Descrizione di un pasto assistito involontario!
Il bimbo seduto sul seggiolone è piccolo. Così piccolo che sparisce fra la spalliera e le bretelle imbottite. Eppure, pare in pieno svezzamento. Siamo al mare e all’ora di pranzo ognuno si avvicina alla propria cabina per condividere il pasto. Lo guardo, mentre attende con avidità e impazienza la mamma (giovane, biondissima ed eterea) che armeggia su un tavolino di legno per mescolare liofilizzato, acqua e una qualche farina. La mamma, una volta pronta, con in mano il piattino stracolmo di pappa, si siede lateralmente al seggiolone. Non capisco. Non mi spiego perché non si ponga di fronte al suo bambino e non inizi a imboccarlo sorridendo ed emettendo quei suoni morbidi, labiali, tipici di quella fase: ahm, gnam, mmmh, buona la pappa!
Quasi immediatamente si avvicina il babbo con un iPad acceso ed ecco che tutto torna: di fronte al bambino c’è uno schermo in cui un animaletto animato balza di qua e di là al tempo di una musichetta dai toni acuti, ripetuti all’infinito. La mamma, adesso, comincia a imboccarlo: il bambino apre la bocca, imbambolato e il gesto di lei diventa sempre più veloce, come dovesse approfittare dell’esigua durata del cartone. Presto, prima che la magia finisca!
E’ accaduto ieri in una spiaggia, ma era già accaduto qualche settimana fa e sarebbe accaduto anche di lì a poco, all’ora della merenda, con la solita sconcertante modalità. E’ accaduto ieri ma mille altre volte, con altri genitori (o nonni), altri monitor e altri bimbi, in una qualche cucina, in cortile, a scuola, al parco.
La mia mente è andata a un testo sull’accudimento attraverso il cibo al quale sto lavorando da qualche tempo, ad alcune osservazioni che mi capita di fare durante il mio lavoro, ad altri pasti assistiti di questo tipo, alla sofferenza e alla paura delle madri, al loro disagio, alle conseguenze che certe modalità di relazione producono nella prima infanzia e nell’adolescenza. Intanto, continuo ad osservare, avvilita.
La madre non si fa vedere e non espone alla vista del proprio bambino né il piatto, né il cucchiaio, né il cibo. Come se l’atto del mangiare debba passare asetticamente sotto silenzio: ti nutro perché devi mangiare; perché se non mangi muori.
La velocità con cui il cucchiaino viene inserito in bocca aumenta mano a mano che il cartone si dipana verso la sigletta finale e ogni residuo di pappa che cola dai lati della bocca viene meticolosamente e prontamente raccolto per essere infilato fra le labbra del bambino. Lui, ogni tanto, distoglie lo sguardo dallo schermo dell’iPad e si dimena, girando la testina da una parte e dall’altra, emettendo dei mugolii di protesta e serrando la bocca. Ma immediatamente il babbo riavvia il cartone e lo richiama, con dei sibili sottili e penetranti, a lasciarsi ipnotizzare ancora e ancora dal personaggio saltellante e dalla musichetta.
Il bambino, irrimediabilmente, termina la sua pappa con grande soddisfazione della mamma e del papà che mostrano e vantano il risultato a una coppia di amici che annuiscono compiaciuti; l’iPad viene spento e fatto sparire; la mamma mette a posto velocemente tutto quello che è servito per il pasto del piccolo, mentre il papà prontamente gli offre il ciuccio.
Di quel cibo poi nessuno si chiede nulla. Non c’è posto né tempo per certe domande.
La bocca deve stare ben piena e ben chiusa: non devi protestare, non devi esprimerti, non devi piangere, se piangi sto male, mi sento inadeguata a gestire i tuoi bisogni; se smetti di mangiare morirai e io non sopporto di restare col dubbio della tua sazietà. La visuale, ben tappata: non guardare, non guardarmi, perché non sopporterei di vederti sporcare, rifiutare, gustare o disgustarti, lasciar fare al tuo e al mio istinto (e se l’istinto fallisce?); purché mangi sono disposta a rinunciare al privilegio di nutrire, di offrirmi a te come tua nutrice e come tuo nutrimento emotivo, insieme al cibo che ti ho preparato. Meglio un monitor, meglio distrarti, perché tu (o io?) non possa avere il tempo di un dubbio, di un sentimento, di una sensazione.
Mentre così rimuginavo, con amarezza e sgomento, il bimbo si è rassegnato al sonno.
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