La scelta alimentare: geni, sensi e condizionamenti

Alla base delle nostre scelte alimentari vi sono moltissimi fattori che le influenzano in modo vario ma profondo. Si tratta di fattori sensoriali, biologici, socio-culturali e di condizionamento.
La percezione sensoriale dei cibi svolge un ruolo fondamentale. La maggior parte dei sensi è coinvolta in più fasi del consumo alimentare. Per esempio, l’aspetto di un determinato cibo può essere utilizzato dai nostri sensi per dedurne la freschezza o il grado di maturazione; allo stesso modo, tatto e vista hanno un ruolo fondamentale per valutarne la consistenza. Indubbiamente, però, i sensi più importanti nel determinare una scelta alimentare sono il gusto e l’olfatto. Gli odori, infatti, possono essere percepiti sia prima che dopo aver introdotto in bocca un dato alimento. Insieme al gusto, inoltre, l’olfatto contribuisce a produrre la percezione del sapore complessivo di un dato cibo. Come sappiamo, il gusto viene percepito tramite le papille gustative che ricoprono la lingua. Esso consiste nella percezione derivante dalle molecole di cui è composto l’alimento, una volta masticato ed amalgamato dalla saliva. Gli studiosi convengono sull’esistenza di quattro tipi di gusto: il dolce, il salato, l’aspro e l’amaro. Ognuno di noi sa perfettamente quali sono i suoi cibi preferiti e quali, invece, quelli che non gradisce.
Ma le preferenze puramente sensoriali di un cibo si basano sulle esperienze alimentari o sono geneticamente determinate? Gli studi effettuati al riguardo mostrano una innata preferenza per le sostanze dal sapore dolce e, al contrario, un rifiuto precocissimo del sapore amaro. Questo fenomeno, tipico della primissima infanzia, milioni di anni fa ha avuto probabilmente una funzione evolutiva, privilegiando cibi ricchi di zuccheri (fonti energetiche) e sollecitando il rifiuto di sostanze amare, potenzialmente tossiche o non commestibili.
Il rapporto fra sensi e cibo è senza dubbio un argomento interessante, soprattutto oggi, in un’epoca in cui c’è una grande attenzione alla scelta alimentare. Diversi studi suggeriscono che i fattori sensoriali sono ancora cruciali nel determinare la scelta di un cibo, ma la relazione è più complessa ed articolata, a causa di molte altre influenze, quali gli effetti fisiologici o avversi degli alimenti e i fattori psicosociali e culturali. Vorrei soffermarmi in modo particolare sugli ultimi, in quanto convinta che oggi pesino moltissimo sulle scelte alimentari di adulti e bambini. Oggi più che mai, infatti, scegliamo il cibo da mettere a tavola lasciandoci condizionare spesso dalle “credenze”, più o meno corrette, sulle conseguenze provocate da quel determinato alimento sulla nostra salute. Questo tipo di condizionamento sta alla base del modo in cui molti prodotti alimentari vengono pubblicizzati, attraverso immagini e slogan che ne enfatizzano l’effetto positivo sulla salute di chi li acquista. Per non parlare del costante condizionamento del gusto attuato dall’utilizzo smodato, e spesso superfluo, di edulcoranti ed esaltatori di sapidità, che annullano le differenze ed omologano i sapori.
Uno degli effetti indiretti, ma non meno importanti, delle influenze psicosociali relative alle scelte alimentari è la neofobia alimentare, cioè l’evitamento dei cibi nuovi, che spesso rappresenta un grosso problema per molti genitori e può indurre a diete poco variate o, addirittura, monotematiche. I genitori, infatti, influenzano in modo determinante i comportamenti alimentari dei figli, attraverso le loro scelte, le conoscenze, le decisioni, il ruolo, il modello educativo, il comportamento a tavola. È stato dimostrato, ad esempio, che l’esposizione frequente ad un determinato cibo e la sua manipolazione, ne aumenta la preferenza. Un altro dato certo è che gli atteggiamenti verso certi cibi sono appresi tramite l’imitazione: i bambini assaggiano più facilmente un cibo “non familiare” se questo viene precedentemente assaggiato da un adulto presente, in particolare la madre.
L’influenza psicosociale sulle scelte alimentari produce inoltre comportamenti che, a loro volta, hanno implicazioni importantissime. Non dimentichiamo, ad esempio, il valore dell’accettazione: è noto, infatti, che attraverso la scelta di un cibo che tutti assaggiano, il bambino si sente parte di qualcosa: una famiglia, una squadra, un gruppo.
In definitiva, sembra che, sebbene i fattori genetici e i processi fisiologici siano fondamentali per la scelta del cibo, il loro impatto sul comportamento alimentare sia oggi mediato dai fattori psicosociali dai quali è impossibile, o quantomeno difficile, prescindere.
A questo punto quindi dovremmo chiederci come volgere a nostro vantaggio e a vantaggio dei nostri figli queste importanti conoscenze. Senza dubbio dovremmo tornare a recuperare il tempo e il rispetto del gusto, cioè ricominciare ad assaporare ed apprezzare il gusto degli alimenti semplici, per “recuperare” i sensi che un tempo erano alla base della nostra scelta. La rieducazione al gusto permette di sganciarci dal condizionamento della pubblicità e fornisce un ottimo strumento educativo per insegnare ai bambini a diversificare, riconoscere, apprezzare. Noi adulti, inoltre, faremmo bene a ricordare che il rapporto del bambino con il cibo è delicato e complesso e che implica quasi sempre i concetti di “sicurezza”, “autostima”, “accettazione”, oltre che nutrimento, crescita e qualità alimentare. Insomma, nel relazionarci a nutrizione, genetica, sensi e influenze psicosociali dovremmo sempre tener presente che il cibo ci lega, non ci divide; esso non è strumento, ma collante; non è arma, ma vincolo. E’ il legame fra chi nutre e chi è nutrito, dove “nutrire” non è solo “dare da mangiare”, ma aiutare diventare adulti sani ed equilibrati.

EVENTO CORRELATO

Stai fermo e mangia, ovvero il cibo, i bambini e l’era del nutrizionismo.

Quarant’anni fa molti di noi giocavano all’aperto. Genitori e nonni li controllavano ogni tanto da un terrazzo o da un portone e all’ora di cena gridavano a gran voce di tornare a casa. Malvolentieri e con il broncio, abbandonavano i loro giochi movimentati e, dando appuntamento ai compagni per l’indomani, tornavano, sporchi e a volte anche ammaccati, per lavarsi e sedersi a tavola con tutta la famiglia. “Lavati le mani, siediti al tuo posto, stai fermo e mangia!”. Questa era pressappoco la frase di routine che si sentiva intimare prima che il pasto cominciasse. Nelle famiglie credenti si ringraziava Iddio per il cibo disponibile e, più o meno in ogni casa, si onorava la convivialità e il pasto (mi riferisco a quello serale) raccontando la propria giornata, ascoltando gli altri, programmando la giornata successiva. Poi alla fine, quando papà e mamma davano il permesso, ci si alzava da tavola e ci si trastullava con libri o televisione fino all’ora della nanna.
Oggi le cose sono (ahinoi!) molto diverse. Non si può più giocare all’aperto per ore, se non in rare eccezioni nelle quali nonni e genitori controllano a vista i bambini; si corre e ci si sporca meno, i bambini hanno spazi più ridotti, per il gioco e per la fantasia. Spesso trascorrono il pomeriggio davanti alla televisione o al videogioco di turno, sgranocchiando patatine e snack vari, accompagnati da fiumi di tè alla pesca o coca-cola. E quando il pasto è pronto (quasi sempre un piatto veloce da mettere in tavola alla svelta), arrivano a tavola un po’ per volta, senza appetito, né voglia di parlare. Mamma-tv li pasce di spot pubblicitari sulle nuove merendine in commercio e sui gameboy più sofisticati fino a quando, senza aver ringraziato, né raccontato, né ascoltato nessuno, si alzano per andare a sdraiarsi ancora una volta sul divano del salotto o a chiudersi in camera, per trascorrere ore davanti al computer. Sembra terrificante, vero?
Certo, il divario fra il nostro modo di essere figli e il loro è davvero mostruoso. L’unica cosa che non è cambiata forse è la frase “stai fermo e mangia!”, che, seppure in modo tacito, viene trasmessa ogni volta che lasciamo un bambino da solo con le sue ore pomeridiane e serali da riempire.
Eppure questa è l’era dell’informazione e della conoscenza: sappiamo che un bambino su tre è in sovrappeso o obeso, che l’11% della popolazione infantile salta la colazione e che circa il 28% non la fa in modo adeguato. Conosciamo le conseguenze delle abitudini alimentari sbagliate e della sedentarietà. Molti di noi si sanno districare abbastanza bene fra etichette e reclames. Insomma viviamo in un’era in cui non è possibile non sapere, non apprendere, non essere informati sui rischi ai quali espone lo stile di vita dei nostri ragazzi.
Innumerevoli iniziative, inoltre, sono state messe in atto dal Ministero della Salute, che si è fatto carico di progetti come Okkio alla Salute, Frutta a Scuola, ecc. Insomma, sembra che il problema della sana alimentazione e degli stili di vita corretti rappresenti un’emergenza nazionale, la soluzione della quale è ritenuta della massima urgenza.
Ma allora, mi chiedo, come mai abbiamo i bambini più grassi d’Europa? E come mai questo dato tende a crescere? Cosa c’è che non va? Quale anello della catena è debole? Lo Stato? La famiglia? La scuola?
Intendiamoci, è cosa ormai nota da tempo che l’obesità ha cause genetiche, culturali, psichiche. Ma sappiamo anche che le cause più frequenti sono legate all’alimentazione troppo abbondante e/o qualitativamente errata, insieme all’aumento di sedentarietà. Il pasto e il movimento di un bambino dovrebbero essere, per così dire, sotto la giurisdizione degli adulti di riferimento. O no?
Facciamo un passo indietro, allora, e chiediamoci dove si è interrotto quel processo educativo che aiutava i ragazzi a scegliere gli alimenti in modo razionale. In effetti, una volta nessuno spiegava ai propri figli perché fosse meglio mangiare la frutta piuttosto che le patatine; così come nessuno spiegava agli adulti il motivo di una dieta variata. Mia nonna non aveva studiato scienze dell’alimentazione, eppure era consapevole del fatto che fosse meglio consumare più legumi e meno carne rossa. Chi glielo aveva insegnato? Tutto era molto naturale ed istintivo.
Ma, ditemi, non vi sembra paradossale che nell’era del nutrizionismo e dell’informazione a portata di chiunque non si abbia più la minima cognizione riguardo all’alimentazione corretta?
A me, francamente, viene un dubbio. Si tratterà davvero di “ignoranza”? Oppure è solo una questione di “rinuncia”? Certo, il problema è alquanto complesso. Non può esserci una sola causa, un solo colpevole. Ma cominciamo ad analizzare i fattori più a portata di mano e di click.
L’industria alimentare, si sa, ha preso la palla al balzo e, com’è sotto gli occhi di tutti, non fa altro che sfornare prodotti di cui decanta le proprietà nutrizionali e preventive nei confronti di questo o quel problema metabolico. Così, sugli scaffali dei supermercati, ne troviamo per tutti i gusti; dai prodotti che fanno dimagrire, a quelli che apportano importanti nutrienti, a quelli che saziano senza ingrassare o che regolano la flora intestinale. E per quanto riguarda l’infanzia? C’è davvero l’imbarazzo della scelta: leggendo i claims sulle confezioni si direbbe che i nostri figli siano quelli meno a rischio di problemi legati all’alimentazione. Abbiamo cereali con aggiunta di calcio e vitamine, biscotti con fibra e miele, bevande ricchissime di vitamine, omogeneizzati di carne e pesce controllati e nutrizionalmente perfetti, latti altamente digeribili ma nutrienti. Ce n’è per tutti i gusti.
La pubblicità, sappiamo anche questo, è l’anima del commercio. Sapete cosa significa letteralmente la parola “slogan”? E’ un’antica parola scozzese che significa “grido di guerra”: un grido capace di segnare la sensibilità di grandi e piccini e di immolare il loro rapporto sull’altere delle leggi di mercato, cioè sacrificarlo senza pietà all’esigenza di “superare la concorrenza”.
La conseguenza disastrosa è la produzione di fattori destabilizzanti, quali il cosiddetto nag factor (fattore assillo), cioè il potere che un bambino condizionato dalla pubblicità e dai suoi slogan esercita sui genitori e sugli altri adulti di riferimento davanti agli scaffali del supermercato. Questo fattore, e ciò che ne consegue, priva il genitore di autorevolezza e sicurezza nel momento in cui, per sfinimento e senso di colpa, cede alle richieste del bambino. D’altra parte da recenti indagini risulta che il 45% delle scelte alimentari di una famiglia viene compiuto dai figli. Ricordiamoci, però, che da che mondo è mondo la “nutrice” di un bambino è sempre stata la madre (nella nostra epoca è giusto che lo sia anche il padre, certo); non si è mai visto un bambino scegliere e alimentare la propria atavica nutrice.
Allora, le cose forse stanno così: da una parte c’è l’informazione “scientifico-divulgativa”, dall’altra l’industria alimentare e la pubblicità e noi stiamo in mezzo. La prima ci “istruisce” su cosa è sano e cosa no, la seconda ci “alletta” con pasti veloci “travestiti” da alimenti nutrizionalmente corretti. In mezzo ci siamo noi e il sostantivo che ho usato prima: “rinuncia”. A cosa abbiamo rinunciato?
Ho pensato a lungo ad una risposta plausibile e mi sono sforzata di guardare la questione da più punti di vista, giungendo però sempre alla solita risposta. In realtà parlo di rinuncia perché credo che il problema del sovrappeso e dell’obesità infantile richieda, più che programmi nazionali di educazione alimentare, l’attenzione “vera” delle famiglie, che non dovrebbe essere un “servizio eccezionale” offerto da genitori, nonni, zii, ecc., ma il normale stato dell’educatore. La rinuncia a cui mi riferisco è, dunque, la rinuncia a quell’attenzione, ovvero all’”accudimento”, dove per accudimento intendo quell’istintiva voglia di guidare, accompagnare, rassicurare con i comportamenti e con il buon esempio. Il mio non è un modo per fomentare i sensi di colpa delle madri lavoratrici, della cui schiera faccio orgogliosamente parte, ma solo una provocazione, un invito a riflettere.
La frase “stai fermo e mangia” dovrebbe essere sostituita da “mangiamo tutti insieme e poi usciamo a fare una passeggiata in bici”. Ma il tempo, si sa, è tiranno. Siamo oberatissimi da una moltitudine di impegni tali da indurci a trasformarci in tassisti e percorrere chilometri per accompagnare i bambini in piscina, mangiando merendine confezionate in macchina, invece di correre o fare un giro in bicicletta con loro; da indurci a consumare cibi pronti e affettati e formaggi per tutta la settimana, piuttosto che impastare una bella pizza insieme. Ma siamo proprio sicuri che accompagnarli in piscina e togliere tempo alla preparazione dei cibi ci faciliti la vita?
Una delle poche pubblicità che guardavo da ragazzina sfoggiava uno slogan affatto somigliante a un grido di guerra. Diceva: “meditate, gente, meditate”!

Già apparso su Terr Press

Ricette facili a base di pesce

Pesce spada alla piastra.

Il pesce spada è un ottimo pesce che si presta a preparazioni semplici e veloci. L’unica cosa a cui fare attenzione è consumarlo non troppo spesso, a causa del mercurio presente, così come in tutti i pesci di grossa taglia. Per essere sicuri che si tratta di pesce fresco bisogna fare attenzione al colore della carne intorno alla spina centrale: deve essere di un rosso scuro. Inoltre le carni del pesce spada fresco hanno un aspetto rosa scuro e lucido.

Come si cucina? Niente di più semplice: si fa scaldare bene la piastra e vi si appoggiano le fette di pesce spada precedentemente lavate, asciugate e leggermente salate in superficie. Il trucco per non farlo asciugare e quindi evitare che diventi “stopposo” è quello di toglierlo dalla piastra appena cambia colore (le carni diventano biancastre una volta cotte).

Mentre il pesce spada cuoce si può preparare un sughino per condirlo: olio extra vergine d’oliva, battuto di prezzemolo e aglio, succo di limone, origano secco se piace e peperoncino a pezzetti.

Si può consumare insieme ad una insalata mista o a della verdura lessa (bietola, spinaci, rapini, ecc).

Questa ricetta può adattarsi anche al tonno fresco.

Pesce al cartoccio

Molti pesci si prestano a questa ricetta. Vediamo quali: sarago, parago, pagello, orata, spigola e tutti i pesci di questa stazza e con squame argentate e lucide.

Come si fa a capire se è fresco: le branchie devono apparire di colore rosso vivo, le squame argentate e brillanti, al tatto le carni devono essere sode e le squame non devono venir via facilmente.

Come si prepara? Si lavano i pesci sotto acqua corrente (se sono già eviscerati, controlliamo sempre che le branchie siano state asportate), si asciugano con la carta assorbente. Dentro la pancia di ognuno si mette una lievissima spolverata di sale, un rametto di prezzemolo, un rametto di rosmarino, uno spicchio d’aglio, un cucchiaio di vino bianco e mezzo limone strizzato. Si avvolgono i pesci nella stagnola o nella carta forno e si cuociono in forno a 180° per 30 minuti.

Il pesce al cartoccio può essere accompagnato da qualsiasi contorno di verdure crude o cotte e condito nel piatto, una volta sfilettato e diliscato, con succo di limone e olio extra vergine d’oliva.

Pesce all’isolana

Gli stessi pesci che utilizziamo per il cartoccio si prestano a questa ricetta con le verdure.

Prepariamo delle verdure a pezzetti: patate (a fettine sottili), cipolle, aglio, peperoni (quando di stagione), sedano, carote, ecc. Mettiamo tutta la verdura spezzettata direttamente in una teglia da forno. Aggiungiamo un po’ d’acqua, vino bianco e un cucchiaio di olio extra vergine d’oliva. Rimescoliamo per bene e adagiamo nella teglia i pesci, precedentemente lavati, asciugati e salati. Con un cucchiaio ricopriamoli del misto di verdure e poniamo in forno a cuocere a 180° per 30 minuti circa, ricordandoci di rimescolare ogni tanto.

Questa pietanza non ha bisogno di un contorno.

Sogliole al vapore

Questa ricetta può essere eseguita anche con i naselli, con le platessa e con i filetti di merluzzo.

La sogliola è un pesce delicato, è importante quindi che sia freschissima. Lo si vede anche in questo caso dal colore delle branchie (rosso) e dalla pelle ruvida che deve risultare di difficile asportazione.

Una volta pulita la sogliola viene adagiata su un piatto, cosparsa di prezzemolo e sale (poco) e condita con succo di limone. Il piatto viene posto infine su una pentola in ebollizione e coperto con un coperchio da casseruola, che copra bene la lunghezza del pesce.

Una volta cotta (20 minuti circa) basterà togliere le lische laterali e sfilettare la sogliola sarà molto semplice. Può essere condito con olio extra vergine d’oliva e servito insieme a fagiolini lessi, pisellini verdi, spinaci o bietola, o un misto crudo di finocchi e sedano.

Insalata di polpo

Quando si compra il polpo bisogna fare attenzione soprattutto a due cose: alla dimensione (meglio due polpi piccoli che uno grande, i piccoli sono più teneri) e alla consistenza della carne, che deve essere soda con le ventose ben attaccate. Anche la superficie ci può dare indicazioni sulla freschezza: essa deve presentarsi molto viscida e mai asciutta.

Come si cucina? Il polpo può essere preparato anche il giorno prima in pentola a pressione. Laviamolo sotto l’acqua corrente e immergiamolo nell’acqua della pentola a pressione. Chiudiamo e lasciamo cuocere: da quanto la pentola comincia a sfiatare dalla valvola basteranno una ventina di minuti. Importante è lasciare raffreddare il polpo a pentola chiusa. Ecco perché è bene prepararlo il giorno prima.

In una terrina prepariamo un mix molto abbondante di verdura cruda e cotta (prediligendo sempre quella di stagione): finocchi, sedano, carote, pomodori, peperoni, ravanelli, piselli lessi, fagiolini lessi, ecc). aggiungiamo una manciata di pinoli, del succo di limone e, se lo gradiamo, del peperoncino rosso.

Una volta che il polpo si è raffreddato ripuliamolo dalla pelle scura, che si asporta facilmente insieme alle ventose facendo scorrere le dita lungo i tentacoli. Alla testa andrà asportato, oltre che la pelle, anche il rostro, con un coltello o delle forbici da cucina. Spezzettiamo a tocchetti tutto il polpo che, così ripulito, risulterà di un gradevole colore bianco-rosato, e mescoliamolo al mix di verdure.

Questa pietanza può essere considerata un piatto unico se unita a due-tre fette di pane integrale.

Bastoncini di merluzzo al forno

Questa ricetta semplicissima può essere fatta sia con filetti di merluzzo freschi che con quelli congelati.

Si tagliano a bastoncini i filetti e si impanano in una miscela preparata precedentemente con pangrattato e farina di mais (quella della polenta, per intenderci! Magari setacciata, per renderla più fine). Una volta salati appena ed impanati, si adagiano sul fondo di una teglia appena unta con olio extra vergine d’oliva e si lasciano cuocere in forno per 15-20 minuti a 180°.

Ti piacciono le ricette semplici e sane? Leggi la rubrica Ricette e non solo sul sito Bambino Naturale e Ricette e dintorni su GenitoriMagazine

Sono una donna e scrivo!

Premiazione- spettacolo del concorso letterario Autrice dell’Estate 2010, presentato e disturbato da Paola Pasqui, che dirigerà la premiazione, offrirà spunti comici, interagirà con le scrittrici”
Serata conclusiva e premiazione delle autrici venerdì 16 luglio 2010 alle 21,30, presso l’Ippodromo Caprilli a Livorno

Maggiori informazioni sono reperibili sul sito http://www.unlibroperlestate.it/.

AUTRICI DELL’ESTATE
I RACCONTI
AA. VV.
16 Luglio 2010

16 racconti, diversi i generi letterari e gli argomenti, ma tutti rigorosamente scritti da donne.
Sono stati selezionati fra quelli partecipanti alla II Edizione del Concorso Letterario Autrice dell’Estate (www.unlibroperlestate.it).
Scrittrici di ogni parte d’Italia ci regalano racconti divertenti, emozionanti, commoventi, imprevedibili, stressanti, rilassanti…

Maggiori informazioni su http://www.manidistrega.it/editore/autri
I RACCONTI
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Nel volume troverete anche uno dei miei racconti!

Sovrappeso e obesità infantile: quando iniziare la prevenzione

È frustrante registrare dagli organi di informazione e dai comunicati del Ministero della Salute che i bambini Italiani sono i più “grassottelli” d’Europa. Soprattutto alla luce del fatto che l’Italia è la culla della dieta mediterranea, il Paese che vanta la migliore tradizione alimentare, la terra in cui si produce il migliore olio extra vergine d’oliva del mondo. I dati sono gravi e scoraggianti: più di 1.115.000 bambini in Italia sono in sovrappeso e obesi, l’11% dei bambini non fa colazione, il 28% la fa in maniera non adeguata, l’82% fa uno spuntino troppo abbondante a metà mattina e il 23% dei genitori dichiara che i propri figli non consumano quotidianamente frutta e verdura. E ancora, solo 1 bambino su 10 fa attività fisica in modo adeguato per la sua età (almeno 1 ora al giorno), 1 bambino su 4 guarda la televisione per 4 ore o più al giorno, 1 bambino su 2 ha la televisione in camera.

Alla luce di dati così negativi e preoccupanti è assolutamente necessario puntare sulla prevenzione. Ma qual è il momento per attuarla in modo adeguato ed efficace? Molti studi dimostrano il ruolo di “programming che ha la nutrizione della madre in attesa nei confronti del metabolismo del feto. L’ipotesi più suggestiva e scientificamente supportata è quella dello studioso J.D.P. Barker, secondo la quale le alterazioni nella nutrizione e nell’equilibrio endocrino durante l’epoca fetale determinerebbero un adattamento dello sviluppo che modificherebbe in maniera permanente la struttura, la fisiologia e il metabolismo dell’individuo, predisponendolo ad alterazioni cardiovascolari, metaboliche ed endocrine in età adulta. Il processo attraverso cui uno stimolo o un danno verificatosi in periodi critici dello sviluppo determinerebbe effetti a lungo termine viene definito, appunto,  programming.

Che dire poi del ruolo dell’alimentazione nei primissimi anni di vita? Tutti sappiamo quanto sia importante l’allattamento materno, sia in termini di prevenzione che di accrescimento. La letteratura scientifica ci supporta anche riguardo al significato e alle conseguenze dell’eccessivo consumo di proteine, assunte ad esempio con molti latti artificiali o durante uno svezzamento inadeguato e precoce, nei primi mesi di vita; inoltre, ricerche recenti dimostrano che l’eccessivo consumo proteico nei primi 24 mesi di vita è legato alla tendenza al sovrappeso corporeo nella seconda infanzia, nell’adolescenza e nell’età adulta. Le basi biologiche del fenomeno sono a tutt’oggi oggetto di studio, ma tutti gli studiosi sono d’accordo nell’affermare che una sana alimentazione in gravidanza e allattamento sia la chiave per attuare una primissima importante prevenzione nei confronti del sovrappeso infantile. Di fondamentale importanza, quindi, informare le madri in attesa e in allattamento su come alimentare se stesse e il loro piccoli, rendendole “consumatrici alimentari” consapevoli e guidandole lungo il difficile ma quanto mai straordinario percorso della maternità.

Vedi evento correlato

Piccoli atleti crescono

Mercoledì 3 marzo 2010 – ore 21.00ATLETICA VIRTUS CR LUCCApresenta l’incontro pubblico  

presso i locali del Campo Scuola  “M. Martini”

Via delle Tagliate, Lucca 


– Principi di una corretta alimentazione nella pratica sportiva del bambino e dell’adolescente..
   
segnalare la propria partecipazione:
 con sms al 328.4624520
oppure alla pagina dei contatti

Interviene

Dott.ssa Giusi D’Urso

Biologa Nutrizionista ed Educatrice Alimentare
Coautrice di “Mangiando in allegria. Mangiare sano e inquinare meno, proviamo?” Felici Editore (Pisa) e autrice di Spunti di nutrizione ed altro (ottobre 2009,  Manidistrega Editrice, Livorno).

giusi.durso@libero.it
 

 

Bambini, sport e alimentazione

Tutti i bambini e gli adolescenti dovrebbero essere educati ed incoraggiati a svolgere attività fisica. Lo sport deve essere considerato necessario per migliorare lo stato di salute e sviluppare nei bambini  capacità comunicative e di interazione sociale, migliorando l’autostima e l’autocontrollo.
Il fabbisogno nutrizionale dei piccoli che praticano sport prevede un supplemento energetico da assumere attraverso la normale alimentazione raccomandata in base all’età, al peso, al sesso ed al tipo di sport praticato. Per il bambino che pratica attività fisica quotidianamente o quasi, sia in modo programmato che come gioco all’aperto, valgono le raccomandazioni nutrizionali per la popolazione sana. Di seguito, alcune regole fondamentali: attuare una corretta ripartizione dei pasti (cinque pasti al giorno), che comprendano sempre una buona colazione, uno spuntino, un pranzo completo o un piatto unico, una merenda e una cena leggera ed equilibrata; moderare l’eccessivo consumo di alimenti ad alto contenuto di grassi e zuccheri semplici (formaggi, insaccati, dolciumi, merendini); praticare una dieta variata, non abusare di bevande dolci che, oltre a non dissetare affatto, aumentano l’introito di zuccheri semplici; consumare alimenti poco raffinati, ricchi di fibra e poveri di edulcoranti e additivi in genere; bere a piccoli sorsi e spesso, durante e dopo l’attività sportiva, per integrare la perdita di liquidi attraverso il sudore.
Ma qual è la fonte adeguata di energia per i piccoli atleti?
Che i carboidrati forniscano energia è ormai cosa nota. Ma la cosa che non tutti sanno è che si tratta di energia pulita: infatti dalla combustione (nel senso metabolico del termine) di glucosio si formano, oltre all’energia, acqua ed anidride carbonica. Niente di più pulito, per l’organismo umano! Anche i grassi e le proteine possono fornire energia, ma i loro prodotti di combustione sono meno innocui, lasciando nel sangue molte scorie e impegnando a lungo e profondamente il fegato e i reni. I carboidrati forniscono almeno il 50% dell’energia necessaria a noi tutti quotidianamente. Ma, attenzione, non tutti carboidrati sono uguali. Essi si distinguono infatti in semplici e complessi. I primi producono un repentino innalzamento di glucosio nel sangue, mentre i secondi provocano un picco glicemico più attenuato e forniscono energia per un tempo più prolungato.
Innalzare repentinamente il livello di glucosio nel sangue non è mai una cosa positiva, poiché costringe l’organismo ad un super lavoro per abbassarlo. Ad ogni picco glicemico corrisponde successivamente un brusco abbassamento che, in termini di sintomi macroscopici, crea uno stato di ipoglicemia, cui segue sonnolenza, spossatezza ed immediata necessità di mangiare di nuovo. Per questo è preferibile consumare carboidrati complessi ed accompagnare sempre gli zuccheri con una buona quota di fibra, che rende meno improvvisi e meno intensi i picchi glicemici, quindi meno acuti i sintomi precedentemente accennati.
Che dire delle proteine? Sono sicuramente necessarie al piccolo sportivo per strutturare, sviluppare e mantenere la massa muscolare, ma attenzione a non esagerare, soprattutto con quelle di origine animale, che acidificano il sangue e costringono le ossa a tamponarne l’acidità, liberando bicarbonato di calcio e impoverendo così il tessuto osseo di questo ione prezioso. Ricordiamoci, infatti, che anche molti vegetali, in particolare i legumi associati ai cereali, contengono proteine di buona qualità. E’ sufficiente dunque variare le fonti proteiche (latte e latticini, carne, pesce, uova, legumi) e non superare i tre pasti carnei a settimana, per assumere la giusta quantità e qualità di proteine.
E i grassi? Da non demonizzare, vanno consumati con moderazione e scegliendo quelli giusti (leggi l’articolo sugli oli tropicali). Essi rappresentano una fonte di energia, un importante materiale di riserva e un nutriente strutturale; ma attenzione a quelli saturi, soprattutto quelli “nascosti”, contenuti in merendine e altri cibi preconfezionati.
Che posto dare, infine, all’integrazione? Se ci si nutre in modo vario ed equilibrato il ricorso agli integratori è superfluo. E’ bene sempre ricordare che non esistono cibi magici che migliorino le prestazioni sportive: quel ch’è certo, invece, è che nessun cibo e nessun integratore possono sostituire l’allenamento!

Evento correlato: http://sites.google.com/site/seminarioatleticavirtus/

La verità sulle diete

Giovedì 18 febbraio 2010

dalle 17,00 alle 19,00

 Presso ambulatorio medico Il Parlascio, Pisa

INCONTRO GRATUITO    dal titolo

LA VERITA’ SULLE DIETE

Sono davvero necessarie per tornare in forma?

 

Risponderà alle vostre domande

 

Dott.ssa Giuseppina D’Urso

Nutrizionista ed Educatrice Alimentare

 

Numero massimo partecipanti: 10

Per problemi di spazio è gradita la prenotazione telefonica.

Tel. 347 0912780