Archivio tag: Cibo e salute

A scuola di esperienza

 

 

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Amo l’estate, ma accolgo i primi freddi come una buona occasione per rimettere ordine.
Questo faccio oggi, metto ordine. E riguardando le fotografie dei laboratori di educazione alimentare che, negli anni, ho avuto il piacere di condurre, sorrido e penso che tutto ciò che s’impara da bambini lascia un  a traccia che accompagna per sempre.

Nella mia infanzia ho avuto la fortuna di partecipare a un magnifico inimitabile “laboratorio”, quello della natura che, di stagione in stagione, scandiva il tempo e le usanze a tavola; donava i suoi frutti al tempo giusto e nessuno si chiedeva perché. Era tutto talmente chiaro e semplice!

Quelle esperienze sono ancora così presenti dentro di me e mi hanno fatto talmente tanta compagnia che credo fermamente e irrimediabilmente nel valore della didattica esperenziale; in quella disciplina, cioè, che utilizza l’esperienza diretta e si avvale di strumenti semplici ed efficaci, della manipolazione e dell’emozione, dei cinque sensi e delle buone idee, delle soluzioni estemporanee e dello spirito di adattamento.

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Vuoi perdere peso?

1- Regola numero uno: smetti di contare le calorie. Il cibo non è un nemico, ma nutrimento e condivisione.
2- Nascondi le bilance: sia quella per alimenti, che quella pesa-persone.
3- Compra cibo fresco e vegetale. Che sia locale e stagionale.
4- Nascondi le chiavi dell’auto e impara a spostarti sulle tue gambe!
5- Evita cibi confezionati ed inutili (dolciumi e cibo spazzatura) .
6- Impara, conosci, scegli!

 

Studio Nutrizionale Giusi D’Urso 

Percorsi di Educazione e riabilitazione Alimentare. Per informazioni e appuntamenti:
347 0912780 

I modelli, il cibo e la cattiva comunicazione.

Oggi, per arrabbiarmi un po’, prendo spunto dal racconto fattomi da un’amica, la cui bambina di otto anni è arrivata a casa con una novità: la maestra a scuola ha detto che alcuni cibi vanno evitati perché fanno ingrassare.
È bello, lo dico con convinzione, che una maestra si interessi all’educazione alimentare e che esprima la volontà di insegnare ai bambini la sana alimentazione. Ma, come in tutte le cose, ci sono mille modi per raggiungere un obiettivo e ritengo che questo modo sia il meno adeguato e all’argomento e al target cui è rivolto.
Se a un bambino insegniamo come accendere un fiammifero senza scottarsi, spiegandogli come tenerlo fra le dita, come orientare la fiamma e quando è il momento di soffiarvi sopra per spegnerlo, egli acquisirà una competenza, motivato da ciò che abbiamo trasferito, magari accompagnando il messaggio con l’esempio. Se, invece, al bambino viene detto che il fuoco brucia ed è pericoloso, quel bambino probabilmente non imparerà mai a gestire correttamente un fiammifero.
Vorrei che ognuno di noi riflettesse sul linguaggio. La nostra lingua è complessa e molto articolata: esistono numerose parole e altrettanti modi di dire la stessa cosa. Ma, facciamo un passo indietro e cerchiamo prima di avere le idee chiare su cosa vogliamo comunicare, con particolare attenzione al destinatario della nostra comunicazione.
Parlare di cibo a bambini della scuola primaria, così come agli adolescenti, implica una serie di competenze, responsabilità, abilità comunicative. Se è vero che il cibo non è solo nutrimento (non mi stancherò mai di dirlo e scriverlo!), ma anche e soprattutto strumento sociale, di condivisione e confronto con i pari, allora non può essere trattato come qualsiasi argomento, ma richiede delicatezza e attenzione. Se il corpo è il mezzo attraverso cui il bambino e l’adolescente si misurano con il resto del mondo, allora parlare senza cognizione di causa ai bambini di “grasso”, “ciccia”, “alimenti ingrassanti” o “dimagranti” è quantomeno rischioso, soprattutto se diamo un’occhiata a certi numeri: in Italia per ogni 1000 donne fra i 10 e i 25 anni si verificano tre casi di anoressia, dieci di bulimia, settanta di disturbi subclinici, cioè di difficile diagnosi; si registra, inoltre, una preoccupante anticipazione dell’età d’esordio in età prepubere (bambini sui 7 anni possono manifestare anoressia). In aumento anche i casi maschili adolescenziali (rappresentano un decimo di quelli femminili per l’anoressia nervosa) che tendono più al consumo per esercizio fisico che alla condotta alimentare restrittiva.
Sarebbe corretto, dunque, non avventurarsi in gineprai da cui poi è difficile uscire. L’educazione alimentare nelle scuole è fondamentale, ma va affrontata in modo serio e prudente, soprattutto in età pre-adolescenziale. Ritengo che gli educatori abbiano un ruolo importantissimo e che siano figure di riferimento su cui contare, a condizione, però, che i loro passi non siano azzardati e non si muovano su terreni a loro poco congeniali, in un’epoca, la nostra, in cui gli aggettivi “grasso” e “magro” assumono significati ben più complessi rispetto al passato.
Buona riflessione!

Spiegare il cibo ai bambini: adeguare l’educazione alimentare ai cambiamenti del mondo.

Ho l’ambizione di spiegare ai bambini cosa sta succedendo al nostro cibo. È un’ambizione motivata dalla certezza che bisogna fornire strumenti adeguati a chi il futuro se lo giocherà con fatica e facendo a meno di risorse a cui noi siamo abituati e che troppo spesso diamo per scontate.
Spiegare il cibo ai bambini non è solo fare educazione alimentare come siamo abituati a pensarla. Certo, sapere che gli alimenti si dividono in gruppi e che sono composti da principi nutritivi è importante. Come lo è, del resto, riconoscere una merenda finta (industriale) da una vera (casalinga)!
Tuttavia, sono convinta che il lavoro da fare sia più profondo, più ampio, più complesso e articolato e che richieda tempo, competenze, dedizione. Non è più sufficiente spiegare ai bambini cosa contiene il pane e quando e come va mangiato. È necessario raccontare loro cosa c’è dietro ciò che mangiano: la fatica di chi coltiva la terra e le difficoltà con cui oggi deve misurarsi. Ci sono modi, tempi e persone per questo, ma tutti possiamo fare la nostra parte, cercando il linguaggio adeguato, dando il buon esempio, non perdendo buone occasioni di confronto. Ricordiamoci che, come scrive J. Juul in uno dei suoi testi più famosi, il bambino è “competente”. Dobbiamo essere pronti a fidarci delle sue competenze e a valorizzarle.
Non è un’utopia insegnare ai bambini che le scelte di ogni giorno pesano sul futuro di tutti. È e deve restare un obiettivo comune a noi adulti.
Ho l’ambizione, dicevo, di spiegare ai bambini cosa sta succedendo al nostro cibo. E spero che sia un’ambizione contagiosa.