Integrazione nutri-culturale

DSCN6549I modelli alimentari e le tradizioni culinarie fanno parte del patrimonio culturale di ogni individuo, così come le sue origini e il suo linguaggio. La storia ci insegna che il cibo identifica ma, necessariamente, differenzia. In caso di emigrazione, di fatto, lo stile alimentare è l’ultimo a modificarsi, ma anche ad essere compreso e accettato.

Gli ostacoli ad una integrazione alimentare fra popoli di cultura diversa ha radici lontane e si basa fondamentalmente sulla estrema difficoltà nel cambiare i propri gusti. La cucina tradizionale, legata per definizione al territorio e alla sua storia, permea il palato, diviene omologante in quel dato contesto collettivo, rendendo in genere diffidenti, insofferenti o indifferenti nei confronti di altri sapori. Il cibo, dunque, non è facilmente trasferibile da una cultura all’altra.

Tuttavia, a mio avviso, esistono delle eccezioni, una agli antipodi dell’altra, che demoliscono barriere culturali e diventano insospettabili strumenti di integrazione.

La prima è rappresentata dal Modello Alimentare Mediterraneo (MAM), che si distingue per equilibrio e completezza, è preventivo nei confronti di malattie metaboliche e cardiovascolari ed in realtà rappresenta una cultura, un modus vivendi, che va al di là del semplice atto di nutrirsi. Esso origina dalla cultura greca e le invasioni che si sono succedute nel corso della storia hanno apportato, alle abitudini alimentari pregresse, novità e cibi insoliti che sono stati integrati nel tempo divenendo, a tutti gli effetti, parte delle nostre abitudini alimentari. Ne sono un esempio il pomodoro dall’america latina, molte spezie, introdotte dai romani con i primi viaggi in terre da conquistare, usate nel medioevo europeo per conservare i cibi, e che presto divennero quasi uno status simbol che differenziava le tavole dei ricchi da quelle dei poveri. È il modello alimentare che ci identifica, nato dalle scelte parsimoniose delle nostre campagne e teorizzato dal biologo Ancel Keys negli anni ’40 del secolo scorso. Il Mediterraneo, ovvero tutte le popolazioni che ad esso si affacciano, ha condiviso, pur nella sua eterogeneità di culture e civiltà, pur nella sua varietà di metodologie culinarie, l’importanza dell’alimentazione quale elemento strettamente connesso all’uso del territorio e all’impatto di questo uso sul paesaggio agricolo, selvatico ed urbano.

Un’altra eccezione, capace di demolire barriere culturali in modo più potente e pregnante della prima è la globalizzazione alimentare, ovvero ciò che alcuni studiosi chiamano genericamente col nome di macdonaldizzazione, volendo significare la standardizzazione estrema dei prodotti alimentari che conduce ad una ristorazione completamente integrata di un numero sempre crescente di persone. Con l’industrializzazione del settore alimentare, almeno nel mondo occidentale, si assiste ormai da diversi anni all’abbattimento di barriere culturali, superando persino la naturale diffidenza che il cibo nuovo ed “estraneo” suscita fisiologicamente. La familiarità e l’accondiscendenza che ogni cibo doveva prima meritarsi per essere considerato parte della propria alimentazione è stata soppiantata dalla fiducia incondizionata nel brand. La televisione ha fatto da passepartout, è entrata nelle nostre case e, in moltissimi casi, ha decretato il successo dei nuovi alimenti.

Abolendo e livellando differenze, grazie al basso costo e alla sua estrema palatabilità, il cibo industriale ha dato una forte spinta alla nascita di luoghi che forse potremmo definire trans-culturali, come le paninerie, i ritrovi McDonald’s, in cui le differenze fra popoli si attenuano, favorendo indubbiamente una sorta di socializzazione.

Tuttavia, il prezzo di questo tipo di integrazione è altissimo se pensiamo all’epidemia di obesità e di diabete che ormai preoccupa anche i paesi in via di sviluppo e che la scienza lega strettamente all’eccessivo consumo di alimenti ipercalorici, scadenti e poco nutrienti.

I sociologi, pertanto, stanno ancora studiando le dinamiche di ciò che il cibo, in tempo di pace e di guerra, in terre vicine e lontane, in epoche di immani cambiamenti e intense migrazioni, può determinare. A noi, in attesa di un qualche illuminante saggio da leggere, non resta che prendere atto della sua potenza e continuare a trattarlo con equilibrio e, soprattutto, col dovuto rispetto.

 

Da La Scuola di Ancel

Ti racconto la terraCol mio lavoro ti racconto la terra…

A quanti mi chiedono cosa fa un biologo nutrizionista rispondo con orgoglio che si occupa di alimentazione, di salute e di cultura del cibo. Ogni piano alimentare e ogni consiglio nutrizionale che passa dalle mie mani a quelle di chi si rivolge a me contiene, oltre a consigli alimentari e comportamentali, racconti che spero restino dentro e lascino traccia. Sono i racconti sul cibo che mangiamo e che ci rende ciò che siamo. Le storie della sua produzione, della sua stagione migliore, dei luoghi da cui proviene, delle mani che lo hanno lavorato e della fatica che lo ha portato fino a noi.

In ogni piano alimentare, in fondo, racconto la terra. Ed è proprio questa convinzione e questo istinto che mi hanno condotto alla stesura del mio ultimo libro Ti racconto la terra.

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Ti racconto la terra- recensioni e interviste

 

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A questo link puoi ascoltare la registrazione dell’intervista rilasciata a La dolce linea, di Tiziana Stallone, per RaiRadioWeb, il 15 novembre 2013.

A questo, invece, puoi leggere la prima recensione sul blog di Laura Montanari (Repubblica Firenze).

 

 

 

Le foto della presentazione al Caffè di Repubblica del
Pisa Book Festival 2013, con Laura Montanari e Fabio Galati.

Foto: Repubblica Caffe' - Pisa Book Festival- Giusi D'Urso presenta Presenta "Ti racconto la terra"

Ti racconto la terra

E’ uscito il mio ultimo libro: “Ti racconto la terra”, per Edizioni ETS, con la prefazione di Rossano Pazzagli e le storie di vita contadina di Stefano Berti.

3672_Durso_cover_STAMPA_03L’agricoltura diventa la poesia di un racconto di vita vissuta, che insegna a chi legge la fatica e l’incanto della vita in campagna, e la ricostruzione del rapporto antico fra chi produce il cibo e chi se ne nutre.
Il racconto si intreccia alla divulgazione di temi come la sostenibilità, il paesaggio, le scelte alimentari, la stagionalità, l’educazione alimentare, la prevenzione, le tradizioni a tavola.
Così, dal paradosso dell’agricoltura e del cibo industriale alla consapevolezza alimentare, ogni pagina affronta temi urgenti che non possono più essere appannaggio di tecnici del settore, ma terreno di riflessione per ogni lettore.
Un libro per chiunque voglia cominciare ad operare scelte virtuose, avendone inteso il peso e l’importanza.

Il libro si può acquistare da subito attraverso il sito di Edizioni ETS e dal 20 novembre sarà possibile trovarlo in libreria!
Intanto, puoi leggere la scheda e scaricare i pdf dell’indice e della prefazione.

Buona lettura!

Le risposte dei grandi

bimbo2Sull’influenza che i genitori possono operare nei confronti delle scelte alimentari dei figli esistono oggi molte evidenze scientifiche. Una serie di studi recentissimi si è infatti occupata della relazione fra l’autoregolazione delle emozioni e la scelta alimentare che passa per il meccanismo antico di fame e sazietà. In pratica, la reazione dei genitori all’esternazione emotiva dei loro bambini influenza il loro modo di esprimere le emozioni da adulti; l’autoregolazione dei bambini, cioè, viene costruita proprio sulle risposte degli adulti di riferimento. È ormai accertato che queste reazioni pesino anche sull’introito calorico, influenzando profondamente le scelte alimentari.
Genitori capaci di accettare e gestire le reazioni dei propri figli, siano esse positive o negative, sono anche in grado di effettuare scelte appropriate nel momento in cui il bambino esprimerà fame o sazietà. Questi genitori, per intendersi, non useranno il cibo per confortare e calmare il proprio bambino, ma accoglieranno la sua reazione cercando soluzioni alternative e fornendo altri strumenti per gestire frustrazione, rabbia e sconforto.
Quando il cibo viene utilizzato per lenire ansie ed angosce, per ricompensare o calmare, le successive risposte emotive del bambino saranno destabilizzate ed egli legherà al consumo di cibo la gratificazione ed altre sensazioni positive.

Attenzione, quindi, alle frasi “se fai il bravo ti compro il gelato!” oppure “se fai tutti i compiti avrai il budino al cioccolato!”. Attenzione a non rendere il momento del pasto terreno di ricatto e a non trasformare il cibo in un’arma che separa e crea distanze fra chi nutre e chi è nutrito.
Educare un bambino a scelte alimentari equilibrate è un’attività che deve passare attraverso la corretta gestione delle emozioni, il buon esempio e la consapevolezza dei grandi. Ogni risposta del genitore alle richieste del proprio figlio deve proporre strumenti, non chiudere dialoghi, imporre soluzioni predefinite o, al contrario, dare la sensazione che egli debba cavarsela da solo. Nel mestiere più difficile del mondo, infatti, l’equilibro sta a metà strada fra la fatica dei no e la gioia dei sì.

Pubblicato su Dimensione Agricoltura novembre 2013

 

 

Lussi, sprechi e bisogni

bimbomngiaPer chi fa il mio lavoro la frase “mangiare troppo fa male” ha il valore di un’indiscutibile certezza. L’eccessivo introito calorico, insieme alla sedentarietà, come sappiamo, è una delle cause dell’epidemia di obesità e di tutte le sue nefaste conseguenze (diabete, sindrome metabolica, ipertensione, alcuni tipi di tumore). Con l’avanzare delle conoscenze scientifiche questa certezza si è arricchita di ulteriori dati e considerazioni ed oggi, quindi, è nota l’influenza negativa che l’eccesso calorico ha sul cervello. Un gruppo di fisiologi e biologi molecolari cinesi dell’università del Wisconsin ha condotto studi interessanti sul tema, concludendo che un’abbondante scorpacciata a tavola si traduce in un’alterazione dei segnali che giungono all’ipotalamo, area celebrale in cui è situato il centro che regola la fame e la sazietà. L’equilibrio fra queste due sensazioni ataviche e fisiologiche viene in qualche modo destrutturato dall’abbondanza di cibo.

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La mela del Ministero

Il noto progetto Frutta nelle scuole, attivato da qualche anno dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, vanta nel suo programma la finalità di aumentare il “consumo di frutta e verdura da parte dei bambini e ad attuare iniziative che supportino più corrette abitudini alimentari e una nutrizione maggiormente equilibrata, nella fase in cui si formano le loro abitudini alimentari”.fruttanellescuole
Senza nulla togliere alla bontà delle intenzioni, vorrei riflettere sul metodo, partendo dalla mela (frutto comune, in genere amato dai bambini) che il Ministero ha ritenuto frutto adeguato per i nostri figli. Da qui, forse, ognuno di noi potrà fare le proprie considerazioni anche sugli altri prodotti e sul modo in cui vengono distribuiti a scuola.
Penso proprio alla mela biologica, tagliata a tocchetti, cosparsa di antiossidante, chiusa in vaschette di plastica riciclabile. Sa di “medicina”! Ma risponde a precise norme di sicurezza, della cui importanza però è difficile spiegare ai bambini. È biologica! Ma, se è vero che il cibo biologico è nato dalla necessità e la volontà di avere un pianeta più pulito, perché lo facciamo viaggiare in lungo e largo per il Paese, producendo CO2? È tagliata a tocchetti! Il consumo è veloce e pratico, ma non stimola le sensazioni che dovrebbe.

Un paio di domande per il Ministero, allora: cosa racconteremo ai nostri bambini quando si troveranno per le mani una mela intera, da toccare, addentare, assaporare e riconoscere, al sapore di mela, proveniente da un frutteto del nostro territorio? Qual è, secondo gli esperti ministeriali, la mela giusta?

 

 

Su Dimensione Agricoltura di ottobre 2013

 

Un altro passo, un altro libro.

Scrivere è come vivere, a volte. E’ come specchiarsi, guardarsi negli occhi e decidere di essere se stessi. Ogni libro è un cammino, un sentiero che attraversa aree di interesse, sogni, progetti, opinioni, teorie. Passo dopo passo, mi interessa scrivere, come mi interessa camminare e scoprire cose nuove, dentro e fuori di me.
Ad ottobre, un altro passo, un altro libro, nel mio cammino verso la comprensione e la comunicazione di cose che mi stanno a cuore. Un sentiero che si è concretizzato insieme alla consapevolezza che il mio lavoro non poteva fermarsi alla semplice analisi dei bisogni nutrizionali del singolo. Non poteva essere solo una mera prescrizione di un piano alimentare. Se ogni volta che, parlando di cibo, di educazione alimentare, di nutrienti, sentivo forte il desiderio di andare più in fondo, di collegare nozioni di base alla realtà, di pormi continuamente domande e cercare risposte…allora, il mio lavoro doveva trasformarsi, arricchirsi, completarsi. Doveva comprendere le relazioni del cibo con le produzioni, con le trasformazioni, il territorio, il paesaggio, i cittadini che popolano una terra, le loro esigenze, i loro bisogni. Il mio lavoro aveva ancora molta strada da fare.
Camminando, dunque, per questo nuovo sentiero, restavo sempre più affascinata da quante relazioni e quante ripercussioni avesse, su di noi e sugli altri, l’atto del mangiare. Ho iniziato a riempire il vuoto che sentivo imparando dagli agricoltori, dagli ecologisti, dagli studiosi del territorio, dagli storici, dagli insegnanti, da tutti i soggetti che, in un modo o nell’altro, fanno cultura del cibo. E ancora imparo, ogni giorno, in un ascolto che, per mia fortuna, non mi abbandona mai; in quella palestra esigente ed insostituibile che è la quotidianità.
Così, l’obesità, i disturbi alimentari, la prevenzione attraverso il cibo hanno assunto col tempo connotazioni diverse, molto complesse, per rispondere alle quali non basta più una sola prospettiva, ma uno sforzo verso un campo di visione molto ampio e articolato.
Quindi, cultura del cibo a scuola, nelle famiglie, nei centri sportivi; cultura del cibo legata alla letteratura, alla storia, all’arte; e ancora, strumento fondamentale di integrazione ed accoglienza; così come braccio destro della prevenzione di molte delle patologie dei nostri tempi. Cultura del cibo per ricostruire fiducia nel futuro, nell’autosufficienza; per non sprecare, per imparare a rispettare, per rigenerare risorse naturali ed incamminarsi verso un mondo più pulito e sopportabile.
Il prossimo passo, dunque, il prossimo libro, accompagnerà chi vorrà leggerlo lungo un sentiero di domande e tentativi di risposta, una strada che non riporta indietro ma che sa di “ritorno”. Un libro sull’alimentazione, sui cicli della natura, sull’accudimento che passa attraverso il cibo e il rispetto per le cose e le persone.

Che il cammino, allora, inizi!

A fine ottobre, in libreria, per gli “Obliqui” di ETS!