I nuovi incontri con La MezzaLuna

Ripartono gli incontri presso il Polo Oncologico dell’Ospedale Santa Chiara di Pisa, curati da La MezzaLuna, dedicati ai malati oncologici e ai loro familiari e caregivers. Ecco i dettagli:

Quando? 25 Settembre, 23 Ottobre, 20 Novembre
A che ora? dalle ore 15,00 alle 17,00
Dove? presso la Sala Riunioni del Polo Oncologico – edificio 22 – Piano Terra – Ospedale Santa Chiara – Pisa

Per informazioni 050992869 ore 10/12 – 05046217 dalle ore 09/12 oppure 347 0912780 dalle 9 alle 19.Brochure incontri chemio Susan Komen corretto

Un corso sui DCA, a Rimini, in ottobre!

Rimini, 2-3-4 ottobre 2015.
Il ruolo del Biologo Nutrizionista è fondamentale, quale figura di rilievo nel trattamento di riabilitazione nutrizionale. Il corso ABNI offre l’occasione di acquisire strumenti per riconoscere e trattareDCA2015, in modo multidisciplinare e sinergico, queste patologie sia nell’infanzia che nell’età adulta. Esso prevede lo sviluppo della parte dedicata all’infanzia, comprendente anche lezioni sulle complicanze organiche cui va incontro il bambino con disturbo alimentare; e la sessione dedicata all’adulto, che affronterà la storia dei DCA, i fattori di rischio bio-antropologico, il trattamento nutrizionale e l’importanza dell’educazione alimentare nel percorso riabilitativo. Ogni sessione comprenderà lo studio e la riflessione su casi clinici.
Per iscrizioni, usare il modulo sul sito.

 

Il primo impegno dell’ultimo nato!

covergiallaLa prima volta in pubblico per “Conosci il tuo cibo”!
Vi aspetto a Lucca, il 6 settembre alle 16,30.

A Cartosio, la festa della frutta!

Con Emanuela Rosa-Clot ElenaRicci017 ElenaRicci018 ElenaRicci026 RicciElena_0118 RicciElena_0117 RicciElena_0120 RicciElena_0122 RicciElena_0126 RicciElena_0128 RicciElena_0131La presentazione di Ti racconto la terra, a Cartosio (Alessandria), in occasione della festa “Estate Fruttuosa” (8 agosto 2015) è stata un’esperienza bellissima. Un’occasione unica per conoscere un territorio ricco di storia, di saperi popolari e di bella gente.

Un grazie a:
l’mministrazione comunale (in particolare alla vicesindaco M.Teresa Zunino), ad Emanuela Rosa-Clot (direttrice di Gardenia), a Mimma Pallavicini (giornalista esperta in giardini, piante e giardinaggio), a Elena Ricci, fotografa  per avermi inviato queste magnifiche immagini dell’evento.

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Cose belle …

Si lavora (tra il serio e il faceto), presso l’Agriturismo Serraspina e la Fattoria Lischeto: stiamo registrando una puntata di “Cibi in campo”, un programma in onda da qualche settimana su Telegranducato. All’interno di ogni puntata, notizie su agricoltura, alimenti stagionali e locali e consigli di lettura con la rubrica “Letto per voi”.

Il programma è curato dalla Confederazione Italiana Agricoltori di Pisa e da La MezzaLuna- Centro di Educazione Alimentare.

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Prime pappe all’ iPad (purché mangi!)

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Descrizione di un pasto assistito involontario!

Il bimbo seduto sul seggiolone è piccolo. Così piccolo che sparisce fra la spalliera e le bretelle imbottite. Eppure, pare in pieno svezzamento. Siamo al mare e all’ora di pranzo ognuno si avvicina alla propria cabina per condividere il pasto. Lo guardo, mentre attende con avidità e impazienza la mamma (giovane, biondissima ed eterea) che armeggia su un tavolino di legno per mescolare liofilizzato, acqua e una qualche farina. La mamma, una volta pronta, con in mano il piattino stracolmo di pappa, si siede lateralmente al seggiolone. Non capisco. Non mi spiego perché non si ponga di fronte al suo bambino e non inizi a imboccarlo sorridendo ed emettendo quei suoni morbidi, labiali, tipici di quella fase: ahm, gnam, mmmh, buona la pappa!
Quasi immediatamente si avvicina il babbo con un iPad acceso ed ecco che tutto torna: di fronte al bambino c’è uno schermo in cui un animaletto animato balza di qua e di là al tempo di una musichetta dai toni acuti, ripetuti all’infinito. La mamma, adesso, comincia a imboccarlo: il bambino apre la bocca, imbambolato e il gesto di lei diventa sempre più veloce, come dovesse approfittare dell’esigua durata del cartone. Presto, prima che la magia finisca!

E’ accaduto ieri in una spiaggia, ma era già accaduto qualche settimana fa e sarebbe accaduto anche di lì a poco, all’ora della merenda, con la solita sconcertante modalità. E’ accaduto ieri ma mille altre volte, con altri genitori (o nonni), altri monitor e altri bimbi, in una qualche cucina, in cortile, a scuola, al parco.

La mia mente è andata a un testo sull’accudimento attraverso il cibo al quale sto lavorando da qualche tempo, ad alcune osservazioni che mi capita di fare durante il mio lavoro, ad altri pasti assistiti di questo tipo, alla sofferenza e alla paura delle madri, al loro disagio, alle conseguenze che certe modalità di relazione producono nella prima infanzia e nell’adolescenza. Intanto, continuo ad osservare, avvilita.

La madre non si fa vedere e non espone alla vista del proprio bambino né il piatto, né il cucchiaio, né il cibo. Come se l’atto del mangiare debba passare asetticamente sotto silenzio: ti nutro perché devi mangiare; perché se non mangi muori.
La velocità con cui il cucchiaino viene inserito in bocca aumenta mano a mano che il cartone si dipana verso la sigletta finale e ogni residuo di pappa che cola dai lati della bocca viene meticolosamente e prontamente raccolto per essere infilato fra le labbra del bambino. Lui, ogni tanto, distoglie lo sguardo dallo schermo dell’iPad e si dimena, girando la testina da una parte e dall’altra, emettendo dei mugolii di protesta e serrando la bocca. Ma immediatamente il babbo riavvia il cartone e lo richiama, con dei sibili sottili e penetranti, a lasciarsi ipnotizzare ancora e ancora dal personaggio saltellante e dalla musichetta.
Il bambino, irrimediabilmente, termina la sua pappa con grande soddisfazione della mamma e del papà che mostrano e vantano il risultato a una coppia di amici che annuiscono compiaciuti; l’iPad viene spento e fatto sparire; la mamma mette a posto velocemente tutto quello che è servito per il pasto del piccolo, mentre il papà prontamente gli offre il ciuccio.

Di quel cibo poi nessuno si chiede nulla. Non c’è posto né tempo per certe domande.

La bocca deve stare ben piena e ben chiusa: non devi protestare, non devi esprimerti, non devi piangere, se piangi sto male, mi sento inadeguata a gestire i tuoi bisogni; se smetti di mangiare morirai e io non sopporto di restare col dubbio della tua sazietà. La visuale, ben tappata: non guardare, non guardarmi, perché non sopporterei di vederti sporcare, rifiutare, gustare o disgustarti, lasciar fare al tuo e al mio istinto (e se l’istinto fallisce?); purché mangi sono disposta a rinunciare al privilegio di nutrire,  di offrirmi a te come tua nutrice e come tuo nutrimento emotivo, insieme al cibo che ti ho preparato. Meglio un monitor, meglio distrarti, perché tu (o io?) non possa avere il tempo di un dubbio, di un sentimento, di una sensazione.

Mentre così rimuginavo, con amarezza e sgomento, il bimbo si è rassegnato al sonno.

 

 

Orari, sedi e modalità operative dello studio nutrizionale.

 

Il privilegio di nutrire

cropped-DSCN5375.jpgNon ci pensiamo quasi mai mentre prepariamo una pietanza per i nostri cari, un panino per i nostri figli, uno stuzzichino per i nostri amici. Ma nutrire gli altri è un vero privilegio, un atto speciale, fatto di piccole azioni imparate dall’istinto, che ci introduce ogni volta nella dimensione preziosa dell’accudimento. Nel prendersi cura degli altri attraverso la manipolazione e l’offerta di cibo c’è la manifestazione di una memoria atavica e sociale, un valore che oggi difficilmente resiste sotto i colpi impietosi delle leggi di mercato. Eppure, attraverso quel cibo passa la rassicurazione di non essere soli, di appartenere a qualcosa, di avere una casa accogliente in cui tornare; dove la casa è ora la dimora della nostra famiglia, ora il nostro corpo che ci accompagna ogni giorno, o ancora il sistema sociale a cui apparteniamo.
L’importanza di questo atto così simbolico non è sfuggita all’industria alimentare che ci propina continuamente immagini di famiglie felici intorno ad allegre tavole imbandite, sapendo di giocare coi bisogni fondamentali che oggi stentano ad avere risposte reali e creandone così di nuovi ed effimeri a cui essa stessa, l’industria del cibo, risponde prontamente. Essa, difatti, in un certo senso nutre, è innegabile; a volte può facilitarci l’esistenza, risolvere qualche problema nel quotidiano, ma non porta con sé quella ricchezza fisiologica che connota in natura l’atto del nutrimento. E’ bene esserne consapevoli. Scartare e offrire un cibo industriale è un atto senza storia, né memoria; un gesto che si dimentica da sé, si autoesclude dalle esperienze personali, non genera né supporta alcuna relazione. Un gesto che risponde soltanto al bisogno di consumare qualcosa di commestibile che appaghi il palato e il desiderio si risparmiare tempo, denaro e sentimenti. Per questo progetto sono necessari nuovi gusti, nuovi cibi, nuove abitudini che neghino modelli e strade antichi e creino, al contrario, nuove strutture, snelle, rapide, trendy.
Ma cosa sarà di questa nuova casa senza fondamenta?

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Di cosa muoio stasera a cena?

68-20Col passare degli anni – ho notato – la riflessione è diventata uno dei miei passatempi preferiti. Finito il tempo delle frenetiche maratone di studio, delle nottate di scrittura forsennata e impulsiva; mitigate rabbia e ansia giovanili, nel silenzio, che cerco con sempre maggiore avidità, si fanno strada considerazioni su fatti e letture, su cose e persone, che non sono giudizi, ma piuttosto osservazioni ed elucubrazioni che mi conducono a nuove consapevolezze, a volte rassicuranti, altre volte foriere di nuovi dubbi e ulteriori riflessioni. Si sa, il tempo passa e qualcosa insegna! Forse!
Di pensiero in pensiero, dunque, in questi ultimi giorni sono approdata alla preoccupata considerazione che il cibo (e tutto ciò che vi ruota intorno) è oggetto, sempre più spesso e in modo sempre più spregiudicato, di comunicazione inadeguata e frequente strumentalizzazione. Il cibo velenoso, il cibo tossico; quello magico e miracoloso; quello raro e prezioso e quell’altro medicamentoso.
Quale veleno sarà capitato nel mio piatto? Di cosa muoio stasera a cena?
Il cibo è misterioso, ci può avvelenare o curare: basta dare un’occhiata ad articoli, interviste e rubriche; basta frequentare un social e nel giro di poco possiamo sentirci tranquilli e sicuri (per poco!) o, al contrario, amareggiati e terrorizzati dai nostri stili alimentari. Ogni giorno, se ci lasciamo trascinare dalla corrente indomabile dell’informazione (?) rischiamo di eliminare dai nostri “costumi mangerecci” molti alimenti e di fare il pieno smisurato di altri.
D’altra parte – mi dico – per avere capacità critica e di giudizio riguardo a notizie su alimentazione e salute bisogna avere un minimo di competenza in biochimica, fisiologia, anatomia, genetica, ma anche psicologia, storia, antropologia e buon senso. Molto, moltissimo buon senso. O no?
E’ un tempo bizzarro, questo: tutti vogliamo dire la nostra. Tutti sappiamo di ogni cosa, siamo recettivi, siamo scettici, fragili, dubbiosi e quindi ci informiamo. Tutti siamo in grado di farci un’idea di tutto. Il problema è che farsi un’idea, o credere all’idea che si è fatto qualcun altro, non sempre significa che essa corrisponda esattamente a un fatto reale.  A volte, si tratta di idee innocue: piccoli miti “buoni”, brevi storielle metropolitane, teneri racconti che, passando da un click all’altro, si arricchiscono di particolari suggestivi e appaganti. Altre, invece, si tratta di verità distorte o di vere e proprie bugie che, da una tastiera all’altra, da una condivisione a un “mi piace”, diventano delle vere e proprie valanghe di ignoranza e pregiudizio.
Non fraintendetemi. Ognuno ha il sacrosanto diritto di fare e pensare ciò che vuole, se non danneggia gli altri. Ma è proprio questo il rischio: il danno inconsapevole. La cultura del cibo è cosa assai seria, se pensiamo alla valenza che alimentarsi ha nella nostra vita. Il nostro organismo non è una provetta in cui i reagenti aggiunti si comporteranno esattamente come ho previsto. La natura è un sistema che si autogestisce e si autolimita se la lasciamo fare e non un enorme supermecato aperto 24 ore su 24, a nostro uso e consumo. Le malattie hanno molte cause e spesso le loro dinamiche sono imprevedibili. La salubrità di un cibo dipende da come è stato prodotto ma anche dall’effetto che avrà sul singolo. Ogni individuo è un universo a sé, con la sua chimica, la sua genetica, la sua storia, i suoi pensieri e i suoi meccanismi di difesa. Potrei continuare per tutta la notte, elencando variabili, incertezze e interazioni complesse e difficili da conoscere a fondo e prevedere. Ma credo che, più di tanti sproloqui, sia utile porsi una domanda: come si può pensare che riguardo all’alimentazione, alla nostra salute  e a quella del pianeta abbia ragione chi urla più forte?

E così torno a riflettere.

 

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Prevenire significa arrivare prima

a10La prevenzione è la messa in pratica di una serie di strumenti, individuali e collettivi, che permettono di preservare la salute; ovvero, di “arrivare prima” delle malattie. La scienza ci dice chiaramente da tempo che gli stili di vita, e fra questi quello alimentare, sono uno strumento fondamentale per prevenire molte fra le patologie più diffuse nella nostra epoca: metaboliche, cardiovascolari, tumorali, gastro-enteriche, neurodegenerative, autoimmuni. Per quale motivo, allora, pur sapendo che mangiare correttamente e muoversi ogni giorno può allungare la vita e renderla qualitativamente migliore, spesso si continua a non prendere in considerazione la questione, attendendo che un esame diagnostico o un evento nefasto ci facciano cambiare idea?
Daniel Goleman nel suo Intelligenza ecologica  sostiene che l’essere umano non riesce ad allarmarsi di fronte a minacce che lo attendono in un’epoca imprecisata del futuro, mentre è ben disposto al cambiamento una volta che le sue certezze siano state messe fortemente e drammaticamente in discussione. Questo concetto, sviluppato da Goleman a proposito dell’utilizzo spregiudicato e del conseguente depauperamento delle risorse terrestri, può senza dubbio essere trasferito dalla dimensione ecologica a quella individuale. Oggi, rispetto ad epoche passate, abbiamo molti strumenti per “arrivare prima”; l’informazione è alla portata di tutti, l’educazione alla salute e l’educazione alimentare sono discipline molto diffuse e accessibili. Ma quello che farebbe la differenza è il cambiamento, al quale invece non facciamo che opporre resistenza. In un saggio affascinante dal titolo La storia del corpo umano, l’autore  Daniel Lieberman sostiene che l’evoluzione culturale, aprendo le porte alla conquista di comodità e benessere abbia surclassato e, in un certo senso mortificato, quella fisica che ha reso il nostro organismo adatto ad alcuni comportamenti e non ad altri. Saperlo, però, dovrebbe farci riflettere, poiché non prendersi cura della propria casa, sia essa la Natura o il proprio organismo, significa eludere questioni che ci riguardano da vicino e che fanno la differenza fra stare in salute o ammalarsi (sia in senso ecologico che individuale). Allora, perché “usurare” senza riguardo qualcosa che possiamo preservare e che può garantirci salute e longevità?

 

Orari, sedi e modalità operative dello studio nutrizionale.