Da ottobre partiranno tre incontri di educazione alimentare gratuiti rivolti alle mie attuali pazienti e a quelle che hanno già terminato il loro percorso. Il ciclo di incontri “Il cibo della salute” ha lo scopo di completare l’iter nutrizionale, cognitivo ed educativo iniziato allo studio condividendo buone pratiche di utilità quotidiana. Non sarà uno sportello nutrizionale, non ci sarà posto per domande individuali sul proprio percorso o sul proprio piano alimentare, ma rappresenterà un momento di condivisione importante per imparare a mettere in atto, o a perfezionare, le buone pratiche alimentari, dalla lista della spesa al piatto.
Per questioni organizzative, è necessario (direi obbligatorio) comunicare la propria partecipazione. Potete farlo per mail o per telefono, specificando l’incontro al quale volete partecipare, il vostro nome e cognome e il vostro recapito telefonico.
Tutte le informazioni sono contenute nella locandina.
Vi aspetto! 🙂
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Mamma, voglio fare la dieta!
Accade spesso, sempre più di frequente, che i figli adolescenti o ancora più piccoli, comunichino con determinazione la loro decisione di mettersi a dieta. Si informano, soprattutto in rete, riguardo a cosa sarebbe bene mangiare e cosa no per stare in forma, aumentare la muscolatura, ridurre la circonferenza della vita, quella delle cosce, quella dei fianchi. Si confrontano freneticamente sui loro gruppi whatsapp sulla dieta senza grassi, quella senza dolci, quell’altra senza carne, senza pasta e senza glutine. Cominciano a dare direttive su cosa mettere a tavola a chi in famiglia si occupa della spesa e a chi di preparare i pasti. E in men che non si dica, il pasto diventa un vero problema: questo non si può, questo non lo vuole più neanche annusare, quest’altro gli piaceva tanto ma adesso lo ha escluso.
Cosa spinge i nostri ragazzi a decidere di privarsi di uno o più alimenti, innescando ansie e preoccupazioni? I motivi possono essere tanti e vari. I modelli estetici con cui i giovanissimi si confrontano quotidianamente sono tendenzialmente fuorvianti: modelle magrissime, personaggi dello spettacolo e dello sport palestrati e prestanti. Potremmo fare un elenco lunghissimo, basterebbe accendere per qualche minuto la tv o navigare fra i siti più cliccati dai ragazzi.
A volte, la sollecitazione a restringere il consumo alimentare nasce dall’imbarazzo davanti al gruppo dei pari che esibisce comportamenti e modelli distanti dalla realtà e che ne fa le chiavi d’accesso al gruppo stesso; oppure dopo un commento troppo pesante riguardo alle forme corporee. Altre volte, può accadere che i genitori siano molto attenti alla forma fisica e che quindi a casa si respiri, volenti o nolenti, aria di “dieta”, che in altre fasi della vita dei figli non sortirebbe alcun effetto. Nella mia esperienza professionale mi capita spesso di ascoltare genitori sopraffatti dai sensi di colpa per il timore che la loro attenzione all’alimentazione sana o una loro scelta alimentare un po’ drastica possano aver influenzato negativamente il proprio figlio o la propria figlia. A questi genitori dico sempre, col cuore in mano, che fare la mamma e il papà è davvero difficile e faticoso e che non devono sentirsi sotto giudizio, né lasciarsi schiacciare dai sensi di colpa, ma che, al contrario, sono stati bravi e attenti a individuare atteggiamenti potenzialmente pericolosi e chiedere aiuto.
Quando è davvero il caso di preoccuparsi al suono della frase “mamma, voglio fare la dieta”?
È bene non drammatizzare e attendere qualche tempo, restando in ascolto e osservando il proprio figlio o la propria figlia: questa scelta potrebbe essere (spesso lo è) momentanea e quindi passeggera. Se l’intervallo di tempo si riduce a qualche settimana, possiamo rilassarci e, senza dimenticare quanto è accaduto, riporre l’ascia di guerra. Se, al contrario, il periodo di restrizione si protrae oltre (mesi), con la tendenza a restringere sempre di più, ad evitare sempre nuovi alimenti e si manifesta con pensieri che diventano ossessivi, o con ansia e angoscia rispetto al cibo e all’atto del mangiare, allora è bene rivolgersi a un esperto, per valutare sia l’aspetto nutrizionale che quello comportamentale. Ricordiamo che nell’infanzia e nell’adolescenza ai fabbisogni nutrizionali di base è necessario aggiungere una quota di energia e nutrienti che supportino la crescita. È facile quindi immaginare come una riduzione calorica importante e prolungata nel tempo possa danneggiare il processo evolutivo, anche in modo importante. La diffidenza e il rifiuto nei confronti del cibo, della condivisione e del tempo trascorso a tavola, se prolungati logorano le relazioni e gli equilibri familiari, innescando paure e pensieri angosciosi ridondanti da cui poi è difficile disimpegnarsi.
Non dimentichiamo, infine, che siamo davanti a una trasformazione profonda e preziosa: il bambino che abbiamo guidato fino a questo momento sta per diventare un adulto, abbandonando vecchi schemi e antiche dipendenze, recuperando autonomia e identità e un’individualità nella quale spesso noi adulti stenteremo a intravedere il cucciolo che abbiamo messo al mondo e che conoscevamo così bene. In questo contesto così dinamico, il cibo rappresenta, e rappresenterà ancora per un po’, un veicolo di messaggi in codice, simbologie ricche e complesse. Sta a noi adulti decifrane i significati, arricchircene a nostra volta e accompagnare il nostro adulto in erba verso ciò che diventerà da grande.
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Il cibo fra il corpo e la mente
Mentre la quotidianità ci travolge con i suoi ritmi frenetici e le sue consuetudini, dimentichiamo spesso di cosa siamo fatti e come rispondiamo agli stimoli esterni. È bene ogni tanto ricordare che siamo organismi complessi, fatti di carne, ossa, pensieri, emozioni. Un ampio e articolato sistema di strutture anatomiche e psichiche connesse fra loro dalla chimica del corpo. Quest’ultima rappresenta uno dei substrati su cui agisce il cibo, con la sua composizione variegata di molecole. Il suo ruolo non è solo quello di nutrire, ma anche di interagire con le interconnessioni che caratterizzano il corpo e l’essere umano tutto. Spesso ci sfugge che anche i pensieri e le emozioni hanno un movens chimico: molecole di neurotrasmettitori e neurormoni, messaggeri intra ed extracellulari, che stimolano o inibiscono altre molecole, interagiscono con i propri recettori. Ogni nostra reazione, ogni sensazione, ogni sentimento hanno come base la chimica del sistema nervoso. Essa, integrandosi ad altre chimiche (a quella del codice genetico, del sistema immunitario) e con ciò che ci sollecita dall’esterno, produce reazioni, più o meno evidenti, sia a livello organico che a livello psichico. Insomma, la natura ha fatto davvero un gran ben lavoro, senza risparmiarsi in quanto a complessità.
Proprio questa caratteristica, così peculiare e così meravigliosa, a volte ci espone a dei rischi. In alcuni momenti della nostra vita o in alcune patologie, in particolare i disturbi alimentari, come ad esempio nel Disturbo di Alimentazione Incontrollata (DAI) ma anche nell’Anoressia Nervosa (AN) e nella (BN), così come nell’obesità e nell’ortoressia*, il cibo, con il suo ampio bagaglio di significati e simbologie, rappresentando atavicamente un ponte fra il corpo e la mente, diventa l’unico linguaggio con cui parliamo a noi stessi e al mondo che ci circonda. Questo accade nell’adulto, come nel bambino e nell’adolescenze e le sue conseguenze sulla salute possono essere anche molto gravi.
Quando le incongruenze dell’anima e dei pensieri diventano insopportabili può accadere che il cibo diventi la consolazione a portata di mano, smorzando così emozioni intollerabili, dolori profondi, autosvalutazione, stati di profonda frustrazione e delusione. Il corpo con le sue forme, interfaccia sociale fra noi e gli altri, depositario di memorie genetiche e metaboliche, spesso oggetto di giudizi terribilmente condizionanti viene coinvolto e sconvolto da pensieri ossessivi che producono disfunzioni nel comportamento alimentare. La formulazione di tali pensieri e la reazione del proprio corpo alla frustrazione e alla sofferenza che essi generano trovano nel cibo la chiave di volta, la strada per comunicare con se stessi e il mondo, il modus più congeniale per riempirsi, svuotarsi, amarsi, consolarsi. Per sopravvivere alla solitudine, al dolore, al giudizio degli altri.
Come già accennato, i meccanismi fisiologici che sottendono al consumo fisiologico del cibo, quale nutrimento del corpo e gradimento per la mente possono alterarsi a qualsiasi età: il DAI, in particolare, è fra i disturbi alimentari più diffusi, colpisce appunto tutte le fasce d’età e i livelli culturali, con un coinvolgimento del sesso maschile maggiore rispetto a AN e BN. Inoltre, è causa di molte complicanze metaboliche, cardiovascolari e psichiatriche.
Nell’età evolutiva, il sovrappeso e l’obesità sono espressione di un corpo in grande difficoltà, che racconta un probabile disagio, un’incongruenza che ha provocato una frattura, un cambiamento adattativo, alterando la rete chimica, delicata e complessa, che collega il metabolismo al peso corporeo e al funzionamento psichico. Lo stretto legame (fisiologico) fra il piacere di mangiare e la relazione del bambino con i suoi adulti di riferimento (in particolare la nutrice) si trasforma in un’arma contro se stessi, producendo e mantenendo il disturbo alimentare.
Ma un problema che nasce da un sistema complesso non può ammettere soluzioni semplicistiche. Per questo, i percorsi terapeutici che possono aiutare le persone affette dai suddetti disturbi devono contemplare più figure professionali che lavorano in rete, confrontandosi di continuo.
Dal punto di vista nutrizionale, diventa fondamentale instaurare un rapporto empatico, di accoglienza e fiducia, come base su cui costruire esperienze che supportino il paziente nel cammino, spesso lungo e faticoso, verso la riconversione del cibo da ciò che è diventato a ciò che deve tornare ad essere: nutrimento e piacere. Sia per gli adulti che per i ragazzi, sono necessarie sedute che mettano in contatto, nel modo e nei tempi adeguati, i sensi e le sensazioni con il consumo dei cibi che rappresentano il nemico o il conforto. Il lavoro sulla composizione corporea e sul peso è contestuale ma non sempre prioritario, perlomeno fino a quando non saranno raggiunti gli obbiettivi comportamentali di base. Per i più piccoli, è stato visto che i percorsi più efficaci sono quelli che coinvolgono l’intera famiglia pur lasciando spazio e autonomia al bambino o al ragazzo, in modo da ricomporre il complesso mosaico di emozioni e sensazioni corporee legate al consumo, alla scelta e al gradimento degli alimenti e sostenere così una crescita corporea e psichica fisiologica.
Non si tratta quasi mai di percorsi brevi e privi di inciampi, poiché il cibo e il suo consumo sereno e fisiologico rappresentano una parte molto importante e fondante della nostra vita, della nostra salute e del nostro modo di essere. Cibo, mente e corpo sono e saranno sempre le tre anime chimiche che ci compongono e ci rendono ciò che siamo. L’attenzione dovuta a questa triade così importante deve essere, da parte di chi se ne prende cura, alta e costante. In tutti i casi, diventa fondamentale la costruzione di un terreno ampio e sereno dove poter seminare nuovi obiettivi e accudire nuovi stili emotivi e comportamentali, trasformando, come nell’arte del Kintsugi**, ogni ferita in una nuova possibilità di migliorare il rapporto con il proprio corpo, con il proprio cibo e con il proprio mondo.
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Immagine tratta dalla rete.
* ortoressia: da Orthos (giusto) e Orexis (appetito),sindrome caratterizzata dall’ossessione del cibo sano, che spinge ad eliminare gruppi di cibi essenziali per paura di essere contaminati.
**Kintsugi: tecnoca artistica giapponese che valorizza le incrinature e le crepe degli oggetti rotti rempiendole con oro
Per approfondire:
– Prigionieri del cibo. L. Dalla Ragione e S. Pampanelli. Pensiero Scientifico Editore
– Ferite e ricami nella clinica dei disturbi alimentari E. Riva. Mimesis
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Capita spesso, durante i percorsi di dimagrimento, di affrontare e dover gestire fasi più o meno lunghe di rallentamento nella perdita di peso. All’inizio, mosso da una grande motivazione e pronto a lasciarsi guidare, l’individuo obeso o in sovrappeso comincia a perdere i primi chili con grande soddisfazione. Prima o poi, però, questa tendenza così rassicurante si attenua o subisce addirittura una battuta d’arresto. I motivi possono essere tanti e diversi: una minore adesione al percorso e la necessità di una nuova spinta motivazionale, l’inadeguatezza del piano alimentare, la mancanza di movimento, l’insorgenza di nuove resistenze metaboliche, ecc. Il fattore peso, inteso come numero espresso dalla bilancia, ha un grande potere sulla persona che cerca di dimagrire: può alimentare il suo buonumore e il suo benessere generale o gettarla nello scoramento più assoluto e riattivare quel circolo vizioso stress/iperalimentazione/senso di colpa/ ricerca di cibo tipicamente alla base di ogni fallimento pregresso. Ma è davvero così importante il peso espresso dalla bilancia ad ogni controllo? Siamo sicuri che ogni volta che esso rimane invariato, siamo davanti a uno stallo metabolico?
Le considerazioni da fare in merito sarebbero numerose e complesse, ma limitiamoci all’aspetto pratico di un reperto come quello accennato. Attraverso la valutazione della
composizione corporea è spesso possibile evidenziare come, nonostante non vi sia stata una perdita di peso misurabile, il rapporto fra massa magra (muscolo, scheletro, acqua) e massa grassa si sia modificato. Succede di frequente, ad esempio,quando, seguendo un buon piano alimentare e incrementando, anche di poco, l’attività fisica, l’individuo aumenti la sua densità muscolare, in concomitanza o meno di riduzione di adipe. Questo può non solo produrre una stasi nel peso, ma addirittura un aumento ponderale. Ricordiamoci, oltretutto, che il grasso pesa meno del muscolo e delle ossa!
L’immagine 1 mostra la stratigrafia di una donna obesa di 47 anni, in menopausa, il cui percorso di dimagrimento, iniziato ad ottobre e tuttora in corso (finora -12, 7 Kg in 7 mesi circa), è stato graduale e progressivo, ma non senza momenti di stasi o rallentamento della perdita di peso (fig.2). Il suo grasso sottocutaneo addominale, però, ha sempre mostrato modificazioni ad ogni controllo, sottolineando, anche a peso più o meno fermo, un adattamento e un rimodellamento metabolico dovuti ai cambiamenti dell’alimentazione e all’incremento di attività fisica.
Un’altra considerazione, più tecnica ma non meno importante, mette in luce la complessità organica e metabolica del tessuto adiposo, dalla quale nessun programma di dimagrimento potrà mai prescindere. A rischio di annoiarvi un po’, mi pare importante descrivere brevemente le funzioni del grasso e le loro implicazioni.
Il tessuto adiposo comprende due tipologie di grasso: grasso bianco e grasso bruno. Il tessuto adiposo bianco (quello di cui ci preoccupiamo quando siamo in sovrappeso) è una riserva di trigliceridi e un vero e proprio organo endocrino; quello bruno è deputato alla termogenesi e alla regolazione della temperatura corporea. Il primo è, da sempre, all’attenzione della ricerca e della medicina, in quanto sede degli accumuli grassi in eccesso e del fenomeno infiammatorio responsabile dell’obesità.
La fisiologia del tessuto adiposo bianco si è rivelata interessante e complessa, tanto da rendere l’adipe degno dell’appellativo di “organo endocrino”. La sua storia “endocrinologica” fa capo soprattutto alla scoperta della leptina, avvenuta nel 1994. Si tratta di una sostanza che, agendo attraverso il sistema nervoso simpatico, inibisce la spesa energetica. I livelli circolanti di leptina, importante anche nei fenomeni riproduttivi e nella plasticità neuronale, sono strettamente collegati alla massa grassa e la sua secrezione è aumentata nell’obesità.
Fra le tante molecole prodotte dal tessuto adiposo, l’adiponectina ha la funzione di amplificare la sensibilità all’insulina. La sua secrezione è ridotta nell’obesità. Questi due ormoni, dunque, svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione del metabolismo energetico e nel mantenimento del peso corporeo. Riguardo al contenuto di grassi accumulati nelle cellule adipose (adipociti), dagli studi è emerso che un eccesso lipidico può attivare una serie di segnali chimici tipici dell’infiammazione. La produzione di sostanze infiammatorie e la necrosi delle cellule adipose sono infatti circa tre volte superiori nei soggetti obesi, rispetto ai normopeso. Ma non basta: gli adipociti producono sostanze che agiscono localmente, inibendo l’infiammazione, mantenendo la forma delle cellule stesse, regolandone lo sviluppo e le comunicazioni con altri organi. Al momento, dunque, quello che sappiamo sul grasso è che, oltre ad essere, quando in eccesso, un fattore di rischio per importanti malattie, esso è anche un organo “regolatore”; una sorta di centralina chimica che ci mette in relazione con il mondo esterno, in particolare con il cibo, attraverso la regolazione di sensazioni quali l’appetito, la spinta alla ricerca di alimenti e la sazietà; un vero e proprio organo di “interfaccia” che reagisce a stimoli negativi producendo una batteria di sostanze chimiche che lo invadono e che segnalano una disfunzione agli altri organi (immunitario, endocrino, gastro-enterico).
Chi mai avrebbe immaginato, fino a pochi anni fa, guardandosi allo specchio e magari lamentandosi un po’ per quegli antiestetici cuscinetti adiposi, che fossero la sede di un tale complesso fermento!
A conti fatti, dunque, si potrebbe concludere che il peso di un individuo è solo la punta di un iceberg ben più profondo, complesso e articolato e che, tutto sommato, le sue eventuali periodiche battute d’arresto non sono sempre da leggere come dei fallimenti, ma spesso come fasi di assestamento metabolico e modificazione della composizione corporea. In altri casi, invece, quando da una valutazione approfondita emerga una situazione di totale stallo, è il momento di rifare il punto e capire cosa non sta funzionando, senza scoraggiarsi, né rinunciare al raggiungimento dell’obiettivo, ma trovando insieme a chi vi sta seguendo e guidando la strada più giusta per continuare. Del resto, si sa, ogni cammino è fatto di tanti passi e può prevedere qualche inciampo. L’importante però è continuare a rispettare la scelta di stare meglio, senza fretta, ma con la pazienza e l’attenzione dovute ad ogni grande cambiamento.
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La prima immagine è tratta dalle rete. Le altre due appartengono al mio archivio.
Si fa presto a dire “dieta”!
Per strutturare una dieta, oggi il nutrizionista ha a disposizione una serie di strumenti che rendono il lavoro agile e preciso. Possiamo fare affidamento su numerose formule predittive per il calcolo del metabolismo basale, strumenti sofisticati per un calcolo ancora più affidabile, altrettanti presidi per valutare gli introiti energetici e nutrizionali, altri ancora per valutare lo stato nutrizionale. Per non parlare dei software disponibili in commercio che velocizzano e ottimizzano i conteggi calorici e la ripartizione dei nutrienti nei vari pasti giornalieri. Vista così, la professione del nutrizionista sembra semplice e priva di alcun intoppo. La realtà però è diversa e il motivo principale risiede nella necessità di rendere un piano alimentare, un consiglio nutrizionale o di integrazione adatti a quell’individuo, con quello stato nutrizionale, quelle caratteristiche metaboliche, quei particolari gusti e, se c’è, quella particolare patologia.
Esistono linee guida generali per una sana alimentazione, destinate a tutta la popolazione; consigli che in ogni caso è bene seguire per mantenersi in salute, come fare attività fisica ogni giorno, non esagerare con i dolciumi e le carni conservate, fare attenzione alla qualità dei grassi, ecc. Ma ogni individuo, ci piaccia o no, è diverso dall’altro e questa diversità è la questione di base con la quale il nutrizionista deve fare i conti. Questo è il motivo per cui una dieta non può essere uguale a un’altra, non si può condividere con un’amica o un parente; lo stesso vale per un dato integratore alimentare. Dietro ogni scelta operativa legata al percorso nutrizionale c’è uno studio attento ai bisogni e alle dinamiche metaboliche che richiede competenze, tempo ed energia. La personalizzazione è un passo obbligato, e deve considerare categorie diverse di persone e periodi diversi della vita di uno stesso individuo. Così, un bambino mangerà qualitativamente e quantitativamente in modo diverso da un adulto e un anziano; una donna fertile diversamente da una donna in terza età; uno sportivo diversamente da un sedentario. Così, ci saranno casi in cui una dieta non è la soluzione e altri, invece, in cui lo è!
Se si è in presenza di una o più patologie la faccenda si complica ulteriormente: il nutrizionista deve, in piena collaborazione e intesa con i medici, tenerne conto e saper strutturare un percorso nutrizionale sinergico con le eventuali terapie, che supporti l’organismo durante il decorso e la convalescenza, per un’ottimale ripresa organica, tessutale e metabolica.
La complessità dell’essere umano e la sua individualità genetica, emotiva e metabolica richiedono, di volta in volta, attenzione e modalità operativa assolutamente personalizzate. Ecco perché parlare di dieta in senso generico non ha molto senso e rischia di creare malintesi e pregiudizi.
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Il supporto nutrizionale nelle patologie intestinali croniche
Mi capita spesso di supportare pazienti con patologie intestinali croniche ai quali viene spesso dichiarata, in sede di diagnosi e di controllo periodico, l’irrisoria
influenza, se non addirittura l’inutilità, di un particolare piano alimentare e di particolari accorgimenti riguardo alla scelta dei cibi. Detto e sottolineato che si tratta di malattie che hanno bisogno di trattamenti farmacologici adeguati, la cosa mi sorprende ogni volta, poiché credo che, visti gli studi numerosi e accreditati sulle relazioni alimenti-microbiota e microbiota-sistema immunitario, considerare il cibo privo di conseguenze, o di valore preventivo, su un quadro infiammatorio con sede intestinale sia quantomeno limitativo. L’attenzione alla dieta è invece necessaria, nonsolo per i motivi appena accennati, ma anche per sopperire ad eventuali carenze nutrizionali cui questi pazienti possono andare incontro a causa di malassorbimento o di evitamento di cibi e pietanze percepiti come dannosi.
Ma facciamo un passo indietro e capiamo cosa e quali sono le malattie croniche dell’intestino, (“IBD“, inflammatory bowel disease). Esse comprendono la malattia di Crohn e la rettocolite ulcerosa. In Italia circa 200.000 persone siano oggi affette da queste patologie, con un numero di nuove diagnosi negli ultimi 10 anni, incrementato di 20 volte. L’esordio, in genere, avviene in un’ampia fascia d’età, fra i 15 e i 45 anni, con la stessa frequenza in entrambi i sessi. Non si tratta di patologie ereditarie, ma è stata riscontrata una tendenza alla predisposizione familiare. L’andamento di entrambe le IBD è cronico (cioè non vi è una risoluzione definitiva) e ricorrente, con periodi alternati di fasi a cute e fasi di remissione. In entrambe le patologie, il sintomo ricorrente è la diearrea che, nel morbo di Crohn è accompagnata da importante dolore addominale, mentre nella rettocolite ulcerosa da perdite rettali di sangue e muco, oltre che dalla sensazione di insufficiente svuotamento alle evacuazioni. Entrambe sono dette “idiopatiche”, ovvero a causa sconosciuta. La reazione infiammatoria cronica che
si instaura è causata probabilmente da una reazione abnorme del sistema immunitario verso componenti del tessuto intestinali o ceppi batterici in esso presenti. Alla luce di studi importanti sul microbiota intestinale e sulle sue ampie implicazioni sulle risposte immunitarie dell’individuo, è ragionevole ipotizzare che alcuni fattori associati allo sviluppo di IBD possano essere rappresentati da sollecitazioni eccessive o effetti negativi sul microbiota. I fattori ambientali che possono alterarne la composizione comprendono la dieta, l’uso di antibiotici e l’area geografica. La nota “ipotesi dell’igiene” suggerisce che gli esseri umani che vivono nei paesi più industrializzati sono esposti sin dalla primissima infanzia a un minor numero di microbi che porta allo sviluppo di un sistema immunitario meno in grado di “tollerare” l’esposizione all’ambiente microbico in età avanzata. Questo può attivare in modo inappropriato le risposte immunitarie. In linea con questo concetto, è importante valutare, da caso a caso, il ruolo dell’alimentazione e, nei casi in cui se ne prospetti la necessità, dell’integrazione mirata di componenti pro-microbiota, batteriche e non (probiotici e prebiotici). E’ stato visto altresì che una dieta troppo ricca di grassi e proteine animali e povera di fibre può alterare il microbiota intestinale e aumentare il rischio per lo sviluppo di IBD. Sebbene, anche l’eccesso di fibra e di altre sostanze come polioli, polialcol e e di oligosaccaridi può rappresentare un fattore irritante e scatenante. In ogni caso, la situazione di scompenso nota come disbiosi intestinale è attualmente considerata un possibile fattore eziologico nella patogenesi di queste malattie. I progressi tecnologici che oggi consentono una caratterizzazione più completa delle comunità microbiche intestinali, insieme a recenti studi che mostrano quanto sia importante l’impatto della dieta sulla microbiota, forniscono un forte razionale per ulteriori indagini approfondite sul legame fra cibo, microbiota e sviluppo di IBD . Pertanto, mirare a regolarizzare i pasti, moderare il consumo di alimenti di origine animale, fornire all’intestino sostanze antinfiammatorie naturali, attraverso la scelta di alimenti adeguati e/o di prodotti di integrazione (attentamente valutati da un esperto) sarebbe auspicabile in ogni caso, poiché la salute e l’equilibrio del microbiota intestinale garantiscono migliori risposte immunitarie e assorbimenti più adeguati.
Nella mia pratica, più di una volta ho piacevolmente constatato quanto un piano alimentare ben studiato e plasmato sulle esigenze e i gusti del paziente, dinamico e passibile di aggiustamenti in initere, possa migliorarne la qualità della vita di questi pazienti.
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Immagini tratte dal web
Cibo e metabolismo spiegati ai bambini
Una interessante revisione pubblicata di recente su American Society of Nutrition sottolinea che, a fronte di una cospicua mole di lavori scientifici sul comportamento alimentare degli adulti, non vi è pari produzione riguardo al comportamento alimentare dei bambini e degli adolescenti. E’ strano, a pensarci bene, vista l’importanza e l’urgenza di fare proprio nelle prime fasi della vita un’efficace prevenzione dell’obesità e di altre patologie, metaboliche e non, attraverso una corretta alimentazione.
In tutta franchezza, per quanto sia auspicabile che la ricerca fornisca al riguardo quanti più dati possibile, credo che la scienza sia già in grado di fornire delle indicazioni sufficientemente precise e accurate per poter effettuare, a largo spettro, politiche alimentari virtuose. Intanto, senza la pretesa di estendere metodiche ambulatoriali a popolazioni numerose, una delle cose che chi ha il privilegio di lavorare anche con bambini e adolescenti potrebbe e dovrebbe fare è fornire più strumenti possibile ai piccoli pazienti e alle loro famiglie.
Concetti come l’impatto glicemico di un alimento, la combinazione corretta dei cibi che compongono un pasto, il ruolo della fibra sul microbiota intestinale, la regolazione dell’appetito e della sazietà, le conseguenze dello stress sul metabolismo rappresentano, una volta acquisiti, strumenti preziosi di autoregolazione e di scelta consapevole. Ovviamente, è d’obbligo l’attenzione alle modalità con cui questi vengono proposti, la quale deve tener conto di molteplici fattori, quali l’età del bambino, la problematica che lo ha condotto nel nostro studio, la possibilità di collaborazione coi genitori, il possibile inserimento dell’individuo in un gruppo e molto altro ancora: tutte cose che saranno evidente dopo un’attenta e dettagliata anamnesi e successiva meticolosa analisi del caso.
Un’altra occasione per fornire questo tipo di supporto è fornita dall’educazione alimentare a scuola: nel gruppo classe, infatti, i bambini e i ragazzi sono particolarmente ben disposti all’acquisizione di nuove conoscenze, soprattutto se affrontate in modo pratico ed esperienziale.
In generale, dunque, ritengo importante e irrinunciabile che i percorsi di riabilitazione nutrizionale destinati a bambini e adolescenti non si limitino soltanto alla mera indicazione di scelte alimentari consone e agli abituali controlli del peso e della composizione corporea, ma mirino a fornire coscienza delle modificazioni comportamentali e dei risultati che con esse arriveranno.
A dirla tutta, è una modalità con cui cerco di costruire tutti i percorsi nutrizionali, certa che la bontà e l’efficacia di un percorso, a chiunque esso sia destinato, siano il risultato non solo della competenza e dell’attenzione, ma anche della capacità di rendere fruibile concetti articolati e complessi come quelli relativi a cibo e salute. Non c’è nulla che non possa tradursi in linguaggio accessibile: l’importante è possedere l’elasticità, la creatività e l’empatia necessari una buona e corretta comunicazione.
Review citata: http://pubmedcentralcanada.ca/pmcc/articles/PMC4717882/pdf/an009357.pdf
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Fino a qualche decennio fa se qualcuno avesse messo in relazione il peso corporeo con la fisiologia intestinale, probabilmente, sarebbe stato considerato un folle visionario. Una parte così poco nobile del nostro corpo può influenzare il metabolismo e l’effetto delle sue disfunzionalità? Lo avremmo chiesto in tanti, magari senza nascondere un pizzico di scetticismo. Eppure, oggi, nessuno si scandalizza sentendo parlare delle influenze che il secondo cervello può esercitare su molte funzioni del nostro organismo. È ormai noto, infatti, che il metabolismo riceve molti segnali regolatori dall’intestino e, in particolare, che la composizione batterica del microbiota, ovvero l’ecosistema batterico che lo popola, può giocare un ruolo importante nell’instaurarsi dell’obesità e di altre patologie, metaboliche e non.
Recentemente innumerevoli evidenze hanno dimostrato come e in quale misura il microbiota intestinale può contribuite all’instaurarsi di patologie quali sindrome metabolica, insulino-resistenza, obesità e diabete di tipo II. In particolare, esso pare strettamente legato agli assorbimenti, al bilancio energetico, all’omeostasi del glucosio e al grado di infiammazione sistemica legata all’obesità. Esperimenti su campioni fecali umani hanno evidenziato la presenza preponderante di particolari phyla batterici nei profili genetici microbici degli obesi. L’ecologia microbica intestinale e il grasso corporeo negli esseri umani è infatti legato a una minore presenza di Bacteroidetes e a una maggiore presenza di Firmicutes, caratterizzati – questi ultimi – da una maggiore capacità rispetto ad altri batteri di metabolizzare carboidrati non digeribili per estrarne energia. La perdita di peso è legata a una riduzione di Firmicutes, una maggiore presenza di Bacteroidetes e in generale una maggiore biodiversità microbica. Queste importanti modificazioni sono facilitate, supportate e mantenute da uno stile di vita sano e un’alimentazione ricca di prebiotici, ovvero di componenti alimentari necessari a nutrire e mantenere in salute il microbiota.
La letteratura scientifica, quindi, indica una strada possibile e percorribile nel trattamento dell’obesità e del sovrappeso: stile di vita sano, dieta adeguata, microbiota a posto!
I grafici riportati di seguito sono relativi a un percorso di dimagrimento in una mia paziente obesa di 47 anni, che, oltre a cambiare le sue abitudini alimentari attenendosi a un piano dietetico aderente ai suoi gusti ma tendente alla riduzione di picchi glicemici e al maggiore consumo di fibra , frutto-oligosaccaridi e galatto-oligo-saccaridi, ha iniziato un protocollo di ripopolamento e mantenimento del microbiota intestinale, a base di particolari ceppi di Lactobacilli e Bifidobatteri. Quest’ultimo strumento ha portato a una maggiore regolarità intestinale e ha coadiuvato la perdita di peso, anche in presenza di una scarsa attività fisica. Ma la cosa che più colpisce in questo percorso, iniziato da nove settimane, è la modificazione del gusto e della richiesta alimentare quotidiana: la signora, infatti, non sente più la necessità di zuccheri semplici e ha ridotto spontaneamente le porzioni delle pietanze, in quanto più sazia e più gratificata dalle nuove sensazioni di benessere che il percorso le procura.
Informazioni su sedi, orari e modalità operative dello studio nutrizionale
Per approfondire:
1475-2859-10-S1-S10
ismej2011212a
http://www.eufic.org/article/it/artid/The_role_of_gut_microorganisms_in_human_health/
Sportello gratuito di orientamento nutrizionale
Il mio nuovo studio
Da giovedì 1 ottobre 2015 mi trovate nel mio nuovo studio, in largo Bandettini 4, Primo piano, int. 2
La Fontina (San Giuliano Terme) – Pisa.
Orari, sedi e modalità operative dello studio nutrizionale.
Per informazioni e appuntamenti telefonare al
347 0912780.