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Dimagrimento e microbiota intestinale.

Fino a qualche decennio fa se qualcuno avesse messo in relazione il peso corporeo con la fisiologia intestinale, probabilmente, sarebbe stato considerato un folle visionario. Una parte così poco nobile del nostro corpo può influenzare il metabolismo e l’effetto delle sue disfunzionalità? Lo avremmo chiesto in tanti, magari senza nascondere un pizzico di scetticismo. Eppure, oggi, nessuno si scandalizza sentendo parlare delle influenze che il secondo cervello può esercitare su molte funzioni del nostro organismo. È ormai noto, infatti, che il metabolismo riceve molti segnali regolatori dall’intestino e, in particolare, che la composizione batterica del microbiota, ovvero l’ecosistema batterico che lo popola, può giocare un ruolo importante nell’instaurarsi dell’obesità e di altre patologie, metaboliche e non.
Recentemente innumerevoli evidenze hanno dimostrato come e in quale misura il microbiota intestinale può contribuite all’instaurarsi di patologie quali sindrome metabolica, insulino-resistenza, obesità e diabete di tipo II. In particolare, esso pare strettamente legato agli assorbimenti, al bilancio energetico, all’omeostasi del glucosio e al grado di infiammazione sistemica legata all’obesità. Esperimenti su campioni fecali umani hanno evidenziato la presenza preponderante di particolari phyla batterici nei profili genetici microbici degli obesi. L’ecologia microbica intestinale e il grasso corporeo negli esseri umani è infatti legato a una minore presenza di Bacteroidetes e a una maggiore presenza di Firmicutes, caratterizzati – questi ultimi – da una maggiore capacità rispetto ad altri batteri di metabolizzare carboidrati non digeribili per estrarne energia. La perdita di peso è legata a una riduzione di Firmicutes, una maggiore presenza di Bacteroidetes e in generale una maggiore biodiversità microbica. Queste importanti modificazioni sono facilitate, supportate e mantenute da uno stile di vita sano e un’alimentazione ricca di prebiotici, ovvero di componenti alimentari necessari a nutrire e mantenere in salute il microbiota.
La letteratura scientifica, quindi, indica una strada possibile e percorribile nel trattamento dell’obesità e del sovrappeso: stile di vita sano, dieta adeguata, microbiota a posto!

Grafico peso
BMII grafici riportati di seguito sono relativi a un percorso di dimagrimento in una mia paziente obesa di 47 anni, che, oltre a cambiare le sue abitudini alimentari attenendosi a un piano dietetico aderente ai suoi gusti ma tendente alla riduzione di picchi glicemici e al maggiore consumo di fibra ,  frutto-oligosaccaridi e galatto-oligo-saccaridi, ha iniziato un protocollo di ripopolamento e mantenimento del microbiota intestinale, a base di particolari ceppi di Lactobacilli e Bifidobatteri. Quest’ultimo strumento ha portato a una maggiore regolarità intestinale e ha coadiuvato la perdita di peso, anche in presenza di una scarsa attività fisica. Ma la cosa che più colpisce in questo percorso, iniziato da nove settimane, è la modificazione del gusto e della richiesta alimentare quotidiana: la signora, infatti, non sente più la necessità di zuccheri semplici e ha ridotto spontaneamente le porzioni delle pietanze, in quanto più sazia e più gratificata dalle nuove sensazioni di benessere che il percorso le procura.

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Per approfondire:
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http://www.eufic.org/article/it/artid/The_role_of_gut_microorganisms_in_human_health/

 

 

 

Zucchero: da spezia antica a nemico moderno.

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Sebbene oggi lo zucchero sia il più comune e diffuso fra i dolcificanti, nel Medioevo era considerato una spezia, un condimento esotico molto apprezzato dalla Cristianità latina, ottenibile solo a caro prezzo per via commerciale ma coltivabile con relativa semplicità anche nel Mediterraneo. Le prime piantagioni di proporzioni consistenti pare fossero collocate in Sicilia, da cui fu esportato nel Quattrocento in Portogallo e successivamente nelle isole Canarie occidentali, in quelle di Capo Verde e del Golfo di Guinea. In breve, si trasformò nell’unico prodotto in grado di competere commercialmente con le spezie orientali. Il gusto molto apprezzato dello zucchero divenne popolare e molto richiesto, fino a sostituire in Occidente l’utilizzo del miele, nonostante i dolci fossero ancora considerati beni di lusso e relegati, dunque, alla tavola dei reali  di qualche famiglia nobile.
Da allora ad oggi, lo zucchero di strada ne ha fatta davvero tanta. Attualmente il suo consumo eccessivo e per un tempo prolungato è considerato una delle cause principali di disregolazione metabolica e aumento di peso. Non ci sorprende, vista la gradevolezza del suo sapore, la sua diffusione nell’alimentazione quotidiana e la facilità con cui è possibile reperirlo.
Ma quali sono i meccanismi attraverso i quali lo zucchero può danneggiare il nostro metabolismo?
Iniziamo facendo un po’ di chiarezza. Il saccarosio, o zucchero da cucina, è un dimero costituito da glucosio e fruttosio.
Il glucosio è il monomero il cui livello nel sangue (glicemia) e nei tessuti è regolato da ormoni particolari (fondamentalmente, insulina e glucagone). È utilizzato da tutti i tessuti e gli organi del corpo, e dal cervello come “carburante” preferenziale. Viene accumulato nel fegato e nei muscoli sotto forma di deposito (glicogeno), utile nei casi di digiuno prolungato (come quello notturno) o negli sforzi fisici improvvisi. Il glucosio proviene dalla digestione di alimenti ricchi di carboidrati, dall’utilizzo delle riserve di glicogeno o da processi di neosintesi effettuati dal fegato a partire da altre molecole (amminocacidi, acido lattico e glicerolo). Quando la quantità di glucosio nel sangue è eccessiva per lungo tempo, l’eccesso contribuisce alla formazione di acidi grassi che, inevitabilmente, innalzano la quota di trigliceridi presenti nel sangue.
12088159_831102997005223_3479382408958433296_nIl fruttosio è presente nella frutta e in alcuni ortaggi (carote, zucchine). Ma, oltre ad essere contenuto in questi cibi e nel saccarosio, esso è abbondante nello sciroppo di mais, detto anche sciroppo di fruttosio, presente in moltissimi prodotti industriali. La sua diffusione nella stragrande maggioranza degli alimenti confezionati è dovuta al fatto che, rispetto all’estrazione di saccarosio (da canna o barbabietola), la produzione di sciroppo di fruttosio è molto più economica.
Quali sono gli effetti dell’eccessiva assunzione di fruttosio? L’organo che li subisce in maggior misura è il fegato che, dopo aver trasformato una piccola quantità di questo zucchero in riserva energetica, comincia a produrre grasso che si deposita sulla superficie dell’organo (steatosi epatica non alcolica). Sono stati evidenziati altri effetti quali l’induzione di fermentazioni a livello intestinale con conseguente disbiosi a carico del microbiota e riduzione della sintesi di leptina, ormone che induce il senso della sazietà.
Sempre più spesso, oggi, si leggono sui social titoli allarmistici che additano lo zucchero quale uno dei cinque (o erano sette?) veleni della nostra epoca. La soluzione, però, non è escluderlo completamente dalla propria alimentazione, proprio come si farebbe nei confronti di un veleno, ma usarlo con moderazione, praticare quotidianamente attività fisica e associarlo correttamente agli altri alimenti. Pertanto, è importante sapere che l’aumento della glicemia può essere contenuto dalla presenza di fibra nello stesso pasto; diventa importante quindi consumare farine da cereali integrali e concedersi un dolce ogni tanto magari a fine pasto. Per quanto riguarda il fruttosio, quello contenuto nella frutta, in persone sane che ne consumano quantità adeguate, non sembra apportare danni al fegato. È importante invece ridurre, o meglio ancora evitare, i prodotti industriali che contengono sciroppo di mais, comprese le bibite edulcorate.

 

 

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Obesità infantile: l’osservazione dell’andamento del peso

Quando un bambino diventa obeso le cause strettamente cellulari sono prevalentemente due: un aumento del volume (ipertrofia) delle cellule del tessuto grasso (adipociti) e un aumento del loro numero (iperplasia). Mentre il volume degli adipociti, aumentato in conseguenza di un eccessivo introito energetico, risulta reversibile con il calo di peso, l’aumento del loro numero purtroppo non lo è. Per cui, la popolazione di adipociti che si stabilizza durante la prima infanzia (entro i primi 24 mesi) si manterrà numericamente inalterata per il resto della vita e potrà o meno “riempirsi” di grasso provocando aumento o diminuzione ponderale.
Occupandomi da tempo di nutrizione infantile, ho l’abitudine di mettere in grafico i pesi dei bambini che seguo, anche e soprattutto quelli pregressi che estrapolo dal libretto pediatrico o che i genitori mi forniscono insieme ad altri dettagli sulla crescita. E’ un lavoro che aiuta a rendersi conto se l’aumento di peso ha seguito e segue, durante la crescita di quel bambino, un andamento regolare oppure se si verificano situazioni degne di particolare attenzione.
Un’anticipazione dell’adiposity rebound (letteralmente rimbalzo di adiposità) è considerata un indicatore del rischio di obesità in adolescenza ed età adulta. L’adiposity rebound è il raggiungimento del valore minimo di adiposità prima dell’aumento fisiologico dell’Indice di Massa Corporea (IMC, cioè il rapporto peso in kg/h in metri al quadrato), che mediamente si

IMCbisverifica tra i cinque e i sette anni.
Le due figure riguardano l’andamento di IMC di un bambino di quasi 9 anni che seguo da circa un mese e mezzo.
La figura 1 riporta i dati pregressi estrapolati dal libretto pediatrico. Sull’asse delle ascisse vi sono i mesi di vita del bambino, mentre sulle ordinate i valori di IMC. Dai 2 ai 3 anni si osserva una tendenza alla riduzione e subito dopo all’aumento dell’IMC, anticipato rispetto al normale che dovrebbe verificarsi fra i 5 e i 7 anni. Un bambino che presenti una adiposity rebound precoce risulta generalmente (anche se non è sempre così scontato) magro o normopeso nei primi anni di vita per poi cominciare ad accumulare grasso in seguito, fino a diventare obeso in età scolare e in adolescenza.
IMCNella figura 2 sono riportati i valori di BMI, ovvero di IMC,  in ordinata e l’età in anni in ascissa. I puntini rossi sono i valori di IMC registrati dall’inizio del trattamento (tre incontri). Per ingrandire la foto è sufficiente cliccare sopra.
Il bambino in questione sta seguendo attualmente un programma di riabilitazione nutrizionale che comprende: 1) un percorso di educazione alimentare ed educazione al gusto, con esperienze ludiche e progressive di assaggio, racconti a tema, lavori di ricerca sui cibi graditi e non graditi e commento delle esperienze; 2) l’adesione progressiva a un piano alimentare dinamico che tiene conto dei suo gusti, dell’attività fisica e delle abitudini familiari; 3) un percorso di educazione alimentare e comportamentale con i genitori, per aiutarli a guidare il figlio e fornire loro strumenti di scelta alimentare consapevole.
E’ importante a mio avviso sottolineare quanto l’osservazione precoce e accurata dell’andamento del peso attraverso quella dell’IMC possa fornire preziose informazioni sulla tendenza o meno di sviluppare obesità, oltre che permettere, più tardi, di seguire l’andamento dei risultati di un percorso di riabilitazione nutrizionale. La prevenzione precoce, eseguita quindi nelle primissime fasi di vita, dovrebbe essere lo strumento operativo d’elezione, senza attendere che l’IMC raggiunga percentili al di sopra dell’80° o del 90° ed evitando per quanto possibile l’instaurarsi di complicazioni metaboliche, scheletriche e psicologiche spesso presenti nel bambino obeso.

Per approfondire:
-“Early adiposity rebound”: indicatore precoce di rischio per lo sviluppo di obesità e di complicanze metaboliche. M. Iaia, AUSL di Cesena, 2009.
– Childhood obesity: current definitions and recommendations for their use. M.R. Cachera,nternational Journal of Pediatric Obesity, 2011; 6: 325–331.
– Dynamics of Early Childhood Overweight. Pamela J. Salsberry et al, Pediatrics. 2005 December ; 116(6): 1329–1338.

L’argomento di questo articolo è ampiamente affrontato all’interno del testo Il cibo dell’accudimento.
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Veloce o leggero?

 

 

farro1Estate, tempo di mare e di cibi leggeri. Ma, attenzione e non scambiare per leggerezza la velocità! Con l’arrivo del caldo, si sa, mettersi ogni giorno ai fornelli non è proprio il massimo. Ma portando a tavola cibi che non richiedono alcuna preparazione si rischia di appiattirsi su affettati, formaggi e tonno in scatola, rischiando di rendere monotona la propria alimentazione e di introdurre più grassi e proteine animali del solito. Per ovviare a questo inconveniente è bene organizzarsi cucinando solo un paio di volte a settimana, facendo le “giuste” scorte da utilizzare poi nei giorni successivi. Un’ottima soluzione la offrono i cereali come il riso integrale e il farro, ma anche il cous cous e la quinoa (pseudocereale) che, una volta prepararti in quantità superiori a quelle necessarie nell’immediato, possono essere conditi, nei giorni successivi, a nostro piacimento con ortaggi stagionali e legumi, anch’essi precedentemente lessati. Ci aiuta molto la produzione estiva di verdure, colorate, versatili e ricche di sali minerali, che di volta in volta possono essere lessate, cotte in umido o consumate crude, oppure cotte al forno. Non dimentichiamo, poi, l’uso delle spezie e delle erbe aromatiche che esaltano i sapori e aiutano la digestione. Infine, da considerare anche i piatti tradizionali come ad esempio la panzanella, che può rappresentare un’ottima soluzione per un pranzo sulla spiaggia se arricchita di una fonte proteica, come le scaglie di grana o ceci lessi, e seguita da un buon piatto di verdura di stagione. Con un po’ di buona volontà e di fantasia, basta investire bene un po’ di tempo ogni settimana per godersi un’estate sana e gustosa.

Scritto per Dimensione Agricoltura

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Il cibo delle donne

da Spunti di NutrizioneAlla domanda di qualche giorno fa su come mai, pur essendo entrambe donne e per di più madre e figlia, due mie pazienti avessero ricevuto una prescrizione alimentare così diversa, ho risposto che ogni individuo, sebbene dello stesso sesso, e pur condividendo parte della sua genetica con un altro, non ha lo stesso metabolismo, tanto meno la stessa reazione a certe scelte alimentari per il semplice motivo che è, appunto e comunque, un individuo diverso.
Questo è ancora più vero ed evidente nella donna, nella cui vita le variazioni ormonali si avvicendano continuamente, connotando la sua salute e i suoi bisogni in modo vario e del tutto peculiare. Quindi, se per la figlia, in piena età fertile e desiderosa di un figlio, la prescrizione dietetica ha il fine di ottimizzare il ciclo ovarico e preparare l’organismo a un’eventuale gravidanza, per la madre, da tempo in menopausa, i consigli andranno nella direzione della mitigazione di alcuni disturbi legati al momento ormonale e della prevenzione di alcune patologie, tipiche di questa fase della vita, così come anche dell’aumento di peso e di grasso addominale.
Durante la vita fertile, la donna è soggetta a modificazioni ormonali cicliche che fanno oscillare il suo umore, le sue preferenze e il suo peso. Sarebbe impensabile elargirle consigli prestampati, poiché ogni donna fertile ha il suo codice genetico, il suo metabolismo, i suoi gusti e i suoi disgusti.
L’alimentazione, dunque, non può e non deve essere omologata, ma rispondere ai particolari bisogni di ognuno, senza troppe rinunce e andare incontro alle esigenze di quella persona, in quel momento della sua vita. Un certo alimento, quindi, potrebbe essere appropriato in una fase e meno consigliabile in un’altra; questo vale anche per l’associazione fra i cibi, l’utilizzo di alcuni condimenti ed erbe aromatiche e molto altro ancora.
Perché ognuno di noi è un pianeta originale e complesso. Questo, credo, rende il mio lavoro così vario e appassionante.

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Ancora un’emozione!

Fra pochi giorni si terrà la prima presentazione del mio nuovo libro “Il cibo dell’accudimento”.
Come sempre, non so dire la mia emozione. E’ strano che a chi fa della passione per la scrittura una professione, d’un tratto, manchino le parole. Ma è proprio così: l’ansia, l’entusiasmo e la gioia che mi accompagnano nel mio modesto mestiere di scrivere di cibo, relazioni e vita tacitano il verbale, come se ogni frammento di energia e attenzione fosse rimasto incagliato nel faticoso, seppure affascinante, navigare nel mare fluido e misterioso interposto fra i pensieri e il ticchettio frenetico sui tasti. Come se esprimere questo “tanto” e “tutto” che mi agita gioiosamente il cuore togliesse qualcosa all’emozione stessa, la sminuisse, la opacizzasse.
Così è, dunque. Sono emozionata e muta. Nell’impazienza di presentare quest’ultima creatura a chi vorrà scoprirla sorrido e sospiro in silenzio, gustando la soddisfazione di essere arrivata fino in fondo anche questa volta.
Vi aspetto, allora, per condividere questa mia vaga, seppure lusinghiera, idea di felicità!

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Cibo e sacralità – Un’intervista di TuttoMondo

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Dal sacro alla tavola
di Dario Soriani

La simbologia cui il cibo ci conduce è argomento affascinante e strettamente collegato al rapporto stretto e indissolubile con il sacro. Saggi, libri e tesi sono già stati scritti su questo antico legame e su tutto ciò che ne consegue, ma ciò non toglie che rimanga un argomento affascinante e stimolante che può ancora essere letto da punti di vista nuovi e guardato da angolazioni diverse, dando così spazio a riflessioni a loro volta nodali e basilari.
La sacralità, e molto di ciò che la riguarda, attiene intrinsecamente al rito. Allo stesso modo il cibo e l’alimentazione hanno nella loro storia molto di rituale: orari, tradizioni secolari, l’insieme di azioni che lo contestualizzano. Del rapporto tra cibo e sacro abbiamo tracce fin dalle antiche civiltà: i banchetti greci e i loro simposi, le offerte sacrificali agli dei, i cibi usati per rappresentare simbolicamente alcuni dei, gli egizi che mettevano il cibo accanto ai defunti per continuare a nutrire l’anima. E con l’avvento delle religioni rivelate questo legame si è stretto ancor di più; possiamo dire che le maggiori di queste religioni sono connaturate con il cibo e con le sue declinazioni e i suoi ritmi, i giorni dell’abbondanza (le feste) e i giorni del digiuno (le penitenze).

Alla luce di tutto ciò, e per dare un taglio caratterizzante all’argomento, abbiamo deciso di parlarne con Giusi D’Urso, biologa nutrizionista, educatrice alimentare, autrice di testi divulgativi, cofondatrice del Centro di Educazione Alimentare La MezzaLuna, esperta e amante del buon cibo in tutte le sue forme e le sue valenze. Leggi l’intervista su tuttomondonews.it