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Un altro passo, un altro libro.

Scrivere è come vivere, a volte. E’ come specchiarsi, guardarsi negli occhi e decidere di essere se stessi. Ogni libro è un cammino, un sentiero che attraversa aree di interesse, sogni, progetti, opinioni, teorie. Passo dopo passo, mi interessa scrivere, come mi interessa camminare e scoprire cose nuove, dentro e fuori di me.
Ad ottobre, un altro passo, un altro libro, nel mio cammino verso la comprensione e la comunicazione di cose che mi stanno a cuore. Un sentiero che si è concretizzato insieme alla consapevolezza che il mio lavoro non poteva fermarsi alla semplice analisi dei bisogni nutrizionali del singolo. Non poteva essere solo una mera prescrizione di un piano alimentare. Se ogni volta che, parlando di cibo, di educazione alimentare, di nutrienti, sentivo forte il desiderio di andare più in fondo, di collegare nozioni di base alla realtà, di pormi continuamente domande e cercare risposte…allora, il mio lavoro doveva trasformarsi, arricchirsi, completarsi. Doveva comprendere le relazioni del cibo con le produzioni, con le trasformazioni, il territorio, il paesaggio, i cittadini che popolano una terra, le loro esigenze, i loro bisogni. Il mio lavoro aveva ancora molta strada da fare.
Camminando, dunque, per questo nuovo sentiero, restavo sempre più affascinata da quante relazioni e quante ripercussioni avesse, su di noi e sugli altri, l’atto del mangiare. Ho iniziato a riempire il vuoto che sentivo imparando dagli agricoltori, dagli ecologisti, dagli studiosi del territorio, dagli storici, dagli insegnanti, da tutti i soggetti che, in un modo o nell’altro, fanno cultura del cibo. E ancora imparo, ogni giorno, in un ascolto che, per mia fortuna, non mi abbandona mai; in quella palestra esigente ed insostituibile che è la quotidianità.
Così, l’obesità, i disturbi alimentari, la prevenzione attraverso il cibo hanno assunto col tempo connotazioni diverse, molto complesse, per rispondere alle quali non basta più una sola prospettiva, ma uno sforzo verso un campo di visione molto ampio e articolato.
Quindi, cultura del cibo a scuola, nelle famiglie, nei centri sportivi; cultura del cibo legata alla letteratura, alla storia, all’arte; e ancora, strumento fondamentale di integrazione ed accoglienza; così come braccio destro della prevenzione di molte delle patologie dei nostri tempi. Cultura del cibo per ricostruire fiducia nel futuro, nell’autosufficienza; per non sprecare, per imparare a rispettare, per rigenerare risorse naturali ed incamminarsi verso un mondo più pulito e sopportabile.
Il prossimo passo, dunque, il prossimo libro, accompagnerà chi vorrà leggerlo lungo un sentiero di domande e tentativi di risposta, una strada che non riporta indietro ma che sa di “ritorno”. Un libro sull’alimentazione, sui cicli della natura, sull’accudimento che passa attraverso il cibo e il rispetto per le cose e le persone.

Che il cammino, allora, inizi!

A fine ottobre, in libreria, per gli “Obliqui” di ETS!

Prevenzione e comunicazione: discipline imperfette!

spuntino.jpgFare prevenzione, oggi, non va di moda. Gran parte del mondo “sanitario” è fortemente tesa alla cura. Basti pensare alla presenza ingombrante delle case farmaceutiche, di certa chirurgia, e in generale alla tecnologia utilizzata dalla medicina.

È rassicurante, certo, che per quasi tutte le più comuni patologie, oggi esista una terapia, un intervento, un trattamento altamente specializzato che possa arginare, e in molti casi, guarire una malattia.
Ma la prevenzione, disciplina assai lungimirante e preziosa, rimane ancora stretta a un angolo, come fosse poco degna di attenzione e considerazione.

Nessuno mai, si sa, ringrazierà quell’operatore che, con un intervento preventivo, è riuscito ad evitare un infarto. Mentre tutti saranno pronti ad applaudire l’ottimo e provvidenziale cardiologo che avrà salvato il paziente dall’infarto acuto.
Triste destino, insomma, quello di chi fa prevenzione. E ancora più triste di chi predica prevenzione a tavola, credetemi!

Tuttavia, credo che attraverso la buona informazione sia possibile fare arrivare alle persone la percezione corretta di ciò che fa un operatore di prevenzione e dell’utilità della sua professione. Uno dei problemi credo sia l’aggettivo che connota l’informazione: buona, pessima, fuorviante, corretta, infondata, adeguata, veritiera, ecc.

Troppo spesso, difatti, certa stampa sacrifica la verità, la meticolosa e corretta descrizione degli argomenti, allo scoop, al delirio della notizia a tutti i costi. E così, il danno apportato da certe diete iperproteiche passa in secondo piano, cedendo il passo alla notizia che le stesse diete hanno fatto perdere peso a questa o a quella star televisiva o ad un vanesio presidente del consiglio; oppure, l’annosa questione dei disturbi del comportamento alimentare, in aumento fra i giovanissimi, appare cosa secondaria di fronte allo scoop che una delle più note attrici di Hollywood ha sfilato sul red carpet mostrando in pubblico una magrezza assai sospetta.

Forse, rifletto, la divulgazione scientifica (perché di questo si tratta) in materia di prevenzione merita maggiore attenzione e competenza. Forse bisogna partire dal linguaggio degli stessi operatori, dal loro comportamento e dal loro ruolo. Chi rimane arroccato sulla sua cattedra o rinchiuso nel suo laboratorio di ricerca ha ben poche speranze di farsi comprendere dai non addetti ai lavori, giornalisti compresi. Chi si ostina ad usare un linguaggio tecnico per spiegare cose utili a tutti non ha alcuna possibilità di divulgare il suo sapere, anzi, rischia fortemente che questo ne esca deformato e, alla fine, poco aderente alla realtà e poco fruibile dai più.

Sapere e far sapere sono due cose ben diverse. Così come scrivere e comunicare. Si può sapere molto senza riuscire a trasmettere la propria competenza; si può scrivere benissimo senza riuscire a comunicare un bel niente.

Per tornare alla prevenzione, dunque, sebbene essa faccia poco scoop, sforziamoci di comunicare gli strumenti per praticarla in modo semplice e accessibile; e pretendiamo che sia riportata dai mezzi di informazione in modo corretto, aderente, coerente e mirato.
Così, forse, potremo sperare di leggere ancora da qualche parte uno slogan, caro a chi fa il mio lavoro, sparito da tempo da giornali e tv: “prevenire è meglio che curare”. Ve lo ricordate?