Ciclo di incontri di Educazione Alimentare per la Famiglia
Un piccolo manuale per i progetti a scuola
Presentazione “Il cibo dell’accudimento” a San Giuliano (Pisa)
Rispondendo a milanodabere.it …
Intervista su milanodabere.it
Presentazione de “Il cibo dell’accudimento” alla Coop di Vecchiano (Pisa)
Uno mangia troppo e l’altro poco… che fare?
Non è affatto inusuale, per chi si occupa di nutrizione pediatrica, incontrare famiglie in cui uno dei figli mangia molto e l’altro invece è inappetente. Un dilemma che dal punto di vista pratico e organizzativo mette la famiglia in grande difficoltà, perché è chiamata a gestire due situazioni non solo molto diverse fra loro, ma assolutamente opposte.
Come fare, infatti, a contenere l’appetito sfrenato di un figlio, se il fratellino mostra indifferenza pressoché assoluta nei confronti di molti, se non di tutti, gli alimenti?
Può essere valida la regola del divieto per uno e della facilitazione, sempre e in ogni caso, per l’altro? In poche parole, si può limitare a uno l’accesso a una dispensa piena di ogni leccornia e succulento manicaretto preparati per stuzzicare l’interesse e l’appetito dell’altro?
Il piccolo “ingurgitatore”…
Il problema è complesso e merita una riflessione attenta. I bambini cosiddetti “ingurgitatori” mostrano spesso una sorta di compulsività che li porta, soprattutto durante le ore pomeridiane che trascorrono a casa, alla continua ricerca di cibo consolatorio, cioè ricco di grassi e zuccheri, che hanno l’effetto di gratificare il palato nell’immediato, spesso senza nutrire a sufficienza.
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Rifiuto del cibo e patologie metaboliche: un caso in corso.
Recentemente è arrivata alla mia osservazione Rebecca (nome di fantasia): una bambina con intolleranza al fruttosio o fruttosemia. Si tratta di una patologia genetica, autosomica recessiva, caratterizzata dall’assenza dell’enzima fruttosio-1- fosfato aldolasi deputato alla metabolizzazione del fruttosio. Questo zucchero quindi tende ad accumularsi nel sangue e a provocare danni epatici, renali e metabolici. La malattia può manifestarsi già nella primissima infanzia con vomito, rifiuto del cibo e ipoglicemia. In assenza di una diagnosi precoce e della dieta deprivata di fruttosio, la situazione può essere così grave da arrecare danno epatico e renale e rendere necessario il ricovero in ospedale.
Rebecca ha poco più di due anni e di ricoveri ne ha già subiti diversi. Finalmente adesso la sua patologia è stata individuata e diagnosticata con precisione, pertanto la bambina sta seguendo una dieta completamente priva di fruttosio, saccarosio e sorbitolo. La difficoltà di strutturare e seguire un piano alimentare siffatto è rappresentata soprattutto dalla presenza di fruttosio nascosto in molti alimenti industriali. Pertanto è consigliabile utilizzare cibi che naturalmente non lo contengono. Inoltre, è importante lavorare sulla salute del suo intestino e sulla regolarità dei suoi assorbimenti, attraverso l’utilizzo di probiotici esenti da fruttosio (la cui ricerca è risultata davvero ardua!). Un altro aspetto fondamentale è l’integrazione vitaminica, attraverso prodotti di integrazione adeguati.
La gestione di una dieta deprivata di fruttosio in una bambina così piccola è molto complessa e faticosa, anche perché, a causa dei continui sintomi e dei conseguenti ricoveri, Rebecca ha sviluppato una reazione repulsiva verso il cibo e il momento del pasto in generale. Tale repulsione, inoltre, si sovrappone alla neofobia fisiologica che ogni bambino sperimenta fra il primo e terzo anno di vita. Le reazioni più comuni di Rebecca attualmente sono il pianto, la stizza, la fuga e l’allontanamento dalla tavola apparecchiata, la tendenza a piluccare e l’estrema selettività. La crescita della bambina, al momento, è regolare e questo ci concede il tempo di instaurare con calma un buon rapporto empatico e strutturare un percorso adeguato.
Rebecca attualmente rifiuta anche alimenti proteici naturalmente privi di fruttosio quali la carne, l’uovo e il formaggio e il pesce che, in questa fase della crescita e in presenza di un regime alimentare così ristretto, assumono un’importanza fondamentale. Il lavoro con Rebecca è appena iniziato e fondamentalmente riguarda la sensorialità e le reazioni di diffidenza: stiamo imparando a conoscere il cibo e ad accettare la convivialità attraverso colori, reazioni tattili e l’uso di video appropriati. Il secondo step riguarderà la sperimentazione dei cibi da introdurre fra i suoi consumi in forma adeguata: in questo passaggio sarà fondamentale la collaborazione dei genitori nella preparazione dei pasti e nella condivisione familiare, serena e paziente.
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La colite non è un male necessario
Nel mio lavoro di nutrizionista, molto spazio e molto tempo vengono regolarmente occupati dall’attenzione alla funzionalità intestinale, poiché è noto quanto dalla salute del nostro secondo cervello dipenda quella dell’intero organismo e quanto il lavoro preventivo attraverso il cibo passi proprio dalla fisiologia di questa parte del nostro corpo, considerata così poco nobile eppure tanto importante. “Convivo con la colite da sempre!” è una frase che ho sentito pronunciare molte volte e che dà l’idea della rassegnazione con la quale le persone che soffrono di questo disturbo affrontano il disagio quotidiano dell’alvo irregolare. Sia colpa dei dolori, del gonfiore, della stipsi o della diarrea, il disturbo finisce per condizionare la qualità della vita, influenzando l’umore e le attività quotidiane. Esistono diversi tipi di colite: infettiva, da agenti chimici, nervosa, da antibiotici, ulcerosa. La forma più frequente è rappresentata dalla sindrome dell’intestino irritabile (IBS, Irritable Bowel Syndrome, nota anche come colite spastica), un processo infiammatorio che colpisce circa il 20% della popolazione e che riguarda il colon o parte di esso. I sintomi più frequenti della IBS sono dolori addominali, gonfiore, scariche diarroiche alternate a periodi di stitichezza ostinata. In genere, si osserva l’alternarsi di periodi di remissione e periodi di acuzie e, nonostante non si tratti di una malattia grave, la sua frequenza e la sintomatologia fastidiosa ne fanno una delle patologie dalle conseguenze socio-sanitarie piuttosto considerevoli. Proprio per questo è importante sapere che, dopo la diagnosi di IBS effettuata dal medico specialista, con un piano alimentare adeguato e personalizzato e una particolare attenzione all’equilibrio della componente batterica intestinale è possibile alleviare la sintomatologia, allungare i periodi di remissione e rendere la qualità della vita decisamente migliore. Importantissima, in questo senso, è l’anamnesi che il nutrizionista effettua durante il primo incontro, in quanto l’attività del colon, e dell’intestino tutto, è influenzata, oltre che da fattori generali e accidentali, anche e soprattutto da fattori individuali, fra i quali quelli genetici, alimentari, stressogeni ed emozionali. Ricordiamo, infatti, che l’intestino rappresenta l’interfaccia che il nostro organismo interpone fra l’esterno e l’interno: ogni cibo di cui ci nutriamo fa parte dell’ambiente esterno fino a quando non viene assorbito nelle sue singole parti. Inoltre, questa interfaccia è davvero molto complessa dal punto di vista anatomo-funzionale, ricca com’è di tessuto atto all’assorbimento, terminazioni nervose, cellule immunitarie, tessuto neuro-endocrino e componente batterica. Quest’ultima, come è già stato detto in altri articoli di questo blog, rappresenta un vero e proprio organismo nell’organismo, costituendo quello che ormai conosciamo con il nome di microbiota intestinale. Questa ricchezza anatomo-funzionale pone l’intestino al centro di una vasta gamma di funzioni, oltre a quella più nota e comunemente ricordata, dell’assorbimento dei principi nutritivi. Da quest’organo partono infatti stimoli e segnali neuro-endocrini che regolano l’appetito e la sazietà, il sonno e la veglia, l’umore, la capacità di gestire lo stress. Grazie alla componente immunitaria, continuamente sollecitata e “allenata” dal microbiota in equilibrio, l’intestino si trova al centro delle reazioni di difesa e prevenzione riguardo a molte patologie, non solo infettive. Sempre alla componente batterica dobbiamo anche la produzione di particolari sostanze protettive derivate dalla fermentazione di alcuni componenti alimentari. Alla luce di queste osservazioni, che peraltro mettono in risalto solo alcune delle molteplici funzioni dell’intestino, risulta comprensibile il motivo per cui se l’equilibrio di questo complesso sistema si altera le conseguenze sul nostro benessere sono macroscopiche e considerevoli. Risulterà chiaro quindi che adeguarsi a certi sintomi non solo significa rassegnarsi a sopportare quel fastidioso stato di cose, ma esporre il nostro organismo a deficit e rischi che a lungo termine possono esacerbare patologie più importanti di una semplice colite. E’ il cibo, come spesso accade, la prima vera terapia; esso però, una volta individuato, bilanciato e scelto attraverso un’accurata valutazione dei fabbisogni, dei gusti e della composizione corporea, deve essere supportato e accompagnato da un lavoro attento sulla popolazione batterica che non può e non deve essere considerata come presenza generica e comune, ma come preziosa connotazione personale, un’impronta che ci distingue, che guida e gestisce il nostro modo di compensare, sopperire e reagire. Anche il lavoro sulle emozioni e sulla loro gestione, sullo stress e sulla capacità di farvi fronte, rappresenta spesso una strada parallela auspicabile. La parola d’ordine, comunque, è ancora una volta “personalizzazione”, poiché ognuno di noi è unico. Anche all’interno!
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Immagini: la prima è tratta dalla rete, la seconda dal seguente sito: http://www.drkarenfrackowiak.com/