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L’obeso non è il suo peso!

Con gli anni, ho imparato dal mio lavoro che la prima cosa da valutare nei casi di sovrappeso e obesità non è il peso in eccesso, ma l’individuo stesso, fatto di pensieri, comportamenti, gusti, disgusti, emozioni e sentimenti. Valutare solo il suo peso è riduttivo, così come lo è mirare al solo dimagrimento. Una volta raggiunto un peso accettabile, le sue abitudini pregresse torneranno a farla da padrone se non abbiamo lavorato per ristrutturarle e riabilitarle. Il percorso nutrizionale deve essere sostenibile e personalizzato, prevedere momenti di autovalutazione e confronto con altri individui; porre al primo piano la gestione dell’appetito e delle trasgressioni, coerentemente con le abitudini e i bisogni della persona.   Poiché solo acquisendo strumenti pratici e funzionali l’individuo sarà in grado di affrontare i momenti di fragilità e gestirli al meglio. Evitare trasgressioni e gratificazioni significa eludere il problema e rimandarne la soluzione, instaurando un circolo vizioso fra le compulsioni e i sensi di colpa. E’ importante chiarire da subito che gli obiettivi si raggiungono con la collaborazione,  la fiducia nel trattamento e nelle proprie abilità. E, poiché chi ben comincia è a metà dell’opera, credo si debba iniziare da una comunicazione corretta e un atteggiamento di accoglienza e ascolto. Solo così si può riabilitare, risolvere e costruire uomoL’immagine è relativa al trattamento di riabilitazione nutrizionale di un uomo obeso di 40 anni, in assenza di complicanze. Il suo Indice di Massa Corporeo (IMC, o BMI in inglese) si è ridotto in maniera sostanziale e graduale, sin dalle prime settimane di trattamento (fino a questo momento, 14 settimane): l‘individuo non è stato sottoposto a nessuna dieta restrittiva, ma è stato rieducato alla scelta di cibi adeguati, alla gestione dell’appetito, di eventuali momenti di compulsione e di momenti di condivisione a tavola (feste, aperitivi con gli amici, ecc.). Oltre alla rieducazione alimentare, sta seguendo un’attività fisica quotidiana e moderata.

 

 

Immagine e testo di Giusi D’Urso
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Obesità infantile: l’importanza del lavoro integrato

Grafico 1

L’esperienza del trattamento nutrizionale dei bambini obesi o in sovrappeso è davvero molto interessante e, nonostante i numerosi anni di professione, continua a offrirmi nuovi spunti di approfondimento e riflessione. Accade, seguendo questi bambini, che la pratica del nutrizionista debba orientarsi verso tutti i componenti della famiglia, poiché il sovrappeso di un individuo non è, e non può essere, un problema esclusivamente individuale se egli fa parte di un piccola comunità integrata e dinamica come la famiglia. Esso, probabilmente, oltre che di una componente genetica, rappresenta il risultato complessivo di una serie di pratiche poco adeguate che hanno coinvolto e coinvolgono ancora l’intero sistema famiglia. Parlo di abitudini quotidiane inadeguate e della conseguente destrutturazione dello schema alimentare, dalle pratiche di divezzamento a quelle di accudimento a tavola in generale, dalla lista della spesa alle consuetudini in cucina.
Questo è il motivo per cui nel trattamento nutrizionale di un bambino obeso è compreso un lavoro imprescindibile con gli altri componenti della famiglia, oltre a figure che possiamo definire collaterali: fratelli, sorelle, genitori, nonni, baby sitter e altri soggetti che si occupano dell’accudimento del bambino in questione. Nel caso in cui il bambino faccia un’attività fisica oltre a quella scolastica (sarebbe auspicabile!), anche l’istruttore o l’allenatore dovrebbero essere coinvolti prima possibile e invitati a collaborare al percorso di riabilitazione nutrizionale e motivazionale, teso a raggiungere il peso adeguato del bambino attraverso l’acquisizione di strumenti di autoregolazione delle proprie emozioni, una maggiore autonomia nelle scelte alimentari, l’educazione agli assaggi e alle varie esperienze sensoriali che ne conseguono.
Poiché gli adulti che hanno un maggiore impatto sui comportamenti alimentari del bambino sono in genere i genitori, come indica chiaramente gran parte della letteratura scientifica disponibile, è con loro che spesso organizzo incontri e seminari, intercalati agli appuntamenti con il bambino. Quindi, in definitiva, il percorso di riabilitazione nutrizionale di un bambino obeso si basa su almeno due tipi di intervento (esperienziale e ludico col bambino, discorsivo e di approfondimento con i genitori)  tesi a fornire strumenti accessibili e concreti atti all’acquisizione di buona pratiche alimentari. Nei casi in cui la componente psico-emotiva, che fisiologicamente gioca di per sé un ruolo importantissimo nella gestione del comportamento alimentare, fosse così complessa e presente da rendere il percorso nutrizionale più difficoltoso del previsto, la collaborazione con altre figure professionali (psicoterapeuta, pedagogista clinico, neuropsichiatra infantile) può aiutare a sciogliere nodi e dilemmi emersi in itinere e rendere più fluido ed efficace il lavoro del nutrizionista.
Il grafico 1 mostra l’andamento dell’Indice di Massa Corporea di un bambino di 9 anni, arrivato alla mia attenzione nel mese di maggio 2016 con un valore di IMC al di sopra del 95° centile e tuttora in trattamento (mantenimento). I cinque incontri, in cui il piccolo ha seguito il percorso di riabilitazione nutrizionale, è stato pesato e misurato, si sono intercalati a incontri (in questo caso più numerosi, ovvero otto) con i genitori, soprattutto con la mamma, essendo lei ad occuparsi maggiormente dell’approvvigionamento alimentare e della preparazione dei pasti. Durante queste occasioni sono stati affrontati argomenti quali la scelta dei cibi a minore impatto sulla glicemia, l’importanza del movimento all’aperto, la gestione e il contenimento delle compulsioni relative al cibo, il linguaggio più adeguato da adottare in presenza del bambino e la condivisione di momenti conviviali particolari, come le feste di compleanno e altre ricorrenze. Con il piccolo, invece, ogni volta è stata aggiornata la tabella degli assaggi e delle scelte, in base alle nuove esperienze suggerite; è stato affrontato in modo ludico un argomento relativo alla scelta alimentare, attraverso storie, fumetti e disegni; sono stati messi in atto giochi volti ad aumentare la percezione dell’appetito e della sazietà. Il grafico 2 è relativo al IMC di un adolescente di 15 anni che seguo da marzo 2017.

Grafico 2

Grafico 2

In questo caso, gli strumenti forniti al ragazzo sono stati soprattutto di autogestione nei momenti conviviali coi pari, di consapevolezza delle scelte alimentari quotidiane in autonomia, di rieducazione del gusto, che tipicamente a questa età risulta omologato e poco disponibile ad assaporare cibi semplici e non industriali.
L’aderenza al percorso è molto legata alla motivazione che innanzitutto i genitori e di conseguenza il bambino mostrano sin dall’inizio. Ma i risultati, soprattutto se arrivano già dai primi incontri, sono sicuramente un ottimo incentivo, insieme all’atteggiamento accogliente, sereno, giocoso e propositivo del professionista.

 

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Non solo DCA

 

DSCN4068I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) rappresentano una categoria di patologie diffuse nei paesi industrializzati e dette “culture-bound”, per indicare la relazione stretta che esiste fra le pressioni socio-culturali (modelli estetici, mode e tendenze) e l’eziologia di questi disturbi. In Italia, i DCA coinvolgono approssimativamente tre milioni di giovani. Il dubbio o semplicemente la paura che una figlia o un figlio possano essersi ammalati di queste gravi patologie getta spesso i genitori nello sconforto e genera tensioni e ansie che cropped-DSCN5808.jpgpeggiorano le dinamiche familiari.
Mi accade spesso di ascoltare genitori preoccupati per il rifiuto pervicace del cibo da parte di bambini in età pre-scolare, scolare o di adolescenti e la parola Anoressia è quasi sempre sottintesa, anche se non viene nemmeno nominata per paura che si materializzi all’istante.
Oltre alla necessità di valutare attentamente, insieme al pediatra di famiglia e a uno psicologo o uno psichiatra esperti nel campo, la presenza o meno di sintomi e comportamenti che facciano pensare a un DCA, mi sforzo sempre di leggere fra le paure e le ansie dei genitori tutto ciò che può rivelarsi utile alla comprensione del problema. Poiché il rifiuto del cibo in età pediatrica (e non solo) può avere molti significati: dalla facilità con cui un bimbo si sazia al richiamo d’attenzione, da un’inappetenza momentanea e transitoria a una fase di cambiamento repentino durante la crescita. Solo un’attenta anamnesi, magari ripetuta più volte, può dare informazioni utili.
Ad esempio, mi capita spesso di dover lavorare sul ciclo fame/sazietà di un bambino, sulla strutturazione dell’alimentazione giornaliera e sulla qualità dei suoi pasti, in quanto molto più frequentemente di quanto si possa immaginare, i bambini arrivano ai pasti principali già sazi per cui tendono a rifiutare il pasto e il momento di condivisione ad esso legato. A volte, invece, è il gusto il protagonista del “contendere”: molti bambini, per esempio, rifiutano il pasto a scuola perché non coincide con le proprie preferenze alimentari, “allenate” su altri sapori, su altre abitudini, altri cibi.
Nei casi in cui è stata esclusa una patologia, ciò che può aiutare è un percorso di educazione alimentare individuale e familiare che miri alla ristrutturazione delle corrette abitudini alimentari e alla riabilitazione del gusto.
Nei casi più complessi e, per fortuna, più rari, dietro al rifiuto del cibo possono celarsi dinamiche più profonde e più gravi. Sarà necessario, allora, confrontarsi con un gruppo di professionisti adeguati o inviare il bambino o l’adolescente ad un centro specializzato.
In generale comunque, sono l’ascolto e l’attenzione gli strumenti che fanno davvero la differenza, insieme alle competenze e all’empatia.
Una cassetta degli attrezzi completa, insomma, da cui, credo, chi fa il mio lavoro non possa prescindere.

 

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Immagini di Giusi D’Urso

 

Inutilmente fortificati

Il termine “fortificazione” viene utilizzato per indicare l’aggiunta a un alimento di micronutrienti (sali minerali, vitamine, ecc.) che lo rendano maggiormente nutritivo. La nascita di questi prodotti risale agli inizi del secolo scorso e trae origine dalla volontà di far fronte alle patologie causate da carenze vitaminiche e micronutrienti. Nei primi decenni del novecento comparvero, dunque, i primi alimenti fortificati: in Danimarca la margarina con vitamina A, in molti paesi europei e statunitensi la farina con ferro e vitamine del gruppo B.

Assodata la sua utilità in alcuni particolari contesti, a me, che vivo in Toscana, famosa per la varietà, la ricchezza e la qualità dei suoi prodotti alimentari, francamente, la fortificazione alimentare preoccupa non poco. Non voglio fare la guastafeste, ma ho la netta sensazione che i consumatori, inevitabilmente, percepiscano tali cibi (in genere, industriali) come “migliori”, più sani e salutari, tendendo a sceglierli a priori. “Mio figlio non mangia il pesce, ma gli compro il latte con gli omega tre!”, “I miei figli non mangiano la frutta, ma consumano ogni mattina un succo con le vitamine A, C ed E e cereali con fibra aggiunta”, e così via. Ebbene, complice anche l’estrema accessibilità di questi prodotti (si trovano facilmente sugli scaffali dei supermercati) si rischia a mio avviso di diseducare al buon cibo, all’alimentazione varia e colorata, alla scelta e al gusto e si finisce per giustificare ed arrendersi a determinati rifiuti, senza nemmeno provare a superarli. D’altra parte, un’alimentazione varia ed equilibrata, in condizione fisiologiche, non necessita affatto di integrazioni e fortificazioni. L’importante è nutrirsi di alimenti stagionali, prodotti nel territorio in cui viviamo, freschi e colorati come solo Madrenatura è capace di produrre. Avete provato a fare un giro in un’azienda agricola toscana in questa stagione? Le Brassicacee ci offrono uno spettacolo variopinto, con i loro cavoli e le loro verze. A ogni colore corrisponde una ricchezza di micronutrienti capaci di proteggerci da svariate malattie. Che dire, poi, dei nostri piatti tradizionali come la ribollita, la zuppa toscana, ricchi di fagioli e cavoli (verza e nero)! Essi recano con sé la saggezza contadina che associa gli ortaggi dell’orto ai legumi e il pane casalingo (cereali), rispondendo ai fabbisogni dell’organismo e gratificando il palato. D’altra parte, per fare un pieno di vitamine e fibra è importante anche consumare frutta fresca, matura al punto giusto e sceglierla colorata e profumata. Non dimentichiamo, poi, di trascorrere più tempo possibile all’aria aperta e di muoverci quotidianamente, per aiutare il nostro organismo a produrre vitamina D e a fissarla nelle ossa.

In conclusione, dunque, come comportarsi, quindi, davanti alla scritta “con l’aggiunta di …”? Come si faceva saggiamente un tempo davanti a qualsiasi acquisto: chiediamoci se ne abbiamo davvero bisogno.

Articolo apparso su Il Tirreno il 16 dicembre 2014

 

 

 

A scuola di esperienza

 

 

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Amo l’estate, ma accolgo i primi freddi come una buona occasione per rimettere ordine.
Questo faccio oggi, metto ordine. E riguardando le fotografie dei laboratori di educazione alimentare che, negli anni, ho avuto il piacere di condurre, sorrido e penso che tutto ciò che s’impara da bambini lascia un  a traccia che accompagna per sempre.

Nella mia infanzia ho avuto la fortuna di partecipare a un magnifico inimitabile “laboratorio”, quello della natura che, di stagione in stagione, scandiva il tempo e le usanze a tavola; donava i suoi frutti al tempo giusto e nessuno si chiedeva perché. Era tutto talmente chiaro e semplice!

Quelle esperienze sono ancora così presenti dentro di me e mi hanno fatto talmente tanta compagnia che credo fermamente e irrimediabilmente nel valore della didattica esperenziale; in quella disciplina, cioè, che utilizza l’esperienza diretta e si avvale di strumenti semplici ed efficaci, della manipolazione e dell’emozione, dei cinque sensi e delle buone idee, delle soluzioni estemporanee e dello spirito di adattamento.

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Sportello di orientamento nutrizionale

Si comunica che il giorno 3 settembre 2013, nel pomeriggio, presso il mio studio di Largo Arieti (zona Porta a Lucca) a Pisa, sarà attivo uno sportello gratuito di  orientamento nutrizionale per

 

 

  •  disturbi alimentari 
  •  obesità (adulti e bambini)
  • inappetenza infantile
  • disturbi dell’apparato digerente
  • percorsi familiari di educazione alimentare
  • laboratori per bambini

E’ necessario prenotare l’incontro telefonando al 347 0912780.

Vi aspetto!

In punta di forchetta!

Un interessante studio americano sull’alimentazione preventiva (The China Study), recentemente tradotto in italiano, dimostra che la maggior parte delle patologie cardiovascolari, metaboliche e tumorali possono essere prevenute con uno stile alimentare sano.
Uno dei suoi autori, T. Colin Campbell, sostiene difatti che la causa delle malattie più comuni cui andiamo incontro sta “in punta di forchetta” e che, pertanto, è possibile gestirla e controllarla.
A pensarci bene, è una gran bella notizia! Significa, infatti, che con le nostre scelte alimentari siamo in grado di scegliere se stare bene o stare peggio.
In realtà, non è una novità. Il filosofo Feuerbach (1804-1872) asseriva :”Noi siamo quello che mangiamo”, indicando che il cibo che assumiamo influenza il nostro stato di salute fisica e mentale.
Ma molto tempo prima, Ippocrate scriveva “Fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo.”, indicando una via naturale alla prevenzione e alla cura delle malattie.
Se siete appassionati di internet e provate a fare una ricerca con le parole chiave “alimentazione e patologie” rimarrete esterrefatti di fronte alla mole enorme di produzione scientifica disponibile. Se leggete quotidiani e periodici non vi sarà sfuggita l’attenzione, ormai diffusissima, alla relazione fra cibo e salute.
Direi, quindi, che non ci manca di certo l’informazione. Potremmo vivere in un mondo di persone in salute, lucide, dinamiche e fiduciose nel futuro.
Invece, paradossalmente, leggiamo numeri allarmanti sull’obesità, soprattutto quella infantile (un bambino italiano su tre ha un peso eccessivo), sul diabete di tipo due (in continuo aumento e ad insorgenza sempre più precoce), sull’osteoporosi (presente già negli adolescenti e nei giovani adulti). Qualcosa non funziona come dovrebbe, allora.
Il cammino dell’informazione che, una volta acquisita, deve trasformarsi in consapevolezza e guidare le nostre scelte alimentari è, in qualche modo, disturbato, deviato, contaminato da altre informazioni, altri condizionamenti, altra “cultura”. La punta della nostra forchetta, dunque, è disconnessa dall’informazione che abbiamo acquisito ed è pesantemente condizionata dalle informazioni fuorvianti degli spot pubblicitari, che, spesso travestiti da messaggi salutistici, fanno presa sui nostri sensi di colpa e sulla mancanza di tempo, per spingerci ad un consumo poco critico e poco consapevole.
Ma il cibo non è un oggetto tecnologico, né un elettrodomestico e neppure un capo di abbigliamento: il cibo è ciò che diverrà parte di noi. Una volta ingerito ed assorbito, esso si trasformerà in ossa, carne, sangue, ecc. Come si può, quindi, rinunciare al proprio istinto, al proprio senso critico e alla propria consapevolezza dovendo scegliere “cosa essere” e come vivere?
Pensiamoci, ogni volta che decidiamo cosa infilzare alla nostra forchetta!

(Pubblicato su Dimensione Agricoltura di maggio 2013)

Voce del verbo seminare

Ci sono gesti che restano in mente e mettono radici. Uno di questi è l’apertura del braccio che semina a spaglio il grano. L’immagine del contadino con la pioggia di sementi intorno mi accompagna da sempre, rassicurante, sebbene oggi un po’ surreale.
La semina è un gesto antico che serba dentro l’agire un significato e una simbologia assolutamente immortali. Il grembo della terra accoglie il seme che darà i suoi frutti, dopo una crescita che vuole aria, terra, acqua, calore. Ricorda il ventre generoso delle madri.
La fertilità di un campo mi fa pensare al dono, all’offerta, al bisogno e alla sua soddisfazione. Ma l’essenziale generosità di una spiga di grano stride, nella mia mente, con l’attuale distorsione di questi concetti. Scambiamo continuamente i “desideri” per “bisogni“. Il bisogno, però, è limitato per definizione, dalla necessità precisa che lo esprime. Il desiderio, invece, no!

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Per pulirsi la bocca …

Non sono pisana. Sono approdata in questa bella città nel 1983, dal profondo sud, terra di cannoli, pomodori secchi e pasta di mandorle.

Al primo pranzo da amici, dopo arrosti e patate al forno, arrivò un tagliere con pecorini locali a pasta molle o consistente, freschi, stagionati, piccantini. Nonostante fossi decisamente sazia, mi ci tuffai a capo fitto e, dopo aver soddisfatto il mio palato da sorcio ghiotto, chiesi se si trattasse di una tradizione toscana o se fosse stata un’eccezione. I miei ospiti si guardarono interdetti e il più anziano, fra un boccone di pecorino e un altro di pane sciocco, rispose: “è pe’ pulissi la bocca, no?”. Allora, giuro, mi sembrò quasi una goliardata.

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Vuoi perdere peso?

1- Regola numero uno: smetti di contare le calorie. Il cibo non è un nemico, ma nutrimento e condivisione.
2- Nascondi le bilance: sia quella per alimenti, che quella pesa-persone.
3- Compra cibo fresco e vegetale. Che sia locale e stagionale.
4- Nascondi le chiavi dell’auto e impara a spostarti sulle tue gambe!
5- Evita cibi confezionati ed inutili (dolciumi e cibo spazzatura) .
6- Impara, conosci, scegli!

 

Studio Nutrizionale Giusi D’Urso 

Percorsi di Educazione e riabilitazione Alimentare. Per informazioni e appuntamenti:
347 0912780