti e contenitori di plastica, prediligendo alimenti sfusi. I rifiuti vanno riciclati o inceneriti, si tratta di processi che prevedono alti costi ambientali. Non facciamo scorte alimentari, eviteremo gli sprechi, ridurremo i rifiuti. Quando è possibile cerchiamo di raggiungere i punti vendita senza l’uso dell’automobile, camminare fa bene a tutti. A casa, riduciamo più possibile il consumo d’acqua: riutilizziamo le acque di cottura delle verdure per insaporire altre pietanze, beviamo acqua di fonte o contenuta in bottiglie di vetro a rendere. Cominciamo da qui. Per approfondire non mancano certo i siti su cui informarsi (www.wwf.it, www.saluet.gov.it, www.fao.org). La cosa più importante è attivarsi e farlo da subito. Credo che tutti noi lo dobbiamo ai nostri ragazzi, a noi stessi e al pianeta che ci ospita.

 

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Che cos’è l’ARFIDF, cioè Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione del cibo? 

Informazioni su ARFID (Avoidant-Restrictive Food Intake Disorder)

  • E’ il secondo disturbo alimentare più comune nei bambini di età pari o inferiore a 12 anni.
  • Può essere diagnosticato in bambini, adolescenti e adulti.
  • Le persone con ARFID sono ad alto rischio per altri disturbi psichiatrici, in particolare l’ansia, depressione, e disturbi del comportamento alimentare (soprattutto, anoressia).
  • Il 20% delle persone con ARFID è di sesso maschile.

 

 

Sintomi

  • Alimentazione monotona e o disordinata caratterizzata da mancanza di interesse per il cibo, estrema selettività, ansia e paure per le conseguenze negative dell’alimentazione (ad es. vomito, soffocamento, reazione allergica).
  • L’alimentazione selettiva non è dovuta alla mancanza di risorse disponibili, né a un pervicace controllo del peso e delle forme corporee (come accade nell’anoressia).
  • Può essere accompagnato da:
    • significativa perdita di peso o mancato aumento di peso e altezza
    • carenza nutrizionale (ad es. anemia sideropenica, carenza vitaminica, ecc.).
    • alterazione del funzionamento psicosociale (poca propensione alle amicizie e alla serena condivisione dei momenti conviviali).

Quando sospettare un ARFID?

  • Assunzione limitata o ridotta accompagnata da malessere generale (mal di pancia, mal di testa, problemi gastrointestinali vari).
  • Mancanza di appetito o interesse per il cibo.
  • Paura di soffocamento o vomito.
  • Incapacità o riluttanza a mangiare davanti agli altri (ad es. a scuola, a casa di un amico, al ristorante).
  • Neofobia non risolta in età scolare.
  • Progressiva riduzione della gamma di cibi accettati.

Conseguenze sulla salute

  • Problemi di crescita sia in peso che in altezza.
  • Malnutrizione per difetto con conseguenti affaticamento, debolezza, unghie fragili, perdita di capelli o capelli secchi, difficoltà di concentrazione e riduzione della densità ossea.
  • Perdita di peso o sottopeso grave.
  • Esposizione ad altre patologie.

Domande più frequenti

  • Si può trattare? Sì, esistono dei protocolli di trattamento basati sulla desensibilizzazione sensoriale, il ripristino della copertura dei fabbisogni nutrizionali e l’educazione alimentare rivolta sia al bambino che alla famiglia.
  • Ci sono patologie che possono esporre più frequentemente all’ARFID? E’ stato visto che i bambini con autismo mostrano una maggiore frequenza di selettività alimentare. Ma ARFID può manifestarsi anche in pazienti con sviluppo tipico che hanno subito piccoli traumi in tenerissima età (vomito frequente, sondino naso-gastrico, o altro).
  • Quali sono i professionisti più adeguati al trattamento di ARFID)? È opportuno ce il paziente sia valutato da un medico (pediatra, neupsichiatra, altro specialista) perché formuli una diagnosi esatta. Sarà compito del nutrizionista provvedere alla riabilitazione nutrizionale e all’educazione alimentare. Rispetto alla desensibilizzazione sensoriale è opportuno affidarsi a personale appositamente formato da cui i genitori possono apprendere gli strumenti necessari a gestire autonomamente il problema. L’importante è affidarsi a professionisti che conoscono questo disturbo alimentare e che hanno strumenti per trattarlo.

(Per informazioni e appuntamenti scrivere a giusi.durso@libero.it, o telefonare al 347 0912780).

Riferimenti bibliografici

Nicely, T., Lane-Loney, S., Masciulli, E., Hollenbbeak, C., & Ornstein, R. (2014). Prevalence and characteristics of avoidant/restrictive food intake disorder in a cohort of young patients in day treatment for eating disorders. Journal of Eating Disorders, 2. Doi: 10.1186/s40337-014-0021-3.

Nicholls, D., Lynn, R., & Viner, R. (2011). Childhood eating disorders: British national surveillance study. The British Journal of Psychiatry, 198, 295-301.

Norris, M., Robinson, A., Obeid, N., ,Harrison, M., Spettigue, W., & Henderson, K. (2014). Exploring avoidant/restrictive food intake disorder in eating disorder patients: A descriptive study. International Journal of Eating Disorders, 47, 495-499.

Ornstein, R., Rosen, D., Mammel, K., Callahan, T., Forman, S., Jay, M., et al. (2013). Distribution of eating disorders in children and adolescents using the proposed DSM-5 criteria for feeding and eating disorders. Journal of Adolescent Health, 53, 303-305.

Zucker, N., Copeland, W., Franz, L., Carpenter, K., Keeling, L., Angold, A., et al. (2015). Psychological and psychosocial impairment in preschoolers with selective eating. Pediatrics, 136, 1-9

Per ulteriori informazioni, si possono consultare i seguenti siti:

https://www.ipsico.it/news/arfid-restrizione-evitamento-cibo-bambini/

https://www.istitutobeck.com/disturbo-evitante-restrittivo-assunzione-cibo

https://www.unabreccianelmuro.org/interventi-sulla-selettivita-alimentare/

https://www.aidap.org/2017/che-cose-il-disturbo-evitanterestrittivo-dellassunzione-del-cibo-arfid/

https://keltyeatingdisorders.ca/wp-content/uploads/2017/04/ARFID_NEDA.pdf

 

 

 

 

Immagini di Giusi D’Urso

 

Meraviglioso, dannato zucchero!

Il nostro organismo è costituito da miliardi di cellule che hanno costantemente fame di zucchero. Il cervello è l’organo che ne utilizza di più: un etto abbondante di glucosio ogni giorno. E questo è vero sia per chi è magro che per chi è in sovrappeso. In tempi molto remoti, infatti, è stato proprio lo zucchero a fornire ai primi ominidi la possibilità di sopravvivere a periodi di magra e di sviluppare capacità cognitive elevate. Per dirla tutta, il grasso dei pesci e della carne hanno favorito lo sviluppo di una rete neuronale capace di ideazione e progettazione, ma il glucosio, presente nella frutta e nella verdura (più tardivamente nei cereali) ha rappresentato il carburante adeguato e necessario allo sviluppo del grande cervello. Questo è uno dei motivi per cui il sapore dolce ci è così gradito.
Nell’epoca che stiamo vivendo di zucchero ne abbiamo in abbondanza. Bene, diremmo! Tutto a vantaggio del nostro cervello. Magari fosse così facile. Il problema è che oltre a quello presente nei cereali, nella frutta e nella verdura, lo zucchero oggi viene aggiunto in moltissimi prodotti industriali che quotidianamente entrano nelle nostre case. Per cui tendiamo a consumarne davvero troppo. Anche il comportamento opposto, però, non è corretto: eliminare ogni fonte di glucosio, depennando dalla nostra dieta pane, pasta, dolci e altri alimenti amidacei danneggia una serie di cellule e tessuti che lo richiedono per esplicare le loro normali funzioni, oltre a ridurre la produzione di neurotrasmettitori e neuro-ormoni che ci fanno stare bene e ci rendono di buonumore. E allora? La soluzione, come sempre, è la moderazione. Scegliere alimenti che lo contengono naturalmente può essere un buon inizio.

Scritto per Dimensione Agricoltura

Il buon cibo racconta

Qualche giorno fa, camminando per la campagna, lungo orti profumati e pieni di colori, riflettevo sul buon cibo e su quanto dica, arrivando nel nostro piatto, sulla terra e il lavoro dell’uomo che lo hanno prodotto. Mi è tornato in mente un ricordo lontano: una mattina in cui, poco prima dell’alba, mio padre mi portò a visitare un pastore proprio nel momento in cui veniva cagliato il formaggio. Il pastore mi illustrò i passaggi di quela procedura tanto antica e preziosa e alla fine mi dette da bere una grande tazza di siero e ricotta caldissimi. Sua moglie mi raggiunse per darmi una fetta di pane appena sfornato e così feci una colazione davvero insolita per una ragazzina dei primi anni ’80. Un’esperienza che non avrei raccontato ai miei compagni di scuola per paura di essere presa in giro e che oggi invece non manco di raccontare a tutti i bambini a cui faccio educazione alimentare. Cosa fu quell’esperienza? Un dialogo. Un racconto. Una lezione. Quella colazione che allora mi parve così strana, seppure gustosissima, mi raccontò di quel monte, di quelle pecore e di quei pastori, degli odori di quei pascoli, delle sfumature di quei colori. E mi insegnò che insieme al cibo mangiamo anche la terra e il lavoro da cui proviene e lo percepiamo con ognuno dei nostri sensi. Le percezioni sensoriali sono alla base dell’accettazione di un cibo e della capacità di conoscerlo e gustarlo nella sua interezza, fatta di mille sfumature e mille dettagli. Ecco perché è così importante offrire ai nostri figli solo cibo di qualità, portarli nelle fattorie, raccontare loro la filiera: impareranno ad ascoltare le sensazioni che i loro sensi restituiscono e la storia, antica e preziosa, che da un dato territorio è arrivata fino a loro piatto.

Scritto per Dimensione Agricoltura (immagine tratta dal sito della rivista)

Rifiuto del cibo e patologie metaboliche: un caso in corso.

molecola-del-fruttosio-40168389Recentemente è arrivata alla mia osservazione Rebecca (nome di fantasia): una bambina con intolleranza al fruttosio o fruttosemia. Si tratta di una patologia genetica, autosomica recessiva, caratterizzata dall’assenza dell’enzima fruttosio-1- fosfato aldolasi deputato alla metabolizzazione del fruttosio. Questo zucchero quindi tende ad accumularsi nel sangue e a provocare danni epatici, renali e metabolici. La malattia può manifestarsi già nella primissima infanzia con vomito, rifiuto del cibo e ipoglicemia. In assenza di una diagnosi precoce e della dieta deprivata di fruttosio, la situazione può essere così grave da arrecare danno epatico e renale e rendere necessario il ricovero in ospedale.
Rebecca ha poco più di due anni e di ricoveri ne ha già subiti diversi. Finalmente adesso la sua patologia è stata individuata e diagnosticata con precisione, pertanto la bambina sta seguendo una dieta completamente priva di fruttosio, saccarosio e sorbitolo. La difficoltà di strutturare e seguire un piano alimentare siffatto è rappresentata soprattutto dalla presenza di fruttosio nascosto in molti alimenti industriali. Pertanto è consigliabile utilizzare cibi che naturalmente non lo contengono. Inoltre, è importante lavorare sulla salute del suo intestino e sulla regolarità dei suoi assorbimenti, attraverso l’utilizzo di probiotici esenti da fruttosio (la cui ricerca è risultata davvero ardua!). Un altro aspetto fondamentale è l’integrazione vitaminica, attraverso prodotti di integrazione adeguati.
La gestione di una dieta deprivata di fruttosio in una bambina così piccola è molto complessa e faticosa, anche perché, a causa dei continui sintomi e dei conseguenti ricoveri, Rebecca ha sviluppato una reazione repulsiva verso il cibo e il momento del pasto in generale. Tale repulsione, inoltre, si sovrappone alla neofobia fisiologica che ogni bambino sperimenta fra il primo e terzo anno di vita. Le reazioni più comuni  di Rebecca attualmente sono il pianto, la stizza, la fuga e l’allontanamento dalla tavola apparecchiata, la tendenza a piluccare e l’estrema selettività. La crescita della bambina, al momento, è regolare e questo ci concede il tempo di instaurare con calma un buon rapporto empatico e strutturare un percorso adeguato.
Rebecca attualmente rifiuta anche alimenti proteici naturalmente privi di fruttosio quali la carne, l’uovo e il formaggio e il pesce che, in questa fase della crescita e in presenza di un regime alimentare così ristretto, assumono un’importanza fondamentale. Il lavoro con Rebecca è appena iniziato e fondamentalmente riguarda la sensorialità e le reazioni di diffidenza: stiamo imparando a conoscere il cibo e ad accettare la convivialità attraverso colori, reazioni tattili e l’uso di video appropriati. Il secondo step riguarderà la sperimentazione dei cibi da introdurre fra i suoi consumi in forma adeguata: in questo passaggio sarà fondamentale la collaborazione dei genitori nella preparazione dei pasti e nella condivisione familiare, serena e paziente.

 

 

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La colite non è un male necessario

Nel mio lavoro di nutrizionista, molto spazio e molto tempo vengono regolarmente occupati dall’attenzione alla funzionalità intestinale, poiché è noto quanto dalla salute del nostro secondo cervello dipenda quella dell’intero organismo e quanto il lavoro preventivo attraverso il cibo passi proprio dalla fisiologia di questa parte del nostro corpo, considerata così poco nobile eppure tanto importante. “Convivo con la colite da sempre!” è una frase che ho sentito pronunciare molte volte e che dà l’idea della rassegnazione con la quale le persone che soffrono di questo disturbo affrontano il disagio quotidiano dell’alvo irregolare. Sia colpa dei dolori, del gonfiore, della stipsi o della diarrea, il disturbo finisce per condizionare la qualità della vita, influenzando l’umore e le attività quotidiane.  Esistono diversi tipi di colite: infettiva, da agenti chimici, nervosa, da antibiotici, ulcerosa. La forma più frequente è rappresentata dalla sindrome dell’intestino irritabile (IBSIrritable Bowel Syndrome, nota anche come colite spastica),  un processo infiammatorio che colpisce circa il 20% della popolazione e che riguarda il colon o parte di esso. I sintomi più frequenti della IBS sono dolori addominali, gonfiore, scariche diarroiche alternate a periodi di stitichezza ostinata. In genere, si osserva l’alternarsi di periodi di remissione e periodi di acuzie e, nonostante non si tratti di una malattia grave, la sua frequenza e la sintomatologia fastidiosa ne fanno una delle patologie dalle conseguenze socio-sanitarie piuttosto considerevoli. Proprio per questo è importante sapere che, dopo la diagnosi di IBS effettuata dal medico specialista, con un piano alimentare adeguato e personalizzato e una particolare attenzione all’equilibrio della componente batterica intestinale è possibile alleviare la sintomatologia, allungare i periodi di remissione e rendere la qualità della vita decisamente migliore. Importantissima, in questo senso, è l’anamnesi che il nutrizionista effettua durante il primo incontro, in quanto l’attività del colon, e dell’intestino tutto, è influenzata, oltre che da fattori generali e accidentali, anche e soprattutto da fattori individuali, fra i quali quelli genetici, alimentari, stressogeni ed emozionali. Ricordiamo, infatti, che l’intestino rappresenta galtl’interfaccia che il nostro organismo interpone fra l’esterno e l’interno: ogni cibo di cui ci nutriamo fa parte dell’ambiente esterno fino a quando non viene assorbito nelle sue singole parti. Inoltre, questa interfaccia è davvero molto complessa dal punto di vista anatomo-funzionale, ricca com’è di tessuto atto all’assorbimento, terminazioni nervose, cellule immunitarie, tessuto neuro-endocrino e componente batterica. Quest’ultima, come è già stato detto in altri articoli di questo blog, rappresenta un vero e proprio organismo nell’organismo, costituendo quello che ormai conosciamo con il nome di microbiota intestinale. Questa ricchezza anatomo-funzionale pone l’intestino al centro di una vasta gamma di funzioni, oltre a quella più nota e comunemente ricordata, dell’assorbimento dei principi nutritivi. Da quest’organo partono infatti stimoli  e segnali neuro-endocrini che regolano l’appetito e la sazietà, il sonno e la veglia, l’umore, la capacità di gestire lo stress. Grazie alla componente immunitaria, continuamente sollecitata e “allenata” dal microbiota in equilibrio, l’intestino si trova al centro delle reazioni di difesa e prevenzione riguardo a molte patologie, non solo infettive. Sempre alla componente batterica dobbiamo anche la produzione di particolari sostanze protettive derivate dalla fermentazione di alcuni componenti alimentari. Alla luce di queste osservazioni, che peraltro mettono in risalto solo alcune delle molteplici funzioni dell’intestino, risulta comprensibile il motivo per cui se l’equilibrio di questo complesso sistema si altera le conseguenze sul nostro benessere sono macroscopiche e considerevoli. Risulterà chiaro quindi che adeguarsi a certi sintomi non solo significa rassegnarsi a sopportare quel fastidioso stato di cose, ma esporre il nostro organismo a deficit e rischi che a lungo termine possono esacerbare patologie più importanti di una semplice colite. E’ il cibo, come spesso accade, la prima vera terapia; esso però, una volta individuato, bilanciato e scelto attraverso un’accurata valutazione dei fabbisogni, dei gusti e della composizione corporea, deve essere supportato e accompagnato da un lavoro attento sulla popolazione batterica che non può e non deve essere considerata come presenza generica e comune, ma come preziosa connotazione personale, un’impronta che ci distingue, che guida e gestisce il nostro modo di compensare, sopperire e reagire. Anche il lavoro sulle emozioni e sulla loro gestione, sullo stress e sulla capacità di farvi fronte, rappresenta spesso una strada parallela auspicabile. La parola d’ordine, comunque, è ancora una volta “personalizzazione”, poiché ognuno di noi è unico. Anche all’interno!

 

 

 

 

 

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Immagini: la prima è tratta dalla rete, la seconda dal seguente sito: http://www.drkarenfrackowiak.com/