A partire da Gennaio 2013 la CIA di Pisa attiverà degli incontri gratuiti di educazione alimentare.
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Un incontro sulla prevenzione
Il 18 gennaio, alla sede della CIA di Pisa si è svolto il primo incontro di educazione alimentare, della serie Incontri Intorno al cibo. Oltre a me, sono intervenuti Stefano Berti e Francesca Cupelli, rispettivamente Direttore e Presidente della Confederazione Italiana Agricoltori di Pisa.
La partecipazione è stata cospicua, attiva ed interessata all’argomento. I partecipanti hanno avuto la possibilità di fare domande ed esprimere considerazioni sul tema trattato che si è dimostrato di grande interesse.
Il cibo stagionale, fresco, territoriale, al centro delle nostre scelte virtuose, con l’obiettivo di mantenenerci in buona salute, valorizzando le produzioni del terrtorio in cui viviamo.
Bella l’educazione alimentare “interattiva”!
Il prossimo incontro è previsto per venerdì 25 gennaio alle 17,30.
Incontri intorno al cibo – Video
Incontri di educazione alimentare presso la Confederazione Italiana Agricoltori (clicca per vedere il video)
A partire da Gennaio 2013 la CIA di Pisa attiverà degli incontri gratuiti di educazione alimentare.
Gli incontri, aperti a tutti, tenuti da esperti in campo nutrizionale, avranno l’obiettivo di informare i cittadini sulla buone pratiche alimentari. Il progetto prevede due incontri al mese in cui verranno sviscerati i temi relativi all’importanza della sana alimentazione: la scelta alimentare consapevole, l’alimentazione infantile, la prevenzione a tavola, metodi di cottura e conservazione e molto altro.
Saranno previsti anche momenti di confronto con produttori locali e laboratori di manipolazione del cibo.
Incontri di Educazione Alimentare
Viviamo in un’epoca in cui la medicina, sempre più spesso e sempre meglio, può salvarci la vita. Ce lo ripetono ogni giorno tutti i giornali, le riviste, i programmi tv. Oltre agli innegabili passi avanti della medicina e della farmacologia, però, c’è uno strumento meno invasivo e meno costoso, alla portata di tutti, di cui si parla sempre meno. Ed è la prevenzione.
La vita è un progetto biologico del quale, spesso, ognuno di noi può decidere l’andamento. In definitiva, attraverso scelte personali possiamo scegliere di stare più o meno bene, modificando il nostro stile di vita.
Le scelte alimentari occupano uno spazio ampio nell’ambito dello stile di vita individuale; scegliere bene il nostro cibo, dunque, rispettando le produzioni stagionali e territoriali, significa scegliere di stare in salute e, contestualmente, mantenere in salute il territorio in cui viviamo.
Vi aspettiamo all’incontro del 18, il primo della serie di incontri gratuiti di educazione alimentare. Con Confederazione Italiana Agricoltori Pisa
Incontri gratuiti di Educazione Alimentare
Intervista su barganews.com
Tra un nome altisonante e l’altro attribuito alle varie ondate di caldo, quest’estate prosegue calda e asciutta. Come già accaduto in inverno, abbiamo incontrato la nutrizionista (ed amica) Giusi D’Urso per sapere come orientare la nostra alimentazione in questi giorni. Continua a leggere
Gusto e salute, la dieta mediterranea è servita!
La convinzione che diffondere consapevolezza alimentare e creare sensibilità intorno a temi importantissimi, quali quelli dell’agricoltura e del cibo, sia oggi una priorità, ci ha portati ad organizzare altre iniziative per quest’estate. Altri “Incontri intorno al cibo”, dunque, per coniugare, ancora una volta, la terra e l’alimentazione sana, la salute e la cultura del cibo, l’alimentazione e la sostenibilità.
Prevenzione e comunicazione: discipline imperfette!
Fare prevenzione, oggi, non va di moda. Gran parte del mondo “sanitario” è fortemente tesa alla cura. Basti pensare alla presenza ingombrante delle case farmaceutiche, di certa chirurgia, e in generale alla tecnologia utilizzata dalla medicina.
È rassicurante, certo, che per quasi tutte le più comuni patologie, oggi esista una terapia, un intervento, un trattamento altamente specializzato che possa arginare, e in molti casi, guarire una malattia.
Ma la prevenzione, disciplina assai lungimirante e preziosa, rimane ancora stretta a un angolo, come fosse poco degna di attenzione e considerazione.
Nessuno mai, si sa, ringrazierà quell’operatore che, con un intervento preventivo, è riuscito ad evitare un infarto. Mentre tutti saranno pronti ad applaudire l’ottimo e provvidenziale cardiologo che avrà salvato il paziente dall’infarto acuto.
Triste destino, insomma, quello di chi fa prevenzione. E ancora più triste di chi predica prevenzione a tavola, credetemi!
Tuttavia, credo che attraverso la buona informazione sia possibile fare arrivare alle persone la percezione corretta di ciò che fa un operatore di prevenzione e dell’utilità della sua professione. Uno dei problemi credo sia l’aggettivo che connota l’informazione: buona, pessima, fuorviante, corretta, infondata, adeguata, veritiera, ecc.
Troppo spesso, difatti, certa stampa sacrifica la verità, la meticolosa e corretta descrizione degli argomenti, allo scoop, al delirio della notizia a tutti i costi. E così, il danno apportato da certe diete iperproteiche passa in secondo piano, cedendo il passo alla notizia che le stesse diete hanno fatto perdere peso a questa o a quella star televisiva o ad un vanesio presidente del consiglio; oppure, l’annosa questione dei disturbi del comportamento alimentare, in aumento fra i giovanissimi, appare cosa secondaria di fronte allo scoop che una delle più note attrici di Hollywood ha sfilato sul red carpet mostrando in pubblico una magrezza assai sospetta.
Forse, rifletto, la divulgazione scientifica (perché di questo si tratta) in materia di prevenzione merita maggiore attenzione e competenza. Forse bisogna partire dal linguaggio degli stessi operatori, dal loro comportamento e dal loro ruolo. Chi rimane arroccato sulla sua cattedra o rinchiuso nel suo laboratorio di ricerca ha ben poche speranze di farsi comprendere dai non addetti ai lavori, giornalisti compresi. Chi si ostina ad usare un linguaggio tecnico per spiegare cose utili a tutti non ha alcuna possibilità di divulgare il suo sapere, anzi, rischia fortemente che questo ne esca deformato e, alla fine, poco aderente alla realtà e poco fruibile dai più.
Sapere e far sapere sono due cose ben diverse. Così come scrivere e comunicare. Si può sapere molto senza riuscire a trasmettere la propria competenza; si può scrivere benissimo senza riuscire a comunicare un bel niente.
Per tornare alla prevenzione, dunque, sebbene essa faccia poco scoop, sforziamoci di comunicare gli strumenti per praticarla in modo semplice e accessibile; e pretendiamo che sia riportata dai mezzi di informazione in modo corretto, aderente, coerente e mirato.
Così, forse, potremo sperare di leggere ancora da qualche parte uno slogan, caro a chi fa il mio lavoro, sparito da tempo da giornali e tv: “prevenire è meglio che curare”. Ve lo ricordate?
Agricoltura depredata e cibo finto: paradossi, conseguenze ed altri orrori
L’industrializzazione del cibo, iniziata dagli anni ’50-‘60 del secolo scorso, ha creato trasformazioni profonde nelle nostre abitudini alimentari e ha posto le basi per lo sviluppo di una serie di patologie metaboliche cui la nostra generazione e quelle future sono e saranno inevitabilmente predisposte. La prima, gravissima conseguenza è sotto gli occhi di tutti: in Italia abbiamo i bambini più grassi d’Europa e si stima che le nuove generazioni avranno un’aspettativa di vita inferiore a quella delle generazioni precedenti.
Più o meno parallelamente della corsa al cibo industriale si è verificata la cosiddetta rivoluzione verde che, con l’alibi inoppugnabile di voler risolvere i problemi della fame del mondo, ha aperto la strada all’agri-business che oggi spadroneggia a tutto campo, arricchendo in modo smisurato le multinazionali che detengono il monopolio delle sementi ed impoverendo, anzi depredando, intere popolazione contadine del Sud del mondo e non solo. Ma non basta: all’agri-businnes si è aggiunta la rivoluzione genetica, che, dagli anni ’70 in poi, con un altro alibi inoppugnabile, quale quello di aumentare le rese e dare più reddito ai coltivatori, sì è accaparrata un’enorme fetta di mercato, creando e promuovendo a tappeto chimere commestibili, spacciate per il cibo perfetto per l’essere umano, del cui utilizzo ancora oggi non conosciamo le conseguenze.
Partendo, quindi, dall’ossimoro che più gravemente ha danneggiato la nostra cultura e cioè quello dell’agricoltura industriale, siamo arrivati all’effetto che più pesantemente si è abbattuto sull’uomo, rendendo fragile le sue civiltà e annullando certezze antiche e preziose: obesità e fame nel mondo, due lati della stessa medaglia.
Oggi, dunque, fra le sementi Monsanto, le patate BASF e il junk food di MacDonald’s nasce, fortissima e urgente, l’esigenza di tornare alla terra e di rivalutarne il ruolo fondamentale nel quadro economico di un Paese. Siamo dovuti arrivare, cioè, alle aberrazioni per comprendere (di nuovo) il legame profondo fra cibo, terra e cultura di un popolo!
Ma, dopo decenni di propaganda a favore degli ossimori, dei paradossi e di leggi a favore del consumismo sfrenato, tornare alla cultura del parco, semplice, locale e sufficiente è davvero difficile. Eppure, la partita più importante, da oggi in poi, che ci piaccia o no, si giocherà sull’agricoltura e sul cibo locali che, lungi dall’essere argomentazioni di pochi eletti che fanno e disfano a nostra insaputa, devono segnare, invece, la coscienza di ognuno e far posto a dubbi, domande e voglia di verità. Perché ognuno si chieda quale sarà il proprio ruolo nel lungo e periglioso viaggio di ritorno a una concezione più “umana” del produrre e consumare cibo.
È, come sempre, la conoscenza a dover tornare alla ribalta. Quella attitudine, cioè, a non fermarsi a ciò che appare e ad andare in fondo ad ogni cosa. Quella voglia di verità che ci rende meno sprovveduti e più attivi davanti alle scelte.
Il diritto a conoscere, convinciamocene, non ha bisogno di alcun alibi inoppugnabile, perché è inoppugnabile di per sé; a condizione, però, che ogni individuo lo percepisca come tale. È il classico cane che si morde la coda: meno sappiamo e meno vogliamo sapere. Più cose comprendiamo, più saremo in grado di operare scelte critiche e consapevoli… e, ovviamente, più vorremo conoscere e capire.
La questione, però, come tutti sanno, non è così banale, poiché l’attitudine a voler conoscere e comprendere reca con sé non pochi effetti collaterali, coi quali pochi individui del terzo millennio sono disposti a fare i conti. E quindi, meglio acquistare cibo industriale; meglio smettere di preparare il cibo per provvedere all’accudimento dei nostri figli; meglio acquistare tutto ciò di cui il marketing ci fa venire voglia, senza ascoltare i nostri reali bisogni. Tutto, pur di annegare nell’illusione di risparmiare tempo, e, qualche volta, anche denaro.
Un altro cane che si morde la coda, però, si nasconde dietro le scelte-non scelte della numerosissima popolazione dei non consapevoli: il ricorso continuo agli alimenti industriali, spesso ricchi di additivi, grassi e zuccheri e poveri di vero nutrimento e il rifiuto psicologico di una spesa più vicina alle produzioni locali, solitamente più fresche, sane e stagionali, pone a rischio il nostro organismo rispetto a numerose patologie metaboliche e non, e penalizza, nel contempo, l’agricoltura locale, già di per sé depredata ed offesa dalla presenza ingombrante di quella industriale.
Le conseguente sono (saranno) molto gravi.
In campo alimentare assistiamo allo svuotamento del concetto di cibo: l’atto del mangiare è divenuto un’attività completamente scollegata dalla nostra cultura, dalle nostre origini e, persino, dal nostro modo di “funzionare”. Si mangia (o non si mangia) un cibo perché qualcuno ci ha detto, in modo molto convincente che fa bene (o fa male); si sceglie di non cucinare perché qualcuno ci ha detto che il tempo è necessario per lavorare e produrre più reddito. Si comprano le primizie o i cibi tropicali perché qualcuno ci ha fatto illudere che mangiare ciò che ci pare e piace, ovunque e in tutte le stagioni dell’anno significa che la Natura è al nostro servizio. E così via, senza porci domande, se non quella di quanto risparmieremo con la promozione di turno.
Ingurgitiamo cibo senza chiederci da dove viene, com’è stato prodotto, com’è arrivato fino a noi e se ne abbiamo davvero bisogno. E lo portiamo nelle nostre case, lo condividiamo con parenti e amici, certi (illusi) di fare la cosa giusta. Ma qual è la cosa giusta?
Qual è la priorità dell’essere umano?
Un tempo lontano era quella di sopravvivere e in alcune parti del mondo ancora lo è. Nel mondo più “ricco”, oggi, la priorità, invece, dovrebbe essere il “sapere”. Sapere che spesso i cibi destinati all’infanzia sono prodotti senza attenzione a tossine ed additivi; che la maggior parte dei prodotti confezionati acquistati presso la grande distribuzione ci pone immediatamente di fronte all’esigenza di eliminare un rifiuto, uno scarto; che frutta e verdura provenienti da posti lontani non sono maturati sulla pianta e non nutrono come crediamo; che gli stessi prodotti hanno provocato inquinamento da CO2 viaggiando per lunghe distanze; che i nostri organi e i nostri tessuti non hanno bisogno di un apporto proteico animale come quello della nostra alimentazione di oggi; che produrre tanta carne per tutti questi “carnivori inconsapevoli” significa deforestare intere zone del Sud del mondo per coltivare intensivamente mais e soia, destinati agli allevamenti; che la fame di alcuni popoli non è dovuta alla scarsità di cibo, ma alla sua cattiva distribuzione; che la pasta dell’industria alimentare è fatta con grano di origine lontana, trasportato nei nostri porti dopo essere stato trattato pesantemente con conservanti e antifungini e lasciato per settimane nelle stive delle navi prima di essere distribuito alle industrie; che lo sciroppo di glucosio presente in tutte le merendine per bambini limita il funzionamento di importanti ormoni che regolano il nostro metabolismo. E molto, molto altro…
Cosa hanno a che fare l’Africa, l’Asia, l’America del Sud e le loro foreste con la mia vita, qui e adesso? Sono Paesi ricchi (ancora per poco) di risorse naturali, le terre in cui l’anidride carbonica prodotta dalle attività antropiche viene assorbita nel processo di fotosintesi restituendo all’atmosfera l’ossigeno necessario alla sopravvivenza di tutti gli esseri viventi, anche a me, che vivo qui e adesso.
E quanto pesa la mia scelta alimentare sull’economia del mio Paese? Moltissimo. Sia in termini di impronta ecologica, che di spesa sanitaria, che di supporto all’agricoltura locale.
Qualche dato: 5 milioni di obesi in Italia, costano al Sistema Nazionale Sanitario circa 8,3 miliardi l’anno, c.a. il 6% della spesa sanitaria (dati Istat); nel decennio 2000-2010 i redditi degli agricoltori italiani sono crollati di oltre il 30%. (dati Confederazione Italiana Agricoltori); abbiamo bambini in età scolare che chiedono su quale albero nasce il Fruttolo e dove vengono allevate le mucche viola (dati miei!).
Tutto questo, tradotto in disagi, malattie, povertà, smantellamento culturale, pesa e peserà sempre di più sulle nostre vite e, quel ch’è peggio, sulle vite dei nostri figli.
Pensiamoci, allora, quando scegliamo il cibo, poiché la nostra scelta fa, davvero, la differenza.
La scelta onnivora
Complesse modificazioni anatomiche hanno portato l’essere umano al bipedismo e alla riduzione dei muscoli masticatori a vantaggio dell’elasticità cranica. Uno studio del 2004, pubblicato su Nature, mette a confronto il cranio del gorilla a quello dell’Homo sapiens. Ebbene, le zone di attacco dei muscoli della masticazione sono molto più estese nel gorilla che nell’uomo, nel quale sono limitate all’aera temporale e lasciano le suture craniche libere di espandersi elasticamente.
L’autore chiama questo “deficit” umano handicap alimentare, in virtù del quale il cervello umano, durante lo sviluppo postnatale, cresce tre volte e mezzo rispetto a quello del gorilla. “Brain versus brawn”, cervello versus muscolatura, ovvero efficienza mentale rispetto a forza fisica (masticatoria). Questa equazione si è realizzata grazie alla sopravvivenza alimentare dei portatori dell’handicap masticatorio: il deficit, paradossalmente, è stato “selezionato” ed è sopravvissuto a condizioni estreme. Contestualmente, per avere un grande cervello, oltre alla “gracilizzazione” dell’apparato masticatorio, è stata necessaria un’alimentazione estremamente appropriata alle esigenze nutrizionali di un essere bipede, nomade, dal cranio elastico, ma dalla masticazione non potentissima. L’onnivorismo: ecco l’importante spinta evolutiva che fa dell’uomo un Sapiens.
Il concetto del di tutto un po’ caro ai nostri nonni indica, peraltro, la via maestra per non incorrere in squilibri alimentari e, nella nostra epoca così “contaminata”, di non rischiare il pericoloso l’accumulo di qualche sostanza potenzialmente tossica e dannosa. L’alimentazione delle famiglie presenta oggi un eccesso di proteine animali e zuccheri semplici (oltre che di additivi alimentari), soprattutto quella dei bambini, a discapito di cereali integrali, legumi e frutta. Questa tendenza così diffusa pone a rischio la crescita dei nostri figli e costituisce una delle cause più importanti di obesità, osteoporosi, ipertensione e sindrome metabolica sin dall’adolescenza.
Tornando alla parentesi antropologica, c’è ancora qualcos’altro su cui riflettere. La riduzione dell’apparato masticatorio e dell’ampiezza del palato è stata il presupposto essenziale per l’articolazione di fonemi tipici del linguaggio umano, insostituibile strumento di socializzazione, insieme al cibo e alla sua condivisione. Sempre riguardo al cibo come strumento sociale, Charles Darwin, nel suo “L’expression des émotion chez l’homme et les animaux” (1874) notava che in molte lingue il cibo e la bocca sono indicati con “mum”, “ham”, “am”. E che per indicare la madre si trovano sequenze del tipo “am”, “ma”. Onnivorismo, mamma, grande cervello ed evoluzione. Vi lascio riflettere!
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