Incontri gratuiti di Educazione Alimentare

Gli incontri, aperti a tutti, tenuti da esperti in campo nutrizionale, avranno l’obiettivo di informare i cittadini sulla buone pratiche alimentari. Il progetto prevede due incontri al mese in cui verranno sviscerati i temi relativi all’importanza della sana alimentazione: la scelta alimentare consapevole, l’alimentazione infantile, la prevenzione a tavola, metodi di cottura e conservazione e molto altro. Saranno previsti anche momenti di confronto con produttori locali e laboratori di manipolazione del cibo.
“Siamo convinti che questo faccia a pieno titolo parte della nostra mission” ha detto Stefano Berti, Direttore della Cia di Pisa. “Approfondire le tematiche relative al buon cibo ed alle scelte alimentari quotidiane è fondamentale per capire conseguentemente l’importanza del lavoro degli agricoltori e del giusto riconoscimento economico alla loro attività, senza la quale nessun cibo arriverebbe sulle nostre tavole.”.
Francesca Cupelli, Presidente della Cia di Pisa, si augura che ci siano numerose adesioni alla proposta, che partecipino anche rappresentanti delle Istituzioni e soggetti direttamente interessati alla gestione delle mense pubbliche, con particolare riferimento a quelle scolastiche.
Gli incontri saranno effettuati presso la sede della CIA, in via Malasoma 22, zona Ospedaletto. Pisa
Per informazioni contattare i seguenti recapiti:
e-mail pisa@cia.it
tel. 050 974065
Fax 050 985842
www.ciapisa.com

Cibo e ossa

Secondo un recentissimo studio giapponese (Nutritional status in relation to adipokines and oxidative stress is associated with disease activity in patients with rheumatoid arthritis, Nutrition, 11/2012) l’attività dell’artrite
 reumatoide potrebbe essere legata allo stato nutrizionale associato alle abitudini alimentari e allo stress ossidativo. In particolare, sembra che l’assunzione di acidi grassi polinsaturi omega 3, grassi dal pesce, e acidi grassi monoinsaturi influenzino l’attività dell’artrite reumatoide, riducendo l’infiammazione. Questo è uno dei numerosi studi che indicano le abitudini alimentari quali elemento importante per prevenire malattie ossee, o addirittura mitigarne i processi patologici.Il 6 dicembre si parlerà di questo e di tutto ciò che bisogna sapere per mantenere le nostra ossa in salute attraverso una corretta alimentazione.
Vi aspetto!

Il cibo e le ossa: prevenzione a tavola!

Il metabolismo osseo è molto complesso e dipende strettamente dallo stile di vita. È ormai noto da tempo, infatti, quanto l’esercizio fisico quotidiano sia fondamentale nel mantenere in salute le ossa e le articolazioni. Anche l’alimentazione svolge un ruolo importante: sappiamo, ad esempio, che le fonti alimentari di calcio non devono mancare nella nostra dieta quotidiana e che un eccesso di proteine animali può influenzare negativamente il metabolismo osseo, in particolare la fissazione di calcio alla matrice ossea. Le donne sono più soggette degli uomini alla demineralizzazione, in quanto, con l’avanzare dell’età e il conseguente calo di estrogeni, viene meno il controllo ormonale sulla quantità di calcio legata all’ osso; aumenta, dunque, la porosità del tessuto osseo che, di conseguenza, diviene fragile e a rischio di fratture.

Oggi, purtroppo, le patologie del tessuto osseo si riscontrano anche in giovane età, a causa di una cattiva alimentazione e di uno stile di vita sedentario. Prevenirle è possibile, basta imparare ad essere attivi e a mangiare correttamente.

Di questo e di molto altro parleremo il 6 dicembre. Vi aspetto!

Conoscere il cibo

 

 

 

Mangiare è un’azione molto frequente che ci accomuna tutti. Durante la giornata ci nutriamo più volte e in genere lo facciamo senza chiederci nulla o quasi riguardo a ciò che ingurgitiamo. Siamo abituati a mangiare tutto quello di cui abbiamo voglia in qualsiasi periodo dell’anno ed una delle poche cose che ci interessano quando acquistiamo il cibo è il prezzo. Nutriamo i nostri bambini con alimenti che non somigliano a nulla di ciò che mangiavano le nostre nonne, ma tutto questo ci sembra talmente normale che continuiamo ad acquistarli e a farne scorta nelle nostre case, condizionati dalla paura di rimanere senza e di ritrovarci a dover improvvisare una merenda, magari affettando del pane e spalmando della marmellata.

Non credo di esagerare affermando che mangiare è diventata un’attività poco partecipata, molto automatica e decisamente scollegata dal resto della nostra esistenza.

Eppure, fino a qualche decennio fa, sedersi attorno a un tavolo e condividere ciò che con passione e fatica qualcuno aveva prodotto nel campo poco distante era la normalità. Così come lo era relazionarsi agli altri condividendo le pietanze di un pranzo o di una cena. Oggi, sembra che il frastuono del marketing e la fretta che incombono costantemente sulla quotidianità, abbiano offuscato, se non addirittura cancellato, i significati molteplici, vari e profondi, che il cibo ricopre per ognuno di noi.

Offrire il cibo significa prendersi cura dell’altro mescolando i propri stati d’animo e le proprie attenzioni ad ogni pietanza. La buona tavola rinsalda i rapporti e stimola il raccontarsi, facilitando l’atteggiamento di apertura e di curiosità verso chi ci sta accanto. La cucina è, dunque, importante luogo d’espressione; essa svela, non nasconde, enfatizza le qualità di ogni relazione. E se in cucina arrivano materie prime locali con cui preparare il buon cibo da condividere, essa diviene anche il luogo elettivo di identificazione con il proprio territorio, la sua storia e le sue tradizioni. Il cuore della casa, l’ambiente fisico intorno al quale ruota la vita della famiglia, è come un grembo accogliente in cui il cibo della terra accresce ed amplifica il suo valore quale strumento d’identificazione e socialità.

Per questo, e molto altro ancora, mangiare dovrebbe implicare una scelta, anzi molte. Acquistando un cibo dovremmo conoscerne la provenienza e la qualità; chiederci se è sano o meno, qual è il suo effetto sulla nostra salute, quale l’impatto ambientale del suo percorso produttivo; sapere se è stato o meno trattato e adulterato, decidere in che modo cucinarlo e con chi condividerlo. Insomma, comprando il nostro cibo dovremmo essere animati da spirito critico, istinto e consapevolezza; fare lo sforzo, quindi, di porci domande, di trovare risposte, di pretendere che esso sia il migliore per noi e per le persone che amiamo.

Così, mettendo al centro la relazione profonda e reciproca fra gli uomini e quella fra gli uomini e il lavoro della terra, il cibo non sarebbe oggetto di acquisti automatici e superficiali, ma diverrebbe una ragione più che valida per difendere e valorizzare il contesto in cui esso viene prodotto, poiché da questo dipende la salubrità e la bontà dei prodotti alimentari; da questo dipende la nostra vita.

Dimensione Agricoltura ottobre 2012

 

I cereali, cibo antico e quanto mai moderno

La produzione e il consumo dei cereali risalgono ad epoche remote: quasi certamente, infatti, costituiscono le prime piante utilizzate dall’uomo in campo alimentare. Il nome “cereali” deriva da Cerere, la dea latina protettrice delle messi, nume tutelare dei raccolti, divinità materna della terra e della fertilità.

Il valore nutrizionale dei cereali è legato al loro contenuto in amido e proteine e al basso contenuto di grassi. I nutrizionisti ne consigliano l’uso quotidiano e ne sottolineano le qualità nutrizionali. Soprattutto se integrali, i cereali contribuiscono in modo importante ai fabbisogni del nostro organismo. La fibra, in particolare, è da considerare un valore aggiunto, in quanto, in un pasto completo, limita l’assorbimento di zuccheri e grassi, oltre a fornire alla flora batterica intestinale sostanze preziose per il suo equilibrio.

Queste caratteristiche rendono i cereali ottimi alimenti energetici, facilmente integrabili ed abbinabili ad altri, così come avviene nei piatti della cucina mediterranea, soprattutto toscana. Basti pensare alla panzanella, alla zuppa, alle insalate di pasta e di riso, alle minestre di pasta e legumi.

Oggi, i cereali sono spesso al centro di disquisizioni scientifiche relative all’intolleranza permanente al glutine (celiachia) e alla sensibilità al glutine (gluten sensitivity), patologie legate alla presenza di particolari proteine (le gliadine, che a contatto con l’acqua producono il glutine) presenti in alcuni, ma non tutti, i cereali. Ne sono sprovvisti riso, mais, amaranto, manioca, miglio, sorgo.

Il glutine è una sostanza collosa ed elastica che conferisce alle farine una migliore propensione all’impasto. L’intolleranza al glutine è geneticamente determinata e, probabilmente, rappresenta l’incapacità del genoma umano di adattarsi, nel corso dei millenni, ai cambiamenti in composizione del grano ed altri cereali di uso comune.

Diecimila anni fa, infatti, l’uomo non conosceva il glutine. I nostri progenitori si nutrivano di caccia, pesca e raccolta di frutti e radici. Solo più recentemente (nel Neolitico) le tribù nomadi divennero stanziali, iniziando la coltivazione dei cereali primitivi, poveri di glutine. Nei millenni l’uomo ha selezionato i cereali che ridotti a farina si impastavano meglio. La spiga moderna dà un’ottima resa, quindi, perché è ricca di glutine. Non tutti gli uomini, però, hanno saputo adattare il loro patrimonio genetico a questa trasformazione dell’alimentazione di base e, pertanto, non “riconoscono” il glutine come sostanza assimilabile, ma come sostanza estranea da combattere producendo anticorpi.

Recentemente c’è un grande interesse nei confronti del grano antico e, in generale, del ritorno a scelte alimentari più vicine alle esigenze del nostro organismo: maggiore consumo di vegetali, legumi e cereali poveri di glutine, minore introito di proteine animali. Un ritorno, dunque, alle buone pratiche alimentari che un tempo hanno reso possibile la nostra evoluzione.

Dimensione Agricoltura luglio/agosto 2012

L’orto, il cibo, i bambini e… il basilico!

 

 

 

I bambini di oggi, si sa, a parte qualche eccezione, non amano la verdura. Ma se sulla tavola apparecchiata i vegetali non mancano mai e i genitori li consumano quotidianamente, il bambino impara che può fidarsi, ne avrà presto curiosità e finirà col mangiarli normalmente.

I bambini di oggi, si sa, amano i videogiochi, ma se li portiamo in campagna e li facciamo “giocare” a fare i contadini, seminando e accudendo la terra, si compirà una magia bellissima e quanto mai inattesa: i bambini si sentiranno perfettamente a loro agio e saranno ansiosi di veder nascere le loro piantine e raccogliere i frutti del loro lavoro.

Nell’orto i bambini cercano e trovano soluzioni ai problemi, sperimentano e valorizzano il legame con il sapere antico; imparano che c’è un tempo e un ciclo per ogni specie coltivata e che i frutti maturati sulle piante sono più sani e più nutrienti di quelli raccolti anzitempo e trasportati per lunghe distanze. Imparano che coltivare la terra significa lavorare con continuità e tenacia, recependo il valore di un’attività che troppo spesso, oggi, viene lasciata ai margini e considerata di seconda categoria.

Se poi il prodotto del loro gioco-lavoro trova un senso a tavola, allora il cerchio si chiude intorno alla consapevolezza di aver fatto una cosa grande ed utile: produrre cibo per sé e per gli altri.

Il basilico di Giulia.

Giulia ha seminato minuscoli semi di basilico in un piccolo vaso ed ha atteso con pazienza lo spuntare delle prime piantine. La terra umida e il primo sole di primavera l’hanno premiata e lei non vede l’ora di vedere delle belle foglie verdi e profumate riempire il suo vaso. Vuole usarle per aromatizzare la panzanella, piatto povero della cucina toscana.

Intanto si è informata sulle caratteristiche della sua pianta e ha scoperto che è originaria dell’Asia e che possiede buone proprietà antisettiche e antidolorifiche. Inoltre, il suo olio essenziale stimola le difese immunitarie e facilita la digestione. In India è considerata una pianta sacra ad alcuni dei, mentre nelle Filippine si utilizza ancora oggi per indurre il parto.

Il suo nome prende origine dal termine greco basilikòn che significa “regale” e nelle civiltà antiche il suo uso è legato al culto funebre, per la presenza di olii essenziali che conferiscono alle foglie un odore molto particolare e gradevole. In barba all’uso lugubre del passato, Giulia annusa il suo basilico appena nato e pregusta la panzanella. Del resto, povero o no, si tratta di un piatto molto diffuso e “cantato” non solo in Toscana.

“Pagnotta paesana un po’ intostata,

cotta all’antica, co’ la crosta scura,

bagnata fino a che nun s’è ammollata.

In più, per un boccone da signori,

abbasta rifinì la svojatura

co’ basilico, pepe e pommidori.”

Aldo Fabrizi

Dimensione Agricoltura giugno 2012

 

Cibo, salute e benessere al femminile

Donna è la prima nutrice, dal grembo al seno al primo cucchiaino, colei che provvede alle cure e al sostentamento del proprio piccolo. Donna è l’adolescente che si guarda allo specchio e non si riconosce più nella vita stretta e nei fianchi larghi che la preparano alla fisiologica funzione della procreazione. Donna è la cuoca di casa, la nonna o la suocera delle lasagne domenicali, così come la mamma che prepara il pasto caldo della sera e mette tutti intorno al tavolo. Donna, infine, è Eva, che porge la mela ad Adamo.

Da sempre la donna ha avuto un legame inscindibile con gli alimenti e con il loro consumo. Ecco perché il cibo ha in generale una valenza del tutto particolare nel mondo femminile.

È interessante notare come la preparazione quotidiana dei pasti per i propri cari abbia assunto nei secoli una valenza emotiva profonda: la donna è divenuta nel tempo fautrice di modificazioni alimentari attraverso metodi conservativi e cotture particolari. Attraverso la produzione di pietanze e pasti la donna ha esercitato nei tempi un potere univoco, riempiendo vuoti, tessendo relazioni e compensando ingiustizie. È stato un percorso lungo e travagliato quello che ha fatto del rapporto fra donne e cibo il connubio che oggi riconosciamo essere così importante.

La civiltà dell’opulenza espone tutti all’offerta eccessiva di cibo e contemporaneamente alle immagini insistenti e penetranti di corpi perfetti. Quindi, accanto all’esaltazione della forma corporea e al benessere vi è la demonizzazione di molti cibi, definiti “ipercalorici” ed ingrassanti: il cibo, dunque, diventa nemico della forma fisica ed assume connotazioni che lo snaturano e lo allontanano dai concetti atavici di convivialità, identità e condivisione.  L’atto del mangiare, dunque, si annoda strettamente al problema dell’immagine di sé, creando spesso distorsioni pericolose.

Questo articolo è stato ispirato da numerose letture, interessanti e coivolgenti, fra cui Il cibo una via di relazione (Savorani) e Semiofood, Comunicazione e Cultura del cibo (AA.VVV).

 

Di questo e molto altro si parlerà nell’incontro “Cibo, salute e benessere al femminile”, che si terrà sabato 6 ottobre nella sede della CIA di Pisa, in via Malasoma 22 (zona Ospedaletto). L’incontro propone percorsi e strategie per ritrovare e mantenere un sereno rapporto fra cibo ed immagine corporea, scegliere bene gli alimenti, associarli nel modo più adeguato, apprezzare le emozioni legate all’atto del mangiare. I partecipanti avranno la possibilità di confrontarsi su queste tematiche e di acquisire nuove nozioni e strategie, grazie alla presenza di due professioniste (Giusi D’Urso, biologa nutrizionista e Cristina Cherchi, pedagogista clinica). Nell’arco del pomeriggio, oltre ad una lezione teorica, verranno approntati dei piccoli laboratori, seguiti da una degustazione a tema.

 

 

 

 

 

 

 

 

Dovuto alla natura.Riflessioni sulla complessità biologica e culturale

Le risposte della scienza alle domande specifiche sono insufficienti, oggi, a spiegare e capire il nostro mondo così complesso. Brian Goodwin, eminente biologo e matematico, rappresenta la natura come una serie di reti complesse e interconnesse di rapporti, per comprendere i quali è necessario adottare una nuova scienza, una nuova arte, un nuovo design, un nuovo modello economico e nuovi modelli di responsabilità. Dobbiamo essere preparati a dare alla natura il dovuto: riconoscere che abbiamo un debito con il mondo naturale e rifiutare di sfruttarlo solo per i nostri fini.  Solo così possiamo comprenderla, rispettarla e rendere le nostre scelte sostenibili per l’intero pianeta. In questo libro, Brian Goodwin propone di ripensare e ampliare la visione scientifica in modo tale che natura e cultura siano considerate un processo creativo unico ed ininterrotto, e non due ambiti separati e mai in comunicazione. Una lettura affascinante, dopo la quale è impossibile non riflettere sul tema delle scelte personali quali strumenti per cambiare, in meglio, il mondo.