Archivio della categoria: parole

Pericolose interpretazioni

cropped-IMG_1909.jpgHo sempre pensato che la lingua italiana abbia l’immenso privilegio delle origini antiche e la generosità di espressioni molto variegate e versatili. È una lingua bellissima, ricca di sostantivi, aggettivi, sinonimi che si prestano a diversi significati, ad espressioni sfaccettate e sfumate. Rifletto spesso sulle parole, sulla loro origine, sul loro suono; e ce n’è una su cui da tempo mi arrovello: dieta.

Gli antichi greci, coniando il termine diaita, non avevano di certo in mente né il concetto di caloria né quello restrittivo di rinuncia alimentare finalizzata al dimagrimento.
È noto, invece, che questo termine, da cui oggi deriva il nostro abusatissimo “dieta”, significasse cura dello stile di vita per mantenersi in salute. Che ne è stato col passare del tempo di questo “senso” così prezioso?
Questa parola così piccola, col suo fardello di senso da portarsi dietro, generazione dopo generazione, epoca dopo epoca, moda dopo moda è arrivata fino a noi assolutamente irriconoscibile. Ed eccoci qui, a comprare libri su questa dieta o quell’altra, a metterci a dieta prima dell’estate, a prendere al volo offerte fantastiche di consulenze gratuite e diete on line, ad affidarci ad “house” più o meno specializzate che ci vendono prodotti dietetici a peso d’oro.

È accaduto che ognuno di noi, almeno una volta nella propria vita, si sia ritrovato a leggere mestamente un foglietto in cui da una parte figurano gli alimenti dietetici e dall’altro i grammi e le calorie corrispondenti. È accaduto e accade che inimmaginabili “esperti” abbiano ritenuto legittimo “sfornare” diete: chiunque abbia pensato che occuparsi (professionalmente o meno) di bellezza, salute, corpo, terra e cucina possa automaticamente rendere competenti sul tema “nutrizione” e, dunque, abilitati a fornire piani alimentari e dispensare consigli di dietistica. In fondo – si vocifera – per perdere peso basta mangiare meno e fare ginnastica!
Questo è accaduto, modificando così profondamente il significato di quella piccola parola.

Quante pericolose interpretazioni!

Se, per ipotesi fantastica, potessimo prescrivere una dieta dimagrante a una pecora, innegabilmente e irrimediabilmente erbivora, credo che i danni sarebbero ridottissimi; ci limiteremmo in fondo a farle perdere peso (oltre che a generare il cruccio sacrosanto della pecorella in questione!). L’essere umano, invece, avendo accesso ad una miriade di nicchie alimentari, è fornito di strumenti sofisticati di “adattamento nutrizionale”, grazie ai quali ha superato fasi storiche che hanno messo a dura prova la sua sopravvivenza. Egli, onnivoro e fisiologicamente neofobico, si ferma, diffidente, di fronte ad un cibo sconosciuto e lo assaggia con prudenza (pensiamo ai bambini!), valutandone eventuali effetti pericolosi. Questo significa che il cibo, per l’uomo, ha connotazioni complesse, antiche, articolatissime, come ad esempio quella sociale ed emozionale, da cui, volente o nolente, non può prescindere.

Le restrizioni, l’eccessivo controllo nella scelta alimentare, il totale disinteresse per la qualità, la provenienza e il gusto del cibo fanno parte del nuovo, dissacrante e distruttivo, significato della piccola parola diaita che, a nostra insaputa o a nostro dispetto, sta devastando il rapporto che l’uomo ha faticosamente e “sperimentalmente” costruito con il cibo di cui si nutre. Quest’ultimo, dunque, è diventato ora un nemico ora un farmaco; ora una pozione magica ora una panacea. Viene addizionato di vitamine, minerali e omega tre per essere “funzionale” e potenzialmente “protettivo”; viene demonizzato o mitizzato; diventa oggetto di sproloqui e di sentenze lapidarie, sui giornali, in tv, sui social; assurge a tema centrale di trasmissioni televisive propinateci compulsivamente ed ossessivamente. Senza pensare alle conseguenze. Senza immaginare, tanto meno spiegare, la meraviglia e la complessità di ciò che il cibo fa dentro ognuno di noi, né la strada che esso ha compiuto per arrivare fino al nostro piatto.
Nutrire e nutrirsi, ovvero prendersi cura di se stessi e degli altri. Perché discuterne in un salotto televisivo? Perché utilizzare l’argomento per titoli allarmistici sui giornali? E’ la Scienza, semmai, che deve occuparsene facendo molta, moltissima attenzione a non attentare ai significati originali e restituendo a tutti noi il vero “senso” di cose e parole.

Diaita. A me questa parola piace. Continuo a scriverla, a pronunciarla a voce alta e a godere del suono che produce. La scrivo sui miei quaderni, sull’agenda, sui miei libri…Diaita, la cura di sé, l’istinto e il piacere di mantenersi in salute. E il cibo? Dove collochiamo, allora, questo preziosissimo strumento di sopravvivenza? Insieme alla mia parola preferita, nella scatola mnemonica dell’ “istinto”, accanto a quella della “consapevolezza” e dell’ “ascolto di noi stessi”, senza cadere nelle trappole commerciali, senza lasciarsi tentare dalle strade in discesa che conducono ad obiettivi effimeri, senza disimparare chi siamo e da dove veniamo e, soprattutto, senza permettere a nessuno di cambiare il senso di cose così importanti come il nostro rapporto con il cibo.

foto di Giusi D’Urso

Libri in campo

libri in campoUn’apologia del buon cibo fra agricoltura e buone pratiche alimentari: sarà il filo conduttore dell’incontro che si muoverà dalle righe di “Ti racconto la terra”, il libro della biologa nutrizionista Giusi D’Urso, ospite il 18 marzo del quinto appuntamento della rassegna “Libri in campo” in corso all’Istituto Agrario di Todi.
Moderato dal giornalista Sandro Capitani della trasmissione radiofonica Rai “La terra: dal campo alla tavola”, il dibattito intreccerà temi come la sostenibilità, il paesaggio, le scelte alimentari, la stagionalità, l’educazione alimentare, la prevenzione, le tradizioni a tavola.
L’iniziativa vuole essere di supporto non solo agli studenti del “Ciuffelli” ma anche agli operatori delle mense scolastiche e alle stesse famiglie nell’ambito del progetto “Merenda a scuola” che vede l’azienda agraria dell’Istituto fornire colazioni a km zero ai bambini della Materna Broglino di Todi. Il tutto all’insegna di una ricostruzione del rapporto antico fra chi produce il cibo e chi se ne nutre e all’insegna di una nuova consapevolezza alimentare, argomenti di cui la D’Urso per le collaborazioni sul campo con numerose scuole ed associazioni di genitori.
“Ti racconto la terra” verrà presentato nell’Aula Magna del “Ciuffelli” (ore 11).
Il cartellone dei sei incontri di “Libri in campo”, nato per dibattere in occasione dei 150 anni dell’Istituto Agrario di Todi intorno al tema “Nutrire il pianeta” proposto da Expo 2015, si chiuderà martedì 1 aprile con “La terra che vogliamo” di Beppe Croce e Sandro.

Fonte iltamatam.it

La notizia è presente anche sulla home della Provincia di Perugia 

In divenire

I figli affondano ogni tua certezza e saccheggiano ogni briciola di energia. Ti cercano con l’egoismo sano del bisogno, ti imitano e ti scimmiottano allenandosi alla vita. Sono curiosi anche di ciò che a te non piace, rivoluzionano programmi e aspettative. Non sanno, e non devono sapere, la tua fatica e la tua rinuncia. Devono semmai impararle vivendo insieme a te.
E quante cose sanno che tu hai dimenticato! Quante ne imparerai crescendoli!
Ti stupiresti se ti raccontassi come l’accudimento non sia un caso né una vocazione. Ma in che misura esso sia chimica complessa, evolutasi nei millenni, composita e integrata con mille altre chimiche che ci rendono ciò che siamo.
Se tu sapessi, sono certa, capiresti che dalla dipendenza stretta, che ti toglie a volte il fiato, nasce l’autonomia di questo piccolo divoratore di tempo e di pazienza. E forse ne saresti più fiera e meno succube.

Dedicato alle madri.

Le ore piccole in radio!

 

 

In occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione, ho fatto le ore piccole con RadioRAI1!

Ecco il podcast della trasmissione

radio1

 

La pazienza per noi stessi

A volte alcuni gesti ci sembrano, dopo il tempo di un rapidissimo ritorno alla razionalità, sciocchi e, in fondo, privi di significato e di buon senso. La verità, invece, è un’altra. Gli slanci che illuminano o rabbuiano una giornata o un solo istante sono, forse, risposte sensate a richieste del nostro corpo e della nostra mente che non riusciamo a decifrare. E quando dico corpo, così come quando dico mente, intendo quella “chimica” che è segnale preponderante e atavico e che domina su tutto. Facciamocene una ragione.

1150225_10201895266652809_1040093048_n

Capita quindi di ritrovarsi ad abbracciare un albero, di correre incontro a un amico che ci è mancato, di piangere per la fine di un film o di riempirci di cibo fino a scoppiare. Capita e ci sembra fuori da ogni logica e dalla “fisiologia”! Ma, quando si parla di risposte chimiche a un qualche bisogno, sia esso fisico o psichico, come facciamo a stabilire con assoluta certezza cosa è fisiologico e cosa, invece, non lo è?

Mi capita spesso di ascoltare il racconto di giovani donne che, in momenti di estrema solitudine e frustrazione, ingurgitano cibo senza sosta e, soprattutto, senza fame. E me lo raccontano con le lacrime agli occhi, terrorizzate dall’essere irrimediabilmente compulsive.
E’ preoccupante, sì, registrare un aumento di questi comportamenti, anche fra i ragazzi e le donne più avanti con l’età. Ma lo è ancora di più notare che, nella nuova e legittima consapevolezza delle persone, maturi il concetto che tutto ciò che accade deve avere necessariamente un nome ed essere assolutamente catalogato come fisiologico o patologico.

Se mangio per una giornata in modo disordinato mi verrà il colesterolo alto; se ieri ho mangiato tutto il pomeriggio senza riuscire a smettere sono bulimica; se mi concedo qualche ora sul divano sono sedentaria, ecc. ecc. Si rischia, così di definire categorie rigide, omologanti, che appiattiscono le identità; che le negano e a volte le annullano.
Per fortuna, invece, non siamo né provette in cui, una volta inseriti determinati reagenti, avremo ovvi prodotti; né scatole Lego, da montare con le istruzioni senza permettersi distrazioni. Siamo dotati di istinto, emozioni, bisogni che insieme compongono ciò che siamo, con i nostri limiti, i nostri punti di forza, le nostre fragilità e i nostri comportamenti.

Se un giorno, quindi, vi capiterà di abbracciare un albero non convincetevi di essere folli, ma solo sensibili e felici di vivere in armonia con la natura. Se vi capiterà di mangiucchiare per tutto il pomeriggio, non sentitevi in colpa; perdonatevi quelle ore di “distrazione” dalle regole e di compensazione di una qualche frustrazione. Se rimarrete silenziosi ed introversi per qualche ora, non sentitevi asociali o depressi, ma solo bisognosi di tempo per rielaborare le vostre emozioni.
Se un inciampo diventa quotidianità, allora sì, andate fino in fondo; ma se esso rimane sporadico abbiate pazienza con voi stessi per quei gesti e quei bisogni fuori dalle righe che ci rendono tanto umani!

 

La cucina di Anna

DSCN5378Quando Anna era piccola le era proibito entrare in cucina durante la preparazione dei pasti. Sua madre la teneva lontana e non si curava della curiosità della piccola, perché la cosa più importante era non sporcare, non infastidire, non curiosare.
Quando sarai grande – diceva – cucinerai quando sarai grande. Adesso tocca a me, tu non sai nemmeno dove mettere le mani.
Nessun odore, dunque; nessun sapore, nessun gusto né disgusto per la piccola Anna, che moriva dalla voglia di pasticciare, impastare, sminuzzare.
Non era adeguata – dicevano. Non sarebbe stata capace.
Così lei imparò a restare distante e si convinse di essere incapace. Addirittura, si convinse di non amare quel luogo così caldo e pieno di magia che era la cucina della casa di famiglia. Rifiutò di sentirsi parte di qualcosa da cui era stata forzatamente allontanata. E così, difatti, fu.

Anna divenne presto una donna e s’innamorò. La cucina della sua nuova casa le si spalancò davanti, misteriosa, come la sua nuova vita, facendola sentire appassionata e creativa.
Trascorrevano ore, lei e lui, a preparare pietanze da condividere prima con gli amici, poi con i figli che arrivarono. Lei scoprì di essere fantasiosa e di amare curiosare fra nuove ricette e nuove creazioni culinarie. Si sentì ricca di cose belle, piena di sorprese da donare, colma di gioia e di idee.
Col passare degli anni, però, quell’uomo che credeva di conoscere bene e di amare profondamente cambiò. O forse fu lei a cambiare, ma questo poco importa. Quello che importa, invece, è che Anna fu allontanata di nuovo da quel luogo magico che l’aveva resa così felice e fatta sentire così utile. Lui prese “le redini della cucina”, come amava declamare con orgoglio davanti a parenti ed amici; lei era inadatta, poco adeguata…come da bambina.

Ma presto Anna rivolle indietro il suo tempo, anche quello fra i fornelli e non si trattò del capriccio di una bambina un po’ cresciuta, ma, al contrario della richiesta legittima e sacrosanta di accudire e ad esprimere ciò che era, o avrebbe voluto essere, attraverso il cibo e le azioni che da sempre, da tempi antichissimi, connotano l’attitudine umana a comunicare. Le sue pietanze non sarebbero state perfette; le ricette sarebbero state inventate; i suoi figli sarebbero rimasti interdetti o incuriositi, ma cosa importava? Anna desiderò provare ad essere finalmente se stessa e, con la tenacia sopita in quel cuore affamato di vita, riconquistò il suo luogo dell’essere e ricominciò dal punto in cui aveva abbandonato se stessa…

Anna esiste davvero, ma ha un altro nome. La storia che vi ho raccontato mi è stata donata, con rabbia e generosità, da una donna in cerca della strada per essere felice, recuperando se stessa e tutto ciò che un’infanzia sbagliata le ha tolto. Di lei e delle sue parole accorate, mi ha colpito l’assenza di pianto e rimpianto. Mi hanno fatto riflettere la tenacia e la passione con cui mi ha descritto il distacco da cose che aveva appena sentito sue. Mi ha intenerito la voglia di recuperare ogni briciola di vita persa per la strada.
Resto in silenzio e rifletto, adesso, augurandole tutto il bene del mondo.

Integrazione nutri-culturale

DSCN6549I modelli alimentari e le tradizioni culinarie fanno parte del patrimonio culturale di ogni individuo, così come le sue origini e il suo linguaggio. La storia ci insegna che il cibo identifica ma, necessariamente, differenzia. In caso di emigrazione, di fatto, lo stile alimentare è l’ultimo a modificarsi, ma anche ad essere compreso e accettato.

Gli ostacoli ad una integrazione alimentare fra popoli di cultura diversa ha radici lontane e si basa fondamentalmente sulla estrema difficoltà nel cambiare i propri gusti. La cucina tradizionale, legata per definizione al territorio e alla sua storia, permea il palato, diviene omologante in quel dato contesto collettivo, rendendo in genere diffidenti, insofferenti o indifferenti nei confronti di altri sapori. Il cibo, dunque, non è facilmente trasferibile da una cultura all’altra.

Tuttavia, a mio avviso, esistono delle eccezioni, una agli antipodi dell’altra, che demoliscono barriere culturali e diventano insospettabili strumenti di integrazione.

La prima è rappresentata dal Modello Alimentare Mediterraneo (MAM), che si distingue per equilibrio e completezza, è preventivo nei confronti di malattie metaboliche e cardiovascolari ed in realtà rappresenta una cultura, un modus vivendi, che va al di là del semplice atto di nutrirsi. Esso origina dalla cultura greca e le invasioni che si sono succedute nel corso della storia hanno apportato, alle abitudini alimentari pregresse, novità e cibi insoliti che sono stati integrati nel tempo divenendo, a tutti gli effetti, parte delle nostre abitudini alimentari. Ne sono un esempio il pomodoro dall’america latina, molte spezie, introdotte dai romani con i primi viaggi in terre da conquistare, usate nel medioevo europeo per conservare i cibi, e che presto divennero quasi uno status simbol che differenziava le tavole dei ricchi da quelle dei poveri. È il modello alimentare che ci identifica, nato dalle scelte parsimoniose delle nostre campagne e teorizzato dal biologo Ancel Keys negli anni ’40 del secolo scorso. Il Mediterraneo, ovvero tutte le popolazioni che ad esso si affacciano, ha condiviso, pur nella sua eterogeneità di culture e civiltà, pur nella sua varietà di metodologie culinarie, l’importanza dell’alimentazione quale elemento strettamente connesso all’uso del territorio e all’impatto di questo uso sul paesaggio agricolo, selvatico ed urbano.

Un’altra eccezione, capace di demolire barriere culturali in modo più potente e pregnante della prima è la globalizzazione alimentare, ovvero ciò che alcuni studiosi chiamano genericamente col nome di macdonaldizzazione, volendo significare la standardizzazione estrema dei prodotti alimentari che conduce ad una ristorazione completamente integrata di un numero sempre crescente di persone. Con l’industrializzazione del settore alimentare, almeno nel mondo occidentale, si assiste ormai da diversi anni all’abbattimento di barriere culturali, superando persino la naturale diffidenza che il cibo nuovo ed “estraneo” suscita fisiologicamente. La familiarità e l’accondiscendenza che ogni cibo doveva prima meritarsi per essere considerato parte della propria alimentazione è stata soppiantata dalla fiducia incondizionata nel brand. La televisione ha fatto da passepartout, è entrata nelle nostre case e, in moltissimi casi, ha decretato il successo dei nuovi alimenti.

Abolendo e livellando differenze, grazie al basso costo e alla sua estrema palatabilità, il cibo industriale ha dato una forte spinta alla nascita di luoghi che forse potremmo definire trans-culturali, come le paninerie, i ritrovi McDonald’s, in cui le differenze fra popoli si attenuano, favorendo indubbiamente una sorta di socializzazione.

Tuttavia, il prezzo di questo tipo di integrazione è altissimo se pensiamo all’epidemia di obesità e di diabete che ormai preoccupa anche i paesi in via di sviluppo e che la scienza lega strettamente all’eccessivo consumo di alimenti ipercalorici, scadenti e poco nutrienti.

I sociologi, pertanto, stanno ancora studiando le dinamiche di ciò che il cibo, in tempo di pace e di guerra, in terre vicine e lontane, in epoche di immani cambiamenti e intense migrazioni, può determinare. A noi, in attesa di un qualche illuminante saggio da leggere, non resta che prendere atto della sua potenza e continuare a trattarlo con equilibrio e, soprattutto, col dovuto rispetto.

 

Da La Scuola di Ancel

Ti racconto la terraCol mio lavoro ti racconto la terra…

A quanti mi chiedono cosa fa un biologo nutrizionista rispondo con orgoglio che si occupa di alimentazione, di salute e di cultura del cibo. Ogni piano alimentare e ogni consiglio nutrizionale che passa dalle mie mani a quelle di chi si rivolge a me contiene, oltre a consigli alimentari e comportamentali, racconti che spero restino dentro e lascino traccia. Sono i racconti sul cibo che mangiamo e che ci rende ciò che siamo. Le storie della sua produzione, della sua stagione migliore, dei luoghi da cui proviene, delle mani che lo hanno lavorato e della fatica che lo ha portato fino a noi.

In ogni piano alimentare, in fondo, racconto la terra. Ed è proprio questa convinzione e questo istinto che mi hanno condotto alla stesura del mio ultimo libro Ti racconto la terra.

continua a leggere su lascuoladiancel.it

Ti racconto la terra- recensioni e interviste

 

3672_Durso_cover_STAMPA_03

A questo link puoi ascoltare la registrazione dell’intervista rilasciata a La dolce linea, di Tiziana Stallone, per RaiRadioWeb, il 15 novembre 2013.

A questo, invece, puoi leggere la prima recensione sul blog di Laura Montanari (Repubblica Firenze).

 

 

 

Le foto della presentazione al Caffè di Repubblica del
Pisa Book Festival 2013, con Laura Montanari e Fabio Galati.

Foto: Repubblica Caffe' - Pisa Book Festival- Giusi D'Urso presenta Presenta "Ti racconto la terra"

Ti racconto la terra

E’ uscito il mio ultimo libro: “Ti racconto la terra”, per Edizioni ETS, con la prefazione di Rossano Pazzagli e le storie di vita contadina di Stefano Berti.

3672_Durso_cover_STAMPA_03L’agricoltura diventa la poesia di un racconto di vita vissuta, che insegna a chi legge la fatica e l’incanto della vita in campagna, e la ricostruzione del rapporto antico fra chi produce il cibo e chi se ne nutre.
Il racconto si intreccia alla divulgazione di temi come la sostenibilità, il paesaggio, le scelte alimentari, la stagionalità, l’educazione alimentare, la prevenzione, le tradizioni a tavola.
Così, dal paradosso dell’agricoltura e del cibo industriale alla consapevolezza alimentare, ogni pagina affronta temi urgenti che non possono più essere appannaggio di tecnici del settore, ma terreno di riflessione per ogni lettore.
Un libro per chiunque voglia cominciare ad operare scelte virtuose, avendone inteso il peso e l’importanza.

Il libro si può acquistare da subito attraverso il sito di Edizioni ETS e dal 20 novembre sarà possibile trovarlo in libreria!
Intanto, puoi leggere la scheda e scaricare i pdf dell’indice e della prefazione.

Buona lettura!