Sabato 22 febbraio alle 10,30 e in replica domenica 23 alle 14,00, intervista a Pagine in frequenza, Con Alessandro Forlani, su Rai Radio1.
Ecco il podcast
Sabato 22 febbraio alle 10,30 e in replica domenica 23 alle 14,00, intervista a Pagine in frequenza, Con Alessandro Forlani, su Rai Radio1.
Ecco il podcast
Non avete idea. Non immaginate quanto sia faticoso fare la strega. Mantenere costantemente questo ghigno cattivo, senza potersi mai rilassare, sorridere e fare una buona azione. Non è vita, credetemi! Mai un momento di relax, mai un attimo da dedicarsi in tutta serenità – che so io – per smaltarsi le unghie di un rosa tenue o pettinarsi i capelli grigi e crespi in un’acconciatura più femminile e presentabile. Mai un pensiero allegro e colmo di bontà verso gli altri.
Guai!
E poi, questa storia della mela di Biancaneve!
Confesso, non la reggo più. Biancaneve, dico. Le mele, invece…
Mi piacciono tutte: le Golden, le Delicius, le Renette…oh, le Renette! Che buona la torta alle mele renette di mamma! E che dire delle cotogne? Ogni anno ci faccio la composta. Irresistibile!
Ma la mia passione per questo frutto non finisce qui, lo confesso. Non è solo questione di gusto, sapete? Ho scoperto, leggendo qua e là e confrontandomi con un’amica che s’intende di cibo, che la buccia della mela contiene un tipo di fibra preziosissima. Così benefica e disintossicante da essere consigliata persino in caso di diverticolosi.
Per non parlare del contenuto, in questo frutto, di vitamine e sali minerali: pare che la vitamina A e la C siano quelle maggiormente presenti e che, fra i sali minerali, ci siano il magnesio, il bromo e il rame; mentre – dice la mia amica esperta – è povera di sodio, per fortuna di chi, come me, ne fa vere e proprie scorpacciate, pur soffrendo di pressione alta per le grandi e frequenti arrabbiature.
Ultimamente, poi, da quando Biancaneve è un tantino passata di moda e posso concedermi il lusso di scegliere anche mele differenti dalla solita (buonissima) Red- Delicius, mi sono appassionata a quelle antiche. Ce n’è una che mi somiglia un po’: la chiamano Brutta e Buona! Ha la buccia spessa e rugosa, è un po’ appiattita ai poli ma molto gustosa. E la Mela Piana? Non la conoscete? Croccante e acidula, si conserva a lungo, fino a primavera inoltrata.
Cosa dite? Perché la Brutta e Buona mi somiglia? Beh, che dire? Brutta, sono brutta, non c’è dubbio. Lo so, nessuno crede alla storia che io possa essere buona, sensibile e delicata. Peccato, perché invece è proprio così, lo confesso, a costo di non lavorare più. Dopotutto, cambiare professione non mi dispiacerebbe. Potrei sempre adattarmi e collaborare con la mia amica esperta di cibo. Lei, almeno, quando le porgo una bella mela gustosa e croccante, non sviene!
Pubblicato su manidistrega.it
Quando mangiamo, in genere, non ci chiediamo quali sono i meccanismi che ci portano a scegliere un alimento o a scartarlo. Eppure, dietro un atto così frequente si cela una serie di stimoli sensoriali e di risposte neurologiche molto complessi, che caratterizzano ognuno di noi e il nostro comportamento alimentare.
Il gusto per un dato alimento è un fattore individuale, legato, oltre che al profilo genetico, ad una serie di stimoli sensoriali piacevoli (ricordi, impressioni, sensazioni, sentimenti ed emozioni) con i quali il cervello si confronta prima di scegliere un cibo. In modo speculare, il disgusto per un dato alimento deriva da esperienze e sensazioni negative legate al suo consumo che costituiscono una memoria sensoriale indissolubile. I comportamenti che ne derivano hanno avuto grande importanza nelle varie tappe delle nostra evoluzione, rappresentando, spesso, una delle poche possibilità di sopravvivere ad alimenti potenzialmente tossici.
Gustare o meno un cibo dipende, dunque, dalle sensazioni attuali e pregresse. Oggi sappiamo anche che le sensazioni più gradevoli derivano da particolari miscele di zuccheri, grassi e sale che compongono certi alimenti. Le reazioni a tali miscele, tutt’ora oggetto di studio, sono all’attenzione dell’industria alimentare ogni volta che un nuovo prodotto deve essere immesso sul mercato. Moltissimi cibi industriali, infatti, sono costruiti “a tavolino”, senza che alcun dettaglio venga lasciato al caso. Di recente, un interessante articolo pubblicato sul settimanale tedesco Der Spiegel spiega, citando l’ultimo di libro del premio Pulitzer Michael Moss, come le industrie che sfornano prodotti alimentari di largo consumo studino e progettino il “cibo perfetto” al fine di fidelizzare il consumatore, piuttosto che nutrirlo.
Quali conseguenze provocano alla nostra salute cibi del genere?
La risposta è insita nel meccanismo che regola il ciclo fame-sazietà. In generale, quando le scorte energetiche sono insufficienti avvertiamo il senso della fame; mentre, quando il cibo ci ha fornito sufficiente energia ci sentiamo sazi e smettiamo di mangiare. Così descritto, il meccanismo sembra essere di una ovvietà sconcertante. In realtà, nella regolazione del ciclo fame-sazietà intervengono molti e complessi sistemi inconsci, selezionati in migliaia di anni dai processi evolutivi. Una raffinata serie di segnali metabolici, endocrini e neurologici regola il fabbisogno energetico del nostro organismo, registrando ed integrando al contempo gli stimoli provenienti dall’ambiente.
Tuttavia, oggi, l’accesso ad ogni genere di alimento, lo stress, gli stili di vita frenetici e poco sani, mettono a durissima prova il nostro istinto, l’equilibrio energetico e la chimica che li regola. Accade, così, di rifugiarsi nel cosiddetto confort food, cioè in alimenti estremamente calorici che, facendo presa sulle nostre sensazioni, le nostre nevrosi e i nostri bisogni inconsci, forniscono una soddisfazione immediata del palato, creando dipendenza e le basi per l’accumulo di peso e tutto ciò che ad esso consegue.
Ecco che il gusto e il disgusto, così come anche la fame e la sazietà, vengono destabilizzati, condizionati e spesso destrutturati dalla presenza sul mercato di prodotti estremamente appetibili, poco nutrienti e a buon mercato che agiscono come droghe sul nostro cervello, rendendoci sordi ai reali bisogni dell’organismo.
Saperlo, forse, è già cominciare a cambiare!
Pubblicato su 5Avi
A noi adulti appare spesso tortuoso e incomprensibile il cammino che un adolescente percorre per diventare grande. Guardiamo nostro figlio e ci ritroviamo a pensare che qualcuno o qualcosa, di cui non conosciamo assolutamente nulla, si sia impossessato del suo corpo e ci chiediamo se il nostro bambino, quello che conoscevamo così bene, che abbiamo nutrito e a cui abbiamo insegnato a parlare e a camminare, tornerà mai a casa!
L’adolescenza è una fase assolutamente complessa e difficile, e, a sentire il parere dei neurobiologi, pare che essa sia il risultato di un delicato periodo neuroplastico. In realtà, ciò che avviene nel cervello dell’adolescente, è una continua e “sapiente” disorganizzazione e riorganizzazione che inizia dalla pubertà e dura fino ai vent’anni circa: un riassetto della materia grigia e di quella bianca, volto a velocizzare e organizzare l’informazione neuronale. Questa spiegazione dovrebbe consolarci: dopo tutto è molto più plausibile della possessione aliena o demoniaca!
Le modificazioni profonde che avvengono a livello neurologico si riflettono nei comportamenti. Anche in quelli alimentari. L’adolescente, in cerca della sua identità e dell’approvazione dei pari, è spinto a condividere con gli amici gli alimenti che in famiglia gli vengono concessi con regola e moderazione. Egli tende a seguire mode e pubblicità e spesso modifica il suo comportamento alimentare in base al significato simbolico di particolari cibi o a determinate scelte etiche. Spesso l’adolescente tende ad utilizzare il cibo come strumento per controllare le modificazioni che il proprio corpo subisce durante questa delicata ed esplosiva fase di crescita. Con le sue scelte drastiche e irrazionali, a volte, ci segnala disagi e malumori che ci inducono a riflettere, soprattutto in quest’epoca di repentini cambiamenti sociali, in cui l’indebolimento dei modelli familiari lascia spazio a quelli imposti dai mass-media.
Cosa ci dice, in fondo, l’adolescente? Ci comunica, con i suoi sbalzi di umore, la difficoltà di un cambiamento, la fatica di trovare una collocazione, un ruolo, un tempo e uno spazio nell’ambito familiare e in quello sociale. Ci indica, con le sue scelte alimentari poco corrette, che ha bisogno di provare, assaggiare, gustare cibi alternativi, proibiti e poco sani perché essi esistono, fanno parte degli ambienti che frequenta e nei quali non potrebbe non condividerli. Ci informa che vuole sentirsi uguale agli altri e degno di attenzione, che è in grado di gestirsi da solo anche a tavola e che è il momento di recidere quel legame così stretto e profondo che lo ha tenuto legato alla nutrice e alle sue regole. Facciamocene una ragione.
D’altra parte, se la regola dell’alimentazione corretta è stata e continua ad essere presente sulla tavola di casa, è poco probabile che il nostro piccolo grande uomo, o la nostra piccola grande donna, se ne allontani definitivamente, una volta assaporate ed esperite l’autonomia e l’ebbrezza della scelta trasgressiva. Perché, in fondo, ciò che conta dal punto di vista educativo/nutrizionale è già stato. Quella guida elastica ma determinata, quella autorevolezza accogliente e consapevole, quella dipendenza stretta da cui germoglia l’autonomia si sono già compiute quando nostro figlio era ancora un bambino.
Riflettendoci bene, quindi, il nostro uomo in erba, che sperimenta e rifiuta, accoglie e differenzia, chiude canali comunicativi canonici e ne apre di nuovi e insoliti, dopo tutto ci offre un’occasione preziosa per riflettere su ciò che è stato ed è il nostro stile alimentare (e non solo); ci pone di fronte alla possibilità di rivalutare, ponderare e, qualora fosse il caso, ripensare le nostre scelte alimentari. Come se imparassimo di nuovo a diventare grandi, con quel pizzico di euforica sapienza che il nostro adolescente di casa, ogni giorno, ci regala.
In occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione, ho fatto le ore piccole con RadioRAI1!
Ecco il podcast della trasmissione
Il termine “fortificazione” viene utilizzato per indicare l’aggiunta a un alimento di micronutrienti (sali minerali, vitamine, ecc.) che lo rendano maggiormente nutritivo. La nascita di questi prodotti risale agli inizi del secolo scorso e trae origine dalla volontà di far fronte alle patologie causate da carenze vitaminiche e micronutrienti. Nei primi decenni del novecento comparvero, dunque, i primi alimenti fortificati: in Danimarca la margarina con vitamina A, in molti paesi europei e statunitensi la farina con ferro e vitamine del gruppo B.
Assodata la sua utilità in alcuni particolari contesti, a me, che vivo in Toscana, famosa per la varietà, la ricchezza e la qualità dei suoi prodotti alimentari, francamente, la fortificazione alimentare preoccupa non poco. Non voglio fare la guastafeste, ma ho la netta sensazione che i consumatori, inevitabilmente, percepiscano tali cibi (in genere, industriali) come “migliori”, più sani e salutari, tendendo a sceglierli a priori. “Mio figlio non mangia il pesce, ma gli compro il latte con gli omega tre!”, “I miei figli non mangiano la frutta, ma consumano ogni mattina un succo con le vitamine A, C ed E e cereali con fibra aggiunta”, e così via. Ebbene, complice anche l’estrema accessibilità di questi prodotti (si trovano facilmente sugli scaffali dei supermercati) si rischia a mio avviso di diseducare al buon cibo, all’alimentazione varia e colorata, alla scelta e al gusto e si finisce per giustificare ed arrendersi a determinati rifiuti, senza nemmeno provare a superarli. D’altra parte, un’alimentazione varia ed equilibrata, in condizione fisiologiche, non necessita affatto di integrazioni e fortificazioni. L’importante è nutrirsi di alimenti stagionali, prodotti nel territorio in cui viviamo, freschi e colorati come solo Madrenatura è capace di produrre. Avete provato a fare un giro in un’azienda agricola toscana in questa stagione? Le Brassicacee ci offrono uno spettacolo variopinto, con i loro cavoli e le loro verze. A ogni colore corrisponde una ricchezza di micronutrienti capaci di proteggerci da svariate malattie. Che dire, poi, dei nostri piatti tradizionali come la ribollita, la zuppa toscana, ricchi di fagioli e cavoli (verza e nero)! Essi recano con sé la saggezza contadina che associa gli ortaggi dell’orto ai legumi e il pane casalingo (cereali), rispondendo ai fabbisogni dell’organismo e gratificando il palato. D’altra parte, per fare un pieno di vitamine e fibra è importante anche consumare frutta fresca, matura al punto giusto e sceglierla colorata e profumata. Non dimentichiamo, poi, di trascorrere più tempo possibile all’aria aperta e di muoverci quotidianamente, per aiutare il nostro organismo a produrre vitamina D e a fissarla nelle ossa.
In conclusione, dunque, come comportarsi, quindi, davanti alla scritta “con l’aggiunta di …”? Come si faceva saggiamente un tempo davanti a qualsiasi acquisto: chiediamoci se ne abbiamo davvero bisogno.
Articolo apparso su Il Tirreno il 16 dicembre 2014
Quando Anna era piccola le era proibito entrare in cucina durante la preparazione dei pasti. Sua madre la teneva lontana e non si curava della curiosità della piccola, perché la cosa più importante era non sporcare, non infastidire, non curiosare.
Quando sarai grande – diceva – cucinerai quando sarai grande. Adesso tocca a me, tu non sai nemmeno dove mettere le mani.
Nessun odore, dunque; nessun sapore, nessun gusto né disgusto per la piccola Anna, che moriva dalla voglia di pasticciare, impastare, sminuzzare.
Non era adeguata – dicevano. Non sarebbe stata capace.
Così lei imparò a restare distante e si convinse di essere incapace. Addirittura, si convinse di non amare quel luogo così caldo e pieno di magia che era la cucina della casa di famiglia. Rifiutò di sentirsi parte di qualcosa da cui era stata forzatamente allontanata. E così, difatti, fu.
Anna divenne presto una donna e s’innamorò. La cucina della sua nuova casa le si spalancò davanti, misteriosa, come la sua nuova vita, facendola sentire appassionata e creativa.
Trascorrevano ore, lei e lui, a preparare pietanze da condividere prima con gli amici, poi con i figli che arrivarono. Lei scoprì di essere fantasiosa e di amare curiosare fra nuove ricette e nuove creazioni culinarie. Si sentì ricca di cose belle, piena di sorprese da donare, colma di gioia e di idee.
Col passare degli anni, però, quell’uomo che credeva di conoscere bene e di amare profondamente cambiò. O forse fu lei a cambiare, ma questo poco importa. Quello che importa, invece, è che Anna fu allontanata di nuovo da quel luogo magico che l’aveva resa così felice e fatta sentire così utile. Lui prese “le redini della cucina”, come amava declamare con orgoglio davanti a parenti ed amici; lei era inadatta, poco adeguata…come da bambina.
Ma presto Anna rivolle indietro il suo tempo, anche quello fra i fornelli e non si trattò del capriccio di una bambina un po’ cresciuta, ma, al contrario della richiesta legittima e sacrosanta di accudire e ad esprimere ciò che era, o avrebbe voluto essere, attraverso il cibo e le azioni che da sempre, da tempi antichissimi, connotano l’attitudine umana a comunicare. Le sue pietanze non sarebbero state perfette; le ricette sarebbero state inventate; i suoi figli sarebbero rimasti interdetti o incuriositi, ma cosa importava? Anna desiderò provare ad essere finalmente se stessa e, con la tenacia sopita in quel cuore affamato di vita, riconquistò il suo luogo dell’essere e ricominciò dal punto in cui aveva abbandonato se stessa…
Anna esiste davvero, ma ha un altro nome. La storia che vi ho raccontato mi è stata donata, con rabbia e generosità, da una donna in cerca della strada per essere felice, recuperando se stessa e tutto ciò che un’infanzia sbagliata le ha tolto. Di lei e delle sue parole accorate, mi ha colpito l’assenza di pianto e rimpianto. Mi hanno fatto riflettere la tenacia e la passione con cui mi ha descritto il distacco da cose che aveva appena sentito sue. Mi ha intenerito la voglia di recuperare ogni briciola di vita persa per la strada.
Resto in silenzio e rifletto, adesso, augurandole tutto il bene del mondo.
Amo l’estate, ma accolgo i primi freddi come una buona occasione per rimettere ordine.
Questo faccio oggi, metto ordine. E riguardando le fotografie dei laboratori di educazione alimentare che, negli anni, ho avuto il piacere di condurre, sorrido e penso che tutto ciò che s’impara da bambini lascia un a traccia che accompagna per sempre.
Nella mia infanzia ho avuto la fortuna di partecipare a un magnifico inimitabile “laboratorio”, quello della natura che, di stagione in stagione, scandiva il tempo e le usanze a tavola; donava i suoi frutti al tempo giusto e nessuno si chiedeva perché. Era tutto talmente chiaro e semplice!
Quelle esperienze sono ancora così presenti dentro di me e mi hanno fatto talmente tanta compagnia che credo fermamente e irrimediabilmente nel valore della didattica esperenziale; in quella disciplina, cioè, che utilizza l’esperienza diretta e si avvale di strumenti semplici ed efficaci, della manipolazione e dell’emozione, dei cinque sensi e delle buone idee, delle soluzioni estemporanee e dello spirito di adattamento.
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Col mio lavoro ti racconto la terra…
A quanti mi chiedono cosa fa un biologo nutrizionista rispondo con orgoglio che si occupa di alimentazione, di salute e di cultura del cibo. Ogni piano alimentare e ogni consiglio nutrizionale che passa dalle mie mani a quelle di chi si rivolge a me contiene, oltre a consigli alimentari e comportamentali, racconti che spero restino dentro e lascino traccia. Sono i racconti sul cibo che mangiamo e che ci rende ciò che siamo. Le storie della sua produzione, della sua stagione migliore, dei luoghi da cui proviene, delle mani che lo hanno lavorato e della fatica che lo ha portato fino a noi.
In ogni piano alimentare, in fondo, racconto la terra. Ed è proprio questa convinzione e questo istinto che mi hanno condotto alla stesura del mio ultimo libro Ti racconto la terra.
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