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Corso ABNI di Nutrizione Pediatrica

PEDIATRIA MAGGIO 2015(3)Dal 22 al 24 maggio 2014 a Rimini, presso il Suite Hotel Litoraneo, si svolgerà il corso di Nutrizione Pediatrica destinato ai biologi, medici nutrizionisti e psicologi. Per informazioni ed iscrizioni: corsi@abni.it, oppure consultare il sito. Il programma delle lezioni verrà svolto da personale qualificato, il corso è stato accreditato per l’Educazione Continua in Medicina con 25 crediti.

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Le risposte dei grandi

dscn5593Nei bambini e negli adolescenti la frase “ho fame” o quella “non ho fame” spesso significano semplicemente “ho bisogno di te”. La percezione corretta da parte dell’adulto (genitore, nonno, educatore) implica ascolto e attenzione, dubbio e buona volontà, affinché la risposta non sia l’omologata ed atona offerta di cibo. Questi strumenti, nel caso non vi fossero, si possono (si devono!) imparare per garantire una relazione serena con il cibo, con il corpo e con il prossimo. Sull’influenza che i genitori (e altri adulti di riferimento) possono operare nei confronti delle scelte alimentari dei figli esistono oggi molte evidenze scientifiche. Una serie di studi recentissimi si è infatti occupata della relazione fra l’autoregolazione delle emozioni e la scelta alimentare che passa per il meccanismo antico di fame e sazietà. In pratica, la reazione dei genitori all’esternazione emotiva dei loro bambini influenza il loro modo di esprimere le emozioni da adulti; l’autoregolazione dei bambini, cioè, viene costruita proprio sulle risposte degli adulti di riferimento. È ormai accertato che queste reazioni pesino anche sull’introito calorico, influenzando profondamente i gusti e le scelte alimentari dei bambini, anche a lungo termine.
Adulti di riferimento capaci di accettare e gestire le reazioni dei bambini, siano esse positive o negative, sono anche in grado di effettuare scelte appropriate nel momento in cui il bambino esprimerà fame o sazietà. Questi adulti, per intendersi, non useranno il cibo per confortare e calmare il proprio bambino, ma accoglieranno la sua reazione cercando soluzioni alternative e fornendo altri strumenti per gestire frustrazione, rabbia e sconforto. Non forzeranno al consumo di cibo un bambino o un adolescente che lo rifiuterà con pervicacia, ma si porranno domande sul motivo o l’origine di un atteggiamento così deciso e, spesso, pericoloso.
Quando il cibo viene utilizzato per lenire ansie ed angosce, per ricompensare o calmare, le successive risposte emotive del bambino saranno destabilizzate ed egli legherà al consumo di cibo la gratificazione ed altre sensazioni positive. Quando di fronte a un rifiuto rigido e reiterato si reagisce con pratiche di forzatura altrettanto inflessibili si nega un problema che non fa che amplificarsi e strutturarsi profondamente.no

Attenzione, quindi, alle frasi “se fai il bravo ti compro il gelato!” oppure “se non finisci i compiti stasera ti becchi il cavolfiore!”. Attenzione a frasi con “se non mangi tutto non esci di casa”.
Attenzione, insomma, a non rendere il momento del pasto terreno di ricatto e guerriglia e a non trasformare il cibo in un’arma che separa e crea distanze fra chi nutre e chi è nutrito.si
Educare un bambino a scelte alimentari equilibrate è un’attività che deve passare attraverso la corretta gestione delle emozioni, il buon esempio e la consapevolezza dei grandi. Ogni risposta del genitore alle richieste del proprio figlio deve proporre strumenti, non chiudere dialoghi, imporre soluzioni predefinite o, al contrario, dare la sensazione che egli debba cavarsela da solo. Nel mestiere più difficile del mondo, infatti, l’equilibro sta a metà strada fra la fatica dei no e la gioia dei sì.

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 Due delle immagini sono tratte dalla reete

Se non mangio mi vuoi bene?

dal sito www.civettandonews.itQuando il piccolo è inappetente, spesso accade che il pasto si trasformi in un momento difficile da gestire. Chi ha preparato la pappa, con cura e amore, si sente frustrato e inadeguato di fronte al rifiuto pervicace del bambino.
Mi capita spesso di ascoltare mamme avvilite e preoccupate: la frustrazione è tale che a volte piangono o esprimono la loro delusione e la loro ansia attraverso la rabbia. Capita e non mi meraviglio, pensando a quanto importante sia per una nutrice alimentare e vedere crescere il proprio figlio.
Ma, poiché, soprattutto per i bimbi piccoli, “la mamma è cibo e il cibo è mamma“, di fronte al rifiuto del bambino possono innescarsi dinamiche poco utili e, a volte, addirittura dannose, sostenute dalla convinzione di avere davanti un piccolo tiranno, testardo ed egocentrico.

Suvvìa, un boccone per la mamma, uno per il papà e uno per la nonna!

In realtà, quello che spesso accade è che, semplicemente, siamo davanti a un bambino che ha poco appetito, o che ha bisogno di mangiare poco, oppure che non è ancora pronto per quel dato alimento, per quel dato momento conviviale, per il distacco dai rituali che lo legano alla mamma attraverso l’allattamento. Semplicemente, il bambino può non avere l’appetito che la mamma si aspetta. L’inappetenza di un figlio è un concetto la cui relatività sta fra i suoi reali bisogni e le aspettative di chi lo nutre.
Se il bambino è sano, cresce normalmente e continua a mostrarsi vivace e allegro, non vi è alcun motivo di condizionarlo con aspettative che non può comprendere, né soddisfare, poiché nel suo istinto e nella sua spinta evolutiva egli ha strumenti insospettabili di autoregolazione dell’appetito e della sazietà. Insistere significa forzare un sistema evolutosi per migliaia di anni; mostrarsi dispiaciuti significa generare nel bambino il dubbio che egli non sia accettato ed amato a causa del suo pervicace rifiuto; lasciarsi prendere dall’ansia significa rischiare di compromettere la serenità della corrispondenza armoniosa fra la nutrice e il suo nutrito.
Rispettiamo, quindi, ciò che ha imparato dalla natura e che noi, invece, abbiamo dimenticato.

 

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(Immagine tratta dal sito: www.civettandonews.it)

Divezzamento: natura o prescrizione?

inappetenteSono sempre più numerose le mamme che si pongono domande riguardo alle modalità con cui guidare il proprio bambino nel delicato momento di passaggio dall’alimentazione esclusivamente lattea a quella solida e mista (divezzamento o svezzamento). Mi capita spesso, infatti, di riceverle nel mio studio e di ascoltare le loro perplessità, di accogliere le loro richieste di rassicurazione. In genere, arrivano con una prescrizione dietetica e relativa ricetta di preparazione delle prime pappe, in concomitanza allo scadere del quinto o sesto mese del proprio neonato.
Che fare? – mi chiedono – Seguire pedissequamente la tabella proposta da alcuni pediatri? Munirsi di liofilizzati, omogeneizzati e pappe pronte? Attendere che il bambino sia un po’ più grande? E, semmai, quanto attendere? Qual è il momento migliore per introdurre la carne? E le altre proteine?
Le risposte a queste domande (ne ho riportate solo alcune) non possono essere omologate, uguali per tutti i neonati, per tutte le mamme e per ogni svezzamento ci si appresti a sperimentare. Perché? Perché: 1) ogni neonato ha i suoi tempi, i suoi gusti e i suoi bisogni; 2) ogni mamma ha il suo istinto e il diritto di scegliere per il proprio figlio la modalità che più la rassicura e la soddisfa; 3) ogni cibo ha le sue stagioni; 4) ogni territorio ha il suo cibo; 5) ogni famiglia ha i suoi modelli alimentari.
E allora, come comportarsi?
Per quanto mi riguarda, da sempre sostengo il divezzamento naturale, intendendo con l’aggettivo “naturale” rispettoso dei tempi, dei gusti e dei bisogni del bambino, oltre che dell’istinto della mamma. Di quel bambino. Di quella mamma. In quel particolare momento.
In genere, sconsiglio i prodotti industriali, poiché la natura, in ogni stagione e in ogni territorio, offre alternative migliori e poiché sono profondamente convinta che l’accudimento dei propri figli debba passare attraverso la preparazione, l’offerta e la condivisione dei pasti.

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A La Dolce Linea si parla di Ti racconto la terra e di Nutrizione infantile

Venerdì 15 novembre La Dolce Linea – con Tiziana Stallone e Sara Sanzi

Ecco il podcast

 

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